La versione tacitiana della morte di Messalina (Ann. 11,37,3-38,1) costituisce un unicum all'interno del panorama delle testimonianze superstiti, non solo storiografiche: documenta una dinamica dell’evento complessa e peculiare, laddove le altre fonti si limitano ad alludere ad un’esecuzione. L’exitus, già enfatizzato in rapporto alla strutturazione del liber XI e al suo piano compositivo, nonché in relazione al tono e al ritmo della narrazione, è rappresentato come un suicidio mancato che, in quanto tale, trova compimento quale esecuzione. Il tentativo di suicidio è raffigurato secondo una modalità che non ha parallelo all’interno dell’opera di Tacito: l’alternanza tra iugulum e pectus come parti del corpo in cui imprimere la ferita mortale. Tale alternanza costituisce un topos ‘tragico’, che, risalente all’Ecuba di Euripide, si perpetua nella tragedia latina, come documenta Seneca. La modalità sembra una soluzione suicida per giunta tutta al femminile. Ma nell’Ecuba euripidea l’alternativa del colpo al petto, rispetto alla gola, è suggerita da Polissena a Neottolemo all’interno del sacrificio della virgo (vv. 563-565). La contrapposizione στέρνον / λαιμός, per la simbologia connessa alle parti del corpo, assume il valore di referente concettuale: la mors, che, in relazione al gaudium della vittima, già si connota come voluntaria, si definisce, in rapporto a quel suggerimento, come rivendicazione di una fine eroica, da guerriero. L'innovazione euripidea è colta da Ovidio che, nel suo pedissequo rifacimento dell’Ecuba (met. 13,429-575), le dà piena attuazione, variando il modello: non solo il sacrificio di Polissena è assimilato ad un suicidio ma la morte si connota come eroica, attraverso il colpo al pectus. La ripresa tacitiana della modalità di suicidio non costituisce il recupero di uno stilema tragico ma si palesa un richiamo allusivo al testo ovidiano: anche se le coincidenze verbali sono limitate è il parallelo complessivo tra i due contesti che rende manifesto il carattere allusivo dell'alternanza iugulum / pectus. Il rimando evoca un’assimilazione, a rovescio, di Messalina con Polissena, la casta e pura virgo, che lascia emergere il senso profondo del giudizio tacitiano sull’immorale imperatrice e sul principato di Claudio. Il parallelo, per antitesi, che il lettore colto coglieva, ha associato Messalina a Polissena lungo l’iter della stereotipizzazione dei due personaggi.

La fine di Messalina in Tacito. Una morte 'tragica' a rovescio

MASTELLONE, Eugenia
2004-01-01

Abstract

La versione tacitiana della morte di Messalina (Ann. 11,37,3-38,1) costituisce un unicum all'interno del panorama delle testimonianze superstiti, non solo storiografiche: documenta una dinamica dell’evento complessa e peculiare, laddove le altre fonti si limitano ad alludere ad un’esecuzione. L’exitus, già enfatizzato in rapporto alla strutturazione del liber XI e al suo piano compositivo, nonché in relazione al tono e al ritmo della narrazione, è rappresentato come un suicidio mancato che, in quanto tale, trova compimento quale esecuzione. Il tentativo di suicidio è raffigurato secondo una modalità che non ha parallelo all’interno dell’opera di Tacito: l’alternanza tra iugulum e pectus come parti del corpo in cui imprimere la ferita mortale. Tale alternanza costituisce un topos ‘tragico’, che, risalente all’Ecuba di Euripide, si perpetua nella tragedia latina, come documenta Seneca. La modalità sembra una soluzione suicida per giunta tutta al femminile. Ma nell’Ecuba euripidea l’alternativa del colpo al petto, rispetto alla gola, è suggerita da Polissena a Neottolemo all’interno del sacrificio della virgo (vv. 563-565). La contrapposizione στέρνον / λαιμός, per la simbologia connessa alle parti del corpo, assume il valore di referente concettuale: la mors, che, in relazione al gaudium della vittima, già si connota come voluntaria, si definisce, in rapporto a quel suggerimento, come rivendicazione di una fine eroica, da guerriero. L'innovazione euripidea è colta da Ovidio che, nel suo pedissequo rifacimento dell’Ecuba (met. 13,429-575), le dà piena attuazione, variando il modello: non solo il sacrificio di Polissena è assimilato ad un suicidio ma la morte si connota come eroica, attraverso il colpo al pectus. La ripresa tacitiana della modalità di suicidio non costituisce il recupero di uno stilema tragico ma si palesa un richiamo allusivo al testo ovidiano: anche se le coincidenze verbali sono limitate è il parallelo complessivo tra i due contesti che rende manifesto il carattere allusivo dell'alternanza iugulum / pectus. Il rimando evoca un’assimilazione, a rovescio, di Messalina con Polissena, la casta e pura virgo, che lascia emergere il senso profondo del giudizio tacitiano sull’immorale imperatrice e sul principato di Claudio. Il parallelo, per antitesi, che il lettore colto coglieva, ha associato Messalina a Polissena lungo l’iter della stereotipizzazione dei due personaggi.
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