L’IRI viveva giorni confusi e difficili dopo che, nell’ottobre del 1943, il governo repubblichino di Salò aveva sciolto l'intero Consiglio d'Amministrazione dell'IRI e trasferito la Direzione a Milano. Donato Menichella, dimessosi da Direttore Generale si era dato alla clandestinità e Saraceno pur di evitare il suo trasferimento a Milano si era fatto distaccare presso la sede laziale dell'Alfa Romeo, da dove nei giorni successivi la liberazione di Roma, partì in estenuanti e importanti missioni presso le diverse aziende campane e pugliesi dell’IRI, che ora – ripristinati i collegamenti – finalmente potevano raggiunte. Quelli furono i giorni dei sopralluoghi nelle fabbriche, delle valutazioni dei danni subiti e delle vicende umane che, tra luci e ombre, coinvolsero dirigenti di un ente, l'IRI, di cui le autorità alleate in quelle giornate confuse del 1943 stentavano a capirne la funzione, se non la stessa esistenza. Saraceno non lesinò sforzi e mise in opera tutta l’abilità maturata in anni di esperienza, durante i quali aveva ricoperto importantissimi compiti di responsabilità. L’alta competenza lo portò a dirigere, già dall’agosto del 1944, un piccolo gruppo di lavoro composto da una decina di dirigenti dell'IRI che diede vita al Centro Studi e Piani Tecnico-Economici (CESPTE), il quale, divenuto successivamente organo consultivo del CNEL, ricevette per conto del Ministero dell'Industria l'incarico dì definire cosa servisse all'industria italiana per ritornare alla normalità, dopo due anni di stasi forzata a causa di bombardamenti, o per mancanza dì energia e di materia prima. Saraceno era pienamente consapevole del delicato ruolo che con il suo modesto Centro studi andava a ricoprire, e cioè quello di creare una linea guida al governo, che avrebbe così più adeguatamente indirizzata l'azione imprenditoriale verso un meglio coordinato sviluppo economico. Lo studio, portato a termine nel dicembre del 1944 e intitolato “La ripresa della produzione industriale in Italia”, fu sottoposto prima alle osservazioni del CLN Alta Italia e poi all'esame del CIR. Alla fine ne uscì notevolmente ridimensionato e il titolo fu cambiato prima in “Programma delle importazioni essenziali per il 1945” e poi con quello definitivo di “Piano di primo aiuto (First Aid Pian)” che fu approvato solo con qualche modifica formale apportata da parte del governo degli Stati Uniti. Ma il lavoro e l'impegno di Saraceno per la ricostruzione era solo all'inizio. Appena qualche giorno dopo l'avvenuta liberazione del Nord Italia, egli fu incaricato di prendere contatti con il CLN Alta Italia presieduto da Rodolfo Morandi e nel cui ambito operava - come organo consultivo - una “Commissione centrale economica per l'Alta Italia” presieduta da Cesare Merzagora. L'incontro avuto con la Commissione portò alla stesura del “Piano di massima per la determinazione delle importazioni industriali dell'anno 1946”. Con questo documento, per la maggior parte opera di Saraceno, si pensò di riferire i bisogni non più a un semestre ben precisato (come era accaduto per il precedente “Piano di Primo Aiuto)”, ma all'intero anno 1946. Il “Piano di massima” aveva anche una sua particolarità, e cioè quella di poter essere considerato il primo vero documento di programmazione redatto nell'Italia di quegli anni. In esso emerge chiara la direzione verso cui Saraceno vuole che si dovesse procedere: sollevare già dalle prime fasi della ricostruzione il problema dell'occupazione e quindi del Mezzogiorno. Nessun dubbio, dunque, nel ritenere che Pasquale Saraceno sia prima che dopo la liberazione fosse convinto che dalle macerie della guerra, dalle occupazioni e da un ventennio di dittatura si potesse arrivare all'Italia della ragione. Egli pensava, con tutta la passione che lo contraddistingueva, che il futuro si sarebbe schiuso a un nuovo e più giusto ordine sociale ed economico e che proprio sui cumuli delle macerie si sarebbe potuto ricostruire un'autentica unificazione del paese. Ma l'Italia che si stava ricostruendo, giorno dopo giorno, si allontanava da quel suo modello di Paese che all'IRI, con Menichella e Paronetto, Saraceno aveva creduto si sarebbe potuto costruire con la fine del fascismo e della guerra. Ma, soprattutto, si allontanava da quell'Italia che egli aveva immaginato quando insieme a Capograssi, Paronetto e Vanoni partecipò alla stesura del Codice di Camaldoli, in cui si teorizzava un nuovo ordine - nello Stato e nell'economia - che aveva come fine la realizzazione della giustizia sociale. Gli fu subito chiaro che la ricostruzione in Italia non sarebbe stata del tutto ‘la sua ricostruzione’, e soprattutto che sarebbe stata ‘crescita’ anche di squilibri. Allorquando, infatti, fu chiamato all'elaborazione di un “Programma di sviluppo economico quadriennale" per conto del CIR, nonostante lo stesso vice Presidente Tremelloni avesse riconosciuto a Saraceno e al suo Centro Studi (CESPTE) il merito di aver tracciato le linee guida del programma; tuttavia, quando fu ufficialmente presentato all'OECE nel novembre del 1948, dal documento non emergeva il discorso sul Mezzogiorno che Saraceno aveva individuato quale necessità prioritaria. Un cambiamento di indirizzo le cui ragioni certamente vanno ricercate fra motivazioni di carattere politico e, quindi, di “equilibrio delle forze”, rispetto ad un programma - quale appunto l'ERP - cosi importante per il futuro dell'Italia. La strategia impostata da Saraceno nell'elaborazione del “Programma quadriennale” puntava su un maggior intervento del pubblico nelle infrastrutture, nei servizi, nell'edilizia, nell'agricoltura e nell'industria stessa allo scopo di influenzare l'economia privata fino al punto di indirizzarla, dettandone le linee di sviluppo. Questa, secondo l'idea di Saraceno, era la strada migliore da percorrere per una pronta e valida soluzione dei problemi che al momento affliggevano l'economia italiana: eliminazione del deficit nella bilancia commerciale, assorbimento della disoccupazione, riduzione del dualismo economico (divario Nord-Sud). Occupazione e sviluppo del Mezzogiorno erano i due nodi cruciali da sciogliere per risolvere tutti gli altri problemi, oltre a rappresentare la premessa essenziale e determinante per un vero sviluppo economico complessivo. In buona sostanza, si trattava di creare le condizioni ambientali favorevoli a che le industrie del Nord fossero stimolate a investire in impianti produttivi da localizzare al Sud. Inoltre, la formazione di un'industria di Stato avrebbe richiesto sforzi finanziari troppo onerosi rispetto a quelli che sarebbero stati i risultati possibili. Comunque, nonostante la scelta in sede CIR-OECE si discostasse dall'architettura progettata da Saraceno in merito ai problemi del Mezzogiorno, dell'occupazione e dell'emigrazione, di fatto l'intervento infrastrutturale verrà ripreso dal Governo nel 1950 con due importanti riforme, e cioè con la Riforma Agraria e con la creazione della Cassa per il Mezzogiorno.

Pasquale Saraceno e i primi atti della programmazione economica per la ricostruzione

DI SALVIA, Biagio
2004-01-01

Abstract

L’IRI viveva giorni confusi e difficili dopo che, nell’ottobre del 1943, il governo repubblichino di Salò aveva sciolto l'intero Consiglio d'Amministrazione dell'IRI e trasferito la Direzione a Milano. Donato Menichella, dimessosi da Direttore Generale si era dato alla clandestinità e Saraceno pur di evitare il suo trasferimento a Milano si era fatto distaccare presso la sede laziale dell'Alfa Romeo, da dove nei giorni successivi la liberazione di Roma, partì in estenuanti e importanti missioni presso le diverse aziende campane e pugliesi dell’IRI, che ora – ripristinati i collegamenti – finalmente potevano raggiunte. Quelli furono i giorni dei sopralluoghi nelle fabbriche, delle valutazioni dei danni subiti e delle vicende umane che, tra luci e ombre, coinvolsero dirigenti di un ente, l'IRI, di cui le autorità alleate in quelle giornate confuse del 1943 stentavano a capirne la funzione, se non la stessa esistenza. Saraceno non lesinò sforzi e mise in opera tutta l’abilità maturata in anni di esperienza, durante i quali aveva ricoperto importantissimi compiti di responsabilità. L’alta competenza lo portò a dirigere, già dall’agosto del 1944, un piccolo gruppo di lavoro composto da una decina di dirigenti dell'IRI che diede vita al Centro Studi e Piani Tecnico-Economici (CESPTE), il quale, divenuto successivamente organo consultivo del CNEL, ricevette per conto del Ministero dell'Industria l'incarico dì definire cosa servisse all'industria italiana per ritornare alla normalità, dopo due anni di stasi forzata a causa di bombardamenti, o per mancanza dì energia e di materia prima. Saraceno era pienamente consapevole del delicato ruolo che con il suo modesto Centro studi andava a ricoprire, e cioè quello di creare una linea guida al governo, che avrebbe così più adeguatamente indirizzata l'azione imprenditoriale verso un meglio coordinato sviluppo economico. Lo studio, portato a termine nel dicembre del 1944 e intitolato “La ripresa della produzione industriale in Italia”, fu sottoposto prima alle osservazioni del CLN Alta Italia e poi all'esame del CIR. Alla fine ne uscì notevolmente ridimensionato e il titolo fu cambiato prima in “Programma delle importazioni essenziali per il 1945” e poi con quello definitivo di “Piano di primo aiuto (First Aid Pian)” che fu approvato solo con qualche modifica formale apportata da parte del governo degli Stati Uniti. Ma il lavoro e l'impegno di Saraceno per la ricostruzione era solo all'inizio. Appena qualche giorno dopo l'avvenuta liberazione del Nord Italia, egli fu incaricato di prendere contatti con il CLN Alta Italia presieduto da Rodolfo Morandi e nel cui ambito operava - come organo consultivo - una “Commissione centrale economica per l'Alta Italia” presieduta da Cesare Merzagora. L'incontro avuto con la Commissione portò alla stesura del “Piano di massima per la determinazione delle importazioni industriali dell'anno 1946”. Con questo documento, per la maggior parte opera di Saraceno, si pensò di riferire i bisogni non più a un semestre ben precisato (come era accaduto per il precedente “Piano di Primo Aiuto)”, ma all'intero anno 1946. Il “Piano di massima” aveva anche una sua particolarità, e cioè quella di poter essere considerato il primo vero documento di programmazione redatto nell'Italia di quegli anni. In esso emerge chiara la direzione verso cui Saraceno vuole che si dovesse procedere: sollevare già dalle prime fasi della ricostruzione il problema dell'occupazione e quindi del Mezzogiorno. Nessun dubbio, dunque, nel ritenere che Pasquale Saraceno sia prima che dopo la liberazione fosse convinto che dalle macerie della guerra, dalle occupazioni e da un ventennio di dittatura si potesse arrivare all'Italia della ragione. Egli pensava, con tutta la passione che lo contraddistingueva, che il futuro si sarebbe schiuso a un nuovo e più giusto ordine sociale ed economico e che proprio sui cumuli delle macerie si sarebbe potuto ricostruire un'autentica unificazione del paese. Ma l'Italia che si stava ricostruendo, giorno dopo giorno, si allontanava da quel suo modello di Paese che all'IRI, con Menichella e Paronetto, Saraceno aveva creduto si sarebbe potuto costruire con la fine del fascismo e della guerra. Ma, soprattutto, si allontanava da quell'Italia che egli aveva immaginato quando insieme a Capograssi, Paronetto e Vanoni partecipò alla stesura del Codice di Camaldoli, in cui si teorizzava un nuovo ordine - nello Stato e nell'economia - che aveva come fine la realizzazione della giustizia sociale. Gli fu subito chiaro che la ricostruzione in Italia non sarebbe stata del tutto ‘la sua ricostruzione’, e soprattutto che sarebbe stata ‘crescita’ anche di squilibri. Allorquando, infatti, fu chiamato all'elaborazione di un “Programma di sviluppo economico quadriennale" per conto del CIR, nonostante lo stesso vice Presidente Tremelloni avesse riconosciuto a Saraceno e al suo Centro Studi (CESPTE) il merito di aver tracciato le linee guida del programma; tuttavia, quando fu ufficialmente presentato all'OECE nel novembre del 1948, dal documento non emergeva il discorso sul Mezzogiorno che Saraceno aveva individuato quale necessità prioritaria. Un cambiamento di indirizzo le cui ragioni certamente vanno ricercate fra motivazioni di carattere politico e, quindi, di “equilibrio delle forze”, rispetto ad un programma - quale appunto l'ERP - cosi importante per il futuro dell'Italia. La strategia impostata da Saraceno nell'elaborazione del “Programma quadriennale” puntava su un maggior intervento del pubblico nelle infrastrutture, nei servizi, nell'edilizia, nell'agricoltura e nell'industria stessa allo scopo di influenzare l'economia privata fino al punto di indirizzarla, dettandone le linee di sviluppo. Questa, secondo l'idea di Saraceno, era la strada migliore da percorrere per una pronta e valida soluzione dei problemi che al momento affliggevano l'economia italiana: eliminazione del deficit nella bilancia commerciale, assorbimento della disoccupazione, riduzione del dualismo economico (divario Nord-Sud). Occupazione e sviluppo del Mezzogiorno erano i due nodi cruciali da sciogliere per risolvere tutti gli altri problemi, oltre a rappresentare la premessa essenziale e determinante per un vero sviluppo economico complessivo. In buona sostanza, si trattava di creare le condizioni ambientali favorevoli a che le industrie del Nord fossero stimolate a investire in impianti produttivi da localizzare al Sud. Inoltre, la formazione di un'industria di Stato avrebbe richiesto sforzi finanziari troppo onerosi rispetto a quelli che sarebbero stati i risultati possibili. Comunque, nonostante la scelta in sede CIR-OECE si discostasse dall'architettura progettata da Saraceno in merito ai problemi del Mezzogiorno, dell'occupazione e dell'emigrazione, di fatto l'intervento infrastrutturale verrà ripreso dal Governo nel 1950 con due importanti riforme, e cioè con la Riforma Agraria e con la creazione della Cassa per il Mezzogiorno.
2004
9788889373071
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