Con la l. 14 febbraio 2006, n. 55 è stato introdotto nel nostro ordinamento codistico il nuovo strumento del patto di famiglia; istituto tanto auspicato ed acclamato prima, quanto criticato ed avversato poi, con toni e fervore a tal punto “risorgimentali” da richiamare alla mente la paradossale vicenda – anche quella tutta italiana – di Giovanni Maria Mastai Ferretti. E se anche del nuovo strumento c’è chi già sussurra una “cacciata a Gaeta”, non deve apparire un caso come spesso le accuse provengano dalle medesime voci che lo avevano sostenuto lungo il percorso di positivizzazione. Anche la puntualità e l’irruenza delle stesse sembra suggerire un risultato normativo a dir poco deludente, di là dalle prevedibili difficoltà di un istituto il quale nasce complesso giacché stretto tra i divieti del diritto successorio e gli spazi dell’autonomia privata. E così, al pari di quanto efficacemente rimarcato, sul terreno del patto di famiglia sembra già si combatta una “battaglia ermeneutica” nel nome di una lettura estensiva che affranchi l’istituto dalla stretta logica di eccezionalità e settorialità in cui taluni vorrebbero confinarlo. E se non le truppe francesi del generale Oudinot, a riportare la novella nel suo corretto ambito si disvelerà insufficiente un semplice percorso di esegesi letterale, atteso che la recente disaffezione legislativa per le ricostruzioni dogmatiche appare nello strumento in questione aver assunto dimensioni a tratti imbarazzanti. Tralasciando, nondimeno, parallelismi ed accenti vagamente e vanamente lirici, l’indagine procede per ordine, secondo una metodologia ortodossa ed in maniera analitica, a partire dal dato positivo. La novella ha, infatti, innanzitutto modificato l’art. 458 c.c., anteponendo al divieto di patti successori una clausola di salvezza che recita: “fatto salvo quanto disposto dagli articoli 768 bis e seguenti”. Ed ha, di poi, introdotto tali nuovi articoli, in specie dal 768 bis al 768 octies c.c., raggruppati in un nuovo e specifico capo V bis, intitolato giustappunto “Del patto di famiglia”, e collocato nel titolo IV del libro II del codice, dedicato, come è noto, alla divisione. Appare evidente che la questione della piena comprensione di tali recenti disposizioni, passa attraverso la risoluzione degli interrogativi sulla correttezza delle scelte sistematiche nonché sull’opportunità dell’intervento sull’art. 458 c.c. che subito si appalesano dinanzi all’interprete. Ma rifuggendo dalle tentazioni di balzi in avanti e ritornando, per quanto possibile, su di un sentiero metodologicamente ordinato, deve individuarsi il punto di partenza nel momento definitorio, per poi da qui intraprendere il percorso ermeneutico, anche eventualmente raffrontando la soluzione adottata con quanto vigente negli ordinamenti di civil law.

Il patto di famiglia

MATERA, PIERLUIGI
2007-01-01

Abstract

Con la l. 14 febbraio 2006, n. 55 è stato introdotto nel nostro ordinamento codistico il nuovo strumento del patto di famiglia; istituto tanto auspicato ed acclamato prima, quanto criticato ed avversato poi, con toni e fervore a tal punto “risorgimentali” da richiamare alla mente la paradossale vicenda – anche quella tutta italiana – di Giovanni Maria Mastai Ferretti. E se anche del nuovo strumento c’è chi già sussurra una “cacciata a Gaeta”, non deve apparire un caso come spesso le accuse provengano dalle medesime voci che lo avevano sostenuto lungo il percorso di positivizzazione. Anche la puntualità e l’irruenza delle stesse sembra suggerire un risultato normativo a dir poco deludente, di là dalle prevedibili difficoltà di un istituto il quale nasce complesso giacché stretto tra i divieti del diritto successorio e gli spazi dell’autonomia privata. E così, al pari di quanto efficacemente rimarcato, sul terreno del patto di famiglia sembra già si combatta una “battaglia ermeneutica” nel nome di una lettura estensiva che affranchi l’istituto dalla stretta logica di eccezionalità e settorialità in cui taluni vorrebbero confinarlo. E se non le truppe francesi del generale Oudinot, a riportare la novella nel suo corretto ambito si disvelerà insufficiente un semplice percorso di esegesi letterale, atteso che la recente disaffezione legislativa per le ricostruzioni dogmatiche appare nello strumento in questione aver assunto dimensioni a tratti imbarazzanti. Tralasciando, nondimeno, parallelismi ed accenti vagamente e vanamente lirici, l’indagine procede per ordine, secondo una metodologia ortodossa ed in maniera analitica, a partire dal dato positivo. La novella ha, infatti, innanzitutto modificato l’art. 458 c.c., anteponendo al divieto di patti successori una clausola di salvezza che recita: “fatto salvo quanto disposto dagli articoli 768 bis e seguenti”. Ed ha, di poi, introdotto tali nuovi articoli, in specie dal 768 bis al 768 octies c.c., raggruppati in un nuovo e specifico capo V bis, intitolato giustappunto “Del patto di famiglia”, e collocato nel titolo IV del libro II del codice, dedicato, come è noto, alla divisione. Appare evidente che la questione della piena comprensione di tali recenti disposizioni, passa attraverso la risoluzione degli interrogativi sulla correttezza delle scelte sistematiche nonché sull’opportunità dell’intervento sull’art. 458 c.c. che subito si appalesano dinanzi all’interprete. Ma rifuggendo dalle tentazioni di balzi in avanti e ritornando, per quanto possibile, su di un sentiero metodologicamente ordinato, deve individuarsi il punto di partenza nel momento definitorio, per poi da qui intraprendere il percorso ermeneutico, anche eventualmente raffrontando la soluzione adottata con quanto vigente negli ordinamenti di civil law.
2007
9788834866900
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11386/1734792
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