Il saggio parte da un’analisi storico-critica della nozione di “persona”, quale dispositivo performativo (a partire dalla romanità) di secolari concetti culturali in genere e segnatamente etico-giuridici. Tra i quali quello di “soggetto”, che ne deriva direttamente, inteso quale “unione di anima e di corpo” e “coscienza autonoma responsabile di sé”. Dove però tale “unione” è realizzata sulla base di un processo di rimozione o esclusione interna della parte propriamente corporeo-materiale, che intanto è “unita” all’anima, ovvero alla coscienza, solo in quanto assoggettata a quest’ultima. Il personalismo (di Maritain e Mounier) per un verso e la fenomenologia husserliana per un altro (in particolare nella figura di Edith Stein) rappresentano le ultime formulazioni di un processo teorico di così lungo corso. Questo apparato categoriale, tipicamente moderno, è oggetto, da più di un secolo, di una radicale “decostruzione”. Il cui esito è la messa in questione della stessa nozione di “soggetto” moderno, che viene sottoposto ad una “fuoriuscita” o “allargamento” da/di sé. Gli autori presi in considerazione – Bergson, Merleau-Ponty e Deleuze – consentono di curvare questa piega decostruttiva nella direzione di un recupero della falda “impersonale” da cui il soggetto stesso proviene, in modo da riunirlo alla parte di sé rimossa o esclusa. Il lavoro in oggetto si configura così come un contributo originale alla tematica della “persona”, allargandola verso una inedita dimensione “impersonale”, da quella esclusa.

Fuori della persona. "L'impersonale" in Merleau-Ponty, Bergson e Deleuze

LISCIANI PETRINI, Enrica
2007-01-01

Abstract

Il saggio parte da un’analisi storico-critica della nozione di “persona”, quale dispositivo performativo (a partire dalla romanità) di secolari concetti culturali in genere e segnatamente etico-giuridici. Tra i quali quello di “soggetto”, che ne deriva direttamente, inteso quale “unione di anima e di corpo” e “coscienza autonoma responsabile di sé”. Dove però tale “unione” è realizzata sulla base di un processo di rimozione o esclusione interna della parte propriamente corporeo-materiale, che intanto è “unita” all’anima, ovvero alla coscienza, solo in quanto assoggettata a quest’ultima. Il personalismo (di Maritain e Mounier) per un verso e la fenomenologia husserliana per un altro (in particolare nella figura di Edith Stein) rappresentano le ultime formulazioni di un processo teorico di così lungo corso. Questo apparato categoriale, tipicamente moderno, è oggetto, da più di un secolo, di una radicale “decostruzione”. Il cui esito è la messa in questione della stessa nozione di “soggetto” moderno, che viene sottoposto ad una “fuoriuscita” o “allargamento” da/di sé. Gli autori presi in considerazione – Bergson, Merleau-Ponty e Deleuze – consentono di curvare questa piega decostruttiva nella direzione di un recupero della falda “impersonale” da cui il soggetto stesso proviene, in modo da riunirlo alla parte di sé rimossa o esclusa. Il lavoro in oggetto si configura così come un contributo originale alla tematica della “persona”, allargandola verso una inedita dimensione “impersonale”, da quella esclusa.
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