Le usurpazioni territoriali, patrimoniali e giurisdizionali dei feudatari laici rappresentano una voce importante nelle imputazioni formulate dai tribunali ecclesiastici nel periodo post-tridentino, dopo che l’insistente riaffermazione della Bolla In Coena Domini contribuisce a rafforzare la tendenza a far coincidere il reato con il peccato, nell’ottica della convergenza tra eresia e ribellione che caratterizza lo scenario etico-giuridico di età moderna e fondamentalmente domina le pratiche di governo dell’istituzione “Stato” e dell’istituzione “Chiesa” nell’Europa di antico regime. Le Relationes ad limina stilate dai vescovi post-conciliari abbondano di lagnanze contro gli abusi dei laici nei confronti della proprietà e dei diritti ecclesiastici, in particolare contro la rapacità e l’irriverenza dei barones, molti dei quali vengono descritti come ostinatamente inadempienti nel versamento delle decime, palesemente indifferenti all’osservanza delle giurisdizioni e del godimento dei benefici ecclesiastici, voracemente pronti ad erodere i beni della Chiesa, prepotentemente disposti a spalleggiare le usurpazioni e le offese perpetrate dai loro vassalli nei riguardi delle prerogative vantate dal clero e dagli enti religiosi. Il quadro che emerge da queste fonti evidenzia un elevato grado di conflittualità tra il mondo feudale e gli organismi di governo ecclesiastico, che attaccano o si difendono con l’uso abbondante delle armi della censura e della scomunica, per la cui applicazione subiscono spesso un forte ostruzionismo da parte dei vertici statali, interessati alla salvaguardia della giurisdizione civile dalla strabordante ingerenza della Chiesa. E’ il caso del prevalente atteggiamento delle autorità vicereali, di cui i presuli meridionali lamentano l’ostilità e la scarsa collaborazione, in occasione dell’esecuzione di sentenze di scomunica o di comparizione a carico di regnicoli, alle quali viene frequentemente negato il regio assenso. Ostinati e pubblici dissacratori appaiono, dunque, numerosi feudatari agli occhi dei tribunali ecclesiastici pronti a perseguire atti di insubordinazione che vengono considerati come delitti di fede. E proprio sul piano della repressione dell’insubordinazione e del dissenso si verifica, in molte altre circostanze, la convergenza degli interessi di Stato e Chiesa, entrambi orientati a disciplinare la società al fine di ottenere fedeltà ed ordine. L’esercizio del potere non tollera alcuna forma di devianza e su tale terreno le strategie messe in atto dalle autorità civili e da quelle religiose tendono a coincidere.

Tra religione e feudalità: note sul Mezzogiorno in età moderna

NOTO, Maria Anna
2009-01-01

Abstract

Le usurpazioni territoriali, patrimoniali e giurisdizionali dei feudatari laici rappresentano una voce importante nelle imputazioni formulate dai tribunali ecclesiastici nel periodo post-tridentino, dopo che l’insistente riaffermazione della Bolla In Coena Domini contribuisce a rafforzare la tendenza a far coincidere il reato con il peccato, nell’ottica della convergenza tra eresia e ribellione che caratterizza lo scenario etico-giuridico di età moderna e fondamentalmente domina le pratiche di governo dell’istituzione “Stato” e dell’istituzione “Chiesa” nell’Europa di antico regime. Le Relationes ad limina stilate dai vescovi post-conciliari abbondano di lagnanze contro gli abusi dei laici nei confronti della proprietà e dei diritti ecclesiastici, in particolare contro la rapacità e l’irriverenza dei barones, molti dei quali vengono descritti come ostinatamente inadempienti nel versamento delle decime, palesemente indifferenti all’osservanza delle giurisdizioni e del godimento dei benefici ecclesiastici, voracemente pronti ad erodere i beni della Chiesa, prepotentemente disposti a spalleggiare le usurpazioni e le offese perpetrate dai loro vassalli nei riguardi delle prerogative vantate dal clero e dagli enti religiosi. Il quadro che emerge da queste fonti evidenzia un elevato grado di conflittualità tra il mondo feudale e gli organismi di governo ecclesiastico, che attaccano o si difendono con l’uso abbondante delle armi della censura e della scomunica, per la cui applicazione subiscono spesso un forte ostruzionismo da parte dei vertici statali, interessati alla salvaguardia della giurisdizione civile dalla strabordante ingerenza della Chiesa. E’ il caso del prevalente atteggiamento delle autorità vicereali, di cui i presuli meridionali lamentano l’ostilità e la scarsa collaborazione, in occasione dell’esecuzione di sentenze di scomunica o di comparizione a carico di regnicoli, alle quali viene frequentemente negato il regio assenso. Ostinati e pubblici dissacratori appaiono, dunque, numerosi feudatari agli occhi dei tribunali ecclesiastici pronti a perseguire atti di insubordinazione che vengono considerati come delitti di fede. E proprio sul piano della repressione dell’insubordinazione e del dissenso si verifica, in molte altre circostanze, la convergenza degli interessi di Stato e Chiesa, entrambi orientati a disciplinare la società al fine di ottenere fedeltà ed ordine. L’esercizio del potere non tollera alcuna forma di devianza e su tale terreno le strategie messe in atto dalle autorità civili e da quelle religiose tendono a coincidere.
2009
9788843052240
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11386/2296136
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