A partire dall’ultimo ventennio dell’Ottocento inizia a profilarsi il dibattito sulla crisi del sistema parlamentare in Italia che diventa un tema dominante della giuspubblicistica nell’immediato primo dopoguerra acquisendo i toni di un radicale antiparlamentarismo. Strettamente connesso a questo tema, è quello sulla natura della rappresentanza politica. Il fascismo, antiparlamentarista e volto ad una radicale riforma della rappresentanza politica liberale in chiave corporativa, riesce a coagulare consensi, soprattutto nei primi anni del ventennio, anche in ambienti tutt’altro che fascisti. Ad una ampia discussione scientifica sulla rappresentanza politica, le scelte di Mussolini sembrano tuttavia guidate più da strategie politiche volte al consolidamento del potere che da una coerente impostazione istituzionalistica. Dalla riforma elettorale del 1923, sino alla abolizione della Camera dei Deputati, passando per la riforma del 1928, l’istituto parlamentare subisce un drastico depotenziamento che consente al Duce di occupare un ruolo centrale negli equilibri politico-istituzionali tale da poter applicare in maniera incontrastata una politica tendenzialmente totalitaria.

Il fascismo e la rappresentanza politica tra cultura politica e cultura giuridica. 1919-1928: verso lo Stato corporativo

AMATO, ANNAMARIA
2009-01-01

Abstract

A partire dall’ultimo ventennio dell’Ottocento inizia a profilarsi il dibattito sulla crisi del sistema parlamentare in Italia che diventa un tema dominante della giuspubblicistica nell’immediato primo dopoguerra acquisendo i toni di un radicale antiparlamentarismo. Strettamente connesso a questo tema, è quello sulla natura della rappresentanza politica. Il fascismo, antiparlamentarista e volto ad una radicale riforma della rappresentanza politica liberale in chiave corporativa, riesce a coagulare consensi, soprattutto nei primi anni del ventennio, anche in ambienti tutt’altro che fascisti. Ad una ampia discussione scientifica sulla rappresentanza politica, le scelte di Mussolini sembrano tuttavia guidate più da strategie politiche volte al consolidamento del potere che da una coerente impostazione istituzionalistica. Dalla riforma elettorale del 1923, sino alla abolizione della Camera dei Deputati, passando per la riforma del 1928, l’istituto parlamentare subisce un drastico depotenziamento che consente al Duce di occupare un ruolo centrale negli equilibri politico-istituzionali tale da poter applicare in maniera incontrastata una politica tendenzialmente totalitaria.
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