L’autore parte da due considerazioni preliminari: la prima, ovvia, che Meriggio è uno dei testi poetici dannunziani più costruiti e “lavorati”; la seconda, che la particolare “cura” strutturale del testo ne enfatizza i grezzi dati semantici. In quanto testo campione del panismo dannunziano, l’autore ne ripercorre tutti i cartoni preparatori, da alcuni testi di Canto novo 82 e Canto novo 96 a tutta una ragnatela di riferimenti interni ad Alcyone (da La tenzone a Bocca d’Arno, ecc), o esterni, che vanno da alcuni brani narrativi ad altri passi poetici (in primis L’Annunzio di Maia) fino alle annotazioni anticipatrici non solo del cosiddetto ben noto Taccuino alcionio ma anche dei Taccuini cronologicamente adiacenti a quello alcionio. L’autore sottopone poi le quattro strofe lunghe di Meriggio, di 27 versi ciascuna più la coda di un verso-strofa, a una serrata analisi metrica, dalla quale risulta che il testo non fuoriesce dalle consuetudini polimetriche di D., già largamente sperimentate nella Laus Vitae, le cui misure-cardine sono dunque settenario e ottonario. Data l’impostazione concettuale della poesia, è pertanto facile pensare che il poeta abbia scelto versi tendenzialmente brevi perché più flessibili e plasmabili, sia verso il fermo-immagine (dilatazione-immobilizzazione dello spazio e sospensione del tempo), nelle prime due strofe, e sia, all’incontrario, verso il fluire delle immagini, il precipitare del tempo-spazio verso la “soluzione” finale, nelle ultime due strofe. Anche i risultati dell’analisi fonologica confermano il dato di un testo fortemente “orchestrato”. Dunque, come spesso in D., l’esaltazione panico-vitalistica s’invera in ebbrezza verbale, in un “amalgama” ritmo-fonico che ne è il corrispettivo formale. Riprendendo Scarano Lugnani e Roncoroni, l’auote sottolinea con forza la bipartizione semantica delle quattro strofe: le prime due, descrittive, con funzione di immobilizzazione degli elementi spaziali e rallentamento-sospensione temporale – da cui indugio descrittivo e adagio ritmico –; e le ultime due, che verificano in re il compiersi dell’estasi panico-superomistica. Le prime due strofe svolgono così una funzione preparatoria, valgono da “preliminari” dell’Evento mitico-mistico (ef-fusione e con-fusione del soggetto lirico con la Natura divina), che si realizza e verifica nelle ultime due strofe, tramite un congestionamento metaforico del linguaggio e una brusca accelerazione ritmica del testo.

Lettura di "Meriggio", IN

PIETROPAOLI, Antonio
2010-01-01

Abstract

L’autore parte da due considerazioni preliminari: la prima, ovvia, che Meriggio è uno dei testi poetici dannunziani più costruiti e “lavorati”; la seconda, che la particolare “cura” strutturale del testo ne enfatizza i grezzi dati semantici. In quanto testo campione del panismo dannunziano, l’autore ne ripercorre tutti i cartoni preparatori, da alcuni testi di Canto novo 82 e Canto novo 96 a tutta una ragnatela di riferimenti interni ad Alcyone (da La tenzone a Bocca d’Arno, ecc), o esterni, che vanno da alcuni brani narrativi ad altri passi poetici (in primis L’Annunzio di Maia) fino alle annotazioni anticipatrici non solo del cosiddetto ben noto Taccuino alcionio ma anche dei Taccuini cronologicamente adiacenti a quello alcionio. L’autore sottopone poi le quattro strofe lunghe di Meriggio, di 27 versi ciascuna più la coda di un verso-strofa, a una serrata analisi metrica, dalla quale risulta che il testo non fuoriesce dalle consuetudini polimetriche di D., già largamente sperimentate nella Laus Vitae, le cui misure-cardine sono dunque settenario e ottonario. Data l’impostazione concettuale della poesia, è pertanto facile pensare che il poeta abbia scelto versi tendenzialmente brevi perché più flessibili e plasmabili, sia verso il fermo-immagine (dilatazione-immobilizzazione dello spazio e sospensione del tempo), nelle prime due strofe, e sia, all’incontrario, verso il fluire delle immagini, il precipitare del tempo-spazio verso la “soluzione” finale, nelle ultime due strofe. Anche i risultati dell’analisi fonologica confermano il dato di un testo fortemente “orchestrato”. Dunque, come spesso in D., l’esaltazione panico-vitalistica s’invera in ebbrezza verbale, in un “amalgama” ritmo-fonico che ne è il corrispettivo formale. Riprendendo Scarano Lugnani e Roncoroni, l’auote sottolinea con forza la bipartizione semantica delle quattro strofe: le prime due, descrittive, con funzione di immobilizzazione degli elementi spaziali e rallentamento-sospensione temporale – da cui indugio descrittivo e adagio ritmico –; e le ultime due, che verificano in re il compiersi dell’estasi panico-superomistica. Le prime due strofe svolgono così una funzione preparatoria, valgono da “preliminari” dell’Evento mitico-mistico (ef-fusione e con-fusione del soggetto lirico con la Natura divina), che si realizza e verifica nelle ultime due strofe, tramite un congestionamento metaforico del linguaggio e una brusca accelerazione ritmica del testo.
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