Numerosi, e di poliedrica matrice epistemologica, gli studi che hanno affrontato il tema dei flussi migratori italiani dall’unificazione ai giorni nostri, sia riguardo a quelli diretti verso l’estero sia riguardo a quelli di natura interna. In questi studi, pur nella diversità degli approcci e dei quadri interpretativi, emerge con forza il principio che il fenomeno della mobilità territoriale difficilmente possa essere ricondotto ad un singolo contesto o fatto dipendere da un unico fattore causale, così come i suoi effetti debbano essere letti, necessariamente, in un caleidoscopico scenario di problemi e opportunità. Gli studi di matrice storico-demografica, privilegiando un approccio diacronico, hanno sottolineato la necessità di analizzare la materia migratoria in un’ampia prospettiva cronologica, per meglio coglierne le ragioni strutturali, gli snodi strategici, le tendenze evolutive. Infatti, in specie nel caso italiano, alla complessità dei percorsi spaziali e territoriali è corrisposto un quadro altrettanto articolato dei ritmi temporali e delle tipologie dell’emigrazione ed in tal senso le principali distinzioni adottate in letteratura sono quelle tra emigrazione «tradizionale» e «di massa»; emigrazione «stagionale», «temporanea» e «definitiva». Studi recenti hanno poi rimarcato la necessità della valorizzazione in sede scientifica dell’analisi della mobilità interna della popolazione, nella misura in cui essa si innesta e si incrocia con i flussi di mobilità esterna, in un rapporto di complessità e di reciproca interdipendenza. Sicché appare particolarmente significativa, nel caso italiano, per quanto talvolta di difficile misurazione, la partizione tra emigrazione «esterna» ed «interna», alimentata quest’ultima da fasce di popolazione che si sarebbero spostate periodicamente da una regione all’altra della penisola, ed in specie dal Sud al Centro-Nord. Questi movimenti migratori avrebbero conosciuto la fase di massima intensità negli anni del «boom economico», allorquando il Sud, in quanto area ad «arretratezza relativa», divenne funzionale all’industrializzazione del Nord, non solo come mercato di sbocco, ma anche come fornitore di risorse umane. I flussi migratori interni, rispetto a quelli diretti verso l’estero, presentano alcune peculiari connotazioni: in primo luogo sotto l’aspetto della duration, giacché nel caso delle migrazioni interne l’esperienza migratoria è in generale definitiva e non temporanea; in secondo luogo, la composizione sociale che alimenta tali flussi appare contrassegnarsi storicamente per la presenza significativa di ampie fasce di piccola borghesia con maggiore grado di istruzione. Cartina al tornasole dell’attuale situazione di pesante disagio socio-economico del Sud, come si evince dalla lettura dei periodici «Rapporti Svimez», è rappresentata proprio dal riesplodere, in forma robusta, del fenomeno migratorio interno. Infatti, come emerge dai dati di fonte Istat, dal 1997 al 2008 circa 700 mila residenti hanno abbandonato il Sud per trasferirsi al Centro-Nord, e di questi ben il 24% nel solo 2008. Da non trascurare poi il pendolarismo di lungo raggio, fenomeno che interessa persone residenti nel Mezzogiorno (nell’ordine di circa 173 mila) ma con un posto di lavoro al Centro-Nord. Il riproporsi di cospicui fenomeni di mobilità territoriale in uscita non mancherà di condizionare negativamente, forse più che in passato, l’evoluzione della struttura demografica, sociale ed economica del Mezzogiorno, nella misura in cui, sulla scia di un trend di sensibile calo della natalità, la fuoriuscita delle giovani coorti in età riproduttiva comporterà un complessivo invecchiamento della popolazione. Questa difficile transizione demografica, infatti, porterà il Sud ad affrontare i problemi propri di un’economia matura senza aver ancora superato la condizione di ritardo nello sviluppo. Fonte di massima preoccupazione, in questo allarmante quadro, il fatto che il nuovo consistente movimento migratorio proveniente dalle regioni meridionali risulta essere alimentato, in buona misura, da popolazione con elevato skill culturale e professionale. Tuttavia, la mobilità geografica se da un lato deprime le prospettive di crescita dell’economia meridionale (depauperata del suo capitale umano più qualificato), dall’altro appare l’unico mezzo per consentire alle popolazioni di quest’area una maggiore mobilità sociale. Il che si risolve, in ultima istanza, nella condanna ad un destino ineluttabile, per il Mezzogiorno, di mancato sviluppo autoctono e di semplice fornitore di risorse umane qualificate al resto del paese. Nella misura in cui possiamo affermare, suffragati da fondati elementi analitici, che il fenomeno migratorio italiano non possa considerarsi affatto concluso, riteniamo si aprano nuovi spazi per una riflessione che tenga conto delle peculiari esperienze maturate nel passato più o meno recente. Auspichiamo, peraltro, che una riflessione in chiave storico-economica del fenomeno della mobilità territoriale - tanto interna quanto esterna, in entrata quanto in uscita - possa rappresentare una preziosa «bussola» per le classi dirigenti per meglio destreggiarsi nella gestione dei flussi migratori e nell’elaborazione di più efficaci politiche di integrazione socio-territoriale delle popolazioni immigrate.

I flussi migratori tra memoria storica e nuovi modelli di mobilità. Le migrazioni interne e il Mezzogiorno.

SANTILLO, Marco
2010-01-01

Abstract

Numerosi, e di poliedrica matrice epistemologica, gli studi che hanno affrontato il tema dei flussi migratori italiani dall’unificazione ai giorni nostri, sia riguardo a quelli diretti verso l’estero sia riguardo a quelli di natura interna. In questi studi, pur nella diversità degli approcci e dei quadri interpretativi, emerge con forza il principio che il fenomeno della mobilità territoriale difficilmente possa essere ricondotto ad un singolo contesto o fatto dipendere da un unico fattore causale, così come i suoi effetti debbano essere letti, necessariamente, in un caleidoscopico scenario di problemi e opportunità. Gli studi di matrice storico-demografica, privilegiando un approccio diacronico, hanno sottolineato la necessità di analizzare la materia migratoria in un’ampia prospettiva cronologica, per meglio coglierne le ragioni strutturali, gli snodi strategici, le tendenze evolutive. Infatti, in specie nel caso italiano, alla complessità dei percorsi spaziali e territoriali è corrisposto un quadro altrettanto articolato dei ritmi temporali e delle tipologie dell’emigrazione ed in tal senso le principali distinzioni adottate in letteratura sono quelle tra emigrazione «tradizionale» e «di massa»; emigrazione «stagionale», «temporanea» e «definitiva». Studi recenti hanno poi rimarcato la necessità della valorizzazione in sede scientifica dell’analisi della mobilità interna della popolazione, nella misura in cui essa si innesta e si incrocia con i flussi di mobilità esterna, in un rapporto di complessità e di reciproca interdipendenza. Sicché appare particolarmente significativa, nel caso italiano, per quanto talvolta di difficile misurazione, la partizione tra emigrazione «esterna» ed «interna», alimentata quest’ultima da fasce di popolazione che si sarebbero spostate periodicamente da una regione all’altra della penisola, ed in specie dal Sud al Centro-Nord. Questi movimenti migratori avrebbero conosciuto la fase di massima intensità negli anni del «boom economico», allorquando il Sud, in quanto area ad «arretratezza relativa», divenne funzionale all’industrializzazione del Nord, non solo come mercato di sbocco, ma anche come fornitore di risorse umane. I flussi migratori interni, rispetto a quelli diretti verso l’estero, presentano alcune peculiari connotazioni: in primo luogo sotto l’aspetto della duration, giacché nel caso delle migrazioni interne l’esperienza migratoria è in generale definitiva e non temporanea; in secondo luogo, la composizione sociale che alimenta tali flussi appare contrassegnarsi storicamente per la presenza significativa di ampie fasce di piccola borghesia con maggiore grado di istruzione. Cartina al tornasole dell’attuale situazione di pesante disagio socio-economico del Sud, come si evince dalla lettura dei periodici «Rapporti Svimez», è rappresentata proprio dal riesplodere, in forma robusta, del fenomeno migratorio interno. Infatti, come emerge dai dati di fonte Istat, dal 1997 al 2008 circa 700 mila residenti hanno abbandonato il Sud per trasferirsi al Centro-Nord, e di questi ben il 24% nel solo 2008. Da non trascurare poi il pendolarismo di lungo raggio, fenomeno che interessa persone residenti nel Mezzogiorno (nell’ordine di circa 173 mila) ma con un posto di lavoro al Centro-Nord. Il riproporsi di cospicui fenomeni di mobilità territoriale in uscita non mancherà di condizionare negativamente, forse più che in passato, l’evoluzione della struttura demografica, sociale ed economica del Mezzogiorno, nella misura in cui, sulla scia di un trend di sensibile calo della natalità, la fuoriuscita delle giovani coorti in età riproduttiva comporterà un complessivo invecchiamento della popolazione. Questa difficile transizione demografica, infatti, porterà il Sud ad affrontare i problemi propri di un’economia matura senza aver ancora superato la condizione di ritardo nello sviluppo. Fonte di massima preoccupazione, in questo allarmante quadro, il fatto che il nuovo consistente movimento migratorio proveniente dalle regioni meridionali risulta essere alimentato, in buona misura, da popolazione con elevato skill culturale e professionale. Tuttavia, la mobilità geografica se da un lato deprime le prospettive di crescita dell’economia meridionale (depauperata del suo capitale umano più qualificato), dall’altro appare l’unico mezzo per consentire alle popolazioni di quest’area una maggiore mobilità sociale. Il che si risolve, in ultima istanza, nella condanna ad un destino ineluttabile, per il Mezzogiorno, di mancato sviluppo autoctono e di semplice fornitore di risorse umane qualificate al resto del paese. Nella misura in cui possiamo affermare, suffragati da fondati elementi analitici, che il fenomeno migratorio italiano non possa considerarsi affatto concluso, riteniamo si aprano nuovi spazi per una riflessione che tenga conto delle peculiari esperienze maturate nel passato più o meno recente. Auspichiamo, peraltro, che una riflessione in chiave storico-economica del fenomeno della mobilità territoriale - tanto interna quanto esterna, in entrata quanto in uscita - possa rappresentare una preziosa «bussola» per le classi dirigenti per meglio destreggiarsi nella gestione dei flussi migratori e nell’elaborazione di più efficaci politiche di integrazione socio-territoriale delle popolazioni immigrate.
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