La necessità di salvaguardare gli equilibri di bilancio e di ottimizzare gli standards di rendimento dell’immenso, cospicuo patrimonio pubblico italiano ha indotto il Legislatore a ridefinire lo statuto giuridico tipico della proprietà pubblica. L’inalienabilità della proprietà pubblica è stata per tanti anni un dogma ordinamentale. A partire dagli anni 2000, sotto la spinta delle pressanti logiche di bilancio imposte dal Trattato di Maastricht, l’amministrazione dei beni pubblici ha vissuto una rivoluzione epocale, che ha visto l’inalienabilità da regola farsi eccezione. Il percorso evolutivo ha interessato nell’ultimo decennio anche il sistema di gestione della proprietà immobiliare culturale degli enti pubblici. Sono rimaste invariate rispetto al precedente modello legislativo le categorie di classificazione dei beni immobili culturali di proprietà dello Stato, degli altri enti territoriali e degli enti non territoriali. Ci sono beni che assumono giuridico rilievo per le loro caratteristiche strutturali ed ontologiche e beni che, invece, vengono in rilievo solo perché capaci di esprimere un interesse culturale “particolarmente importante”, per il loro collegamento con eventi importanti della storia, dell’arte e della cultura in genere. Risultano, invece, profondamente modificati i procedimenti di individuazione e di ricognizione della proprietà culturale pubblica. La positivizzazione del nuovo procedimento di verifica dell’interesse culturale e la ristrutturazione del classico procedimento di dichiarazione dell’interesse culturale esprimono l’esigenza di accrescere il tasso di efficacia e di efficienza dei meccanismi di catalogazione del patrimonio culturale pubblico, anche in funzione di una eventuale dismissione. Per poter valorizzare ed, eventualmente, dimettere, l’ente pubblico deve prima classificare compiutamente le proprie risorse patrimoniali. Dall’analisi dei meccanismi di catalogazione si passa, poi, all’esame del regime circolatorio tipico della dimensione culturale. Sotto questo profilo, la nuova regolazione sostanziale opera una netta inversione di rotta rispetto al passato. Dalla tendenza alla pubblicizzazione del patrimonio culturale recepita dal Testo Unico del 1999, si passa, nel D.P.R. n. 283/2000, prima, e nel Codice del 2004, poi, all’alienabilità del demanio culturale. La riaffermazione dell’alienabilità del patrimonio culturale passa attraverso la scissione, nella legislazione di settore, del profilo soggettivo dell’appartenenza da quello funzionale della destinazione. Ci si è accorti, in altri termini, che un bene culturale può restare destinato alla pubblica fruibilità anche se, nel frattempo, acquisito in proprietà privata. L’indefettibile autorizzazione alla vendita diviene, allora, lo strumento mediante il quale il pubblico potere, che si appresta a dimettere il bene, si assicura che esso non venga sottratto alla sua intrinseca funzione pubblicistica. Più che la proprietà del bene, si decide così di tutelare la sua pubblica destinazione.

La proprietà immobiliare culturale degli enti pubblici: individuazione e circolazione

D'EMMA, Gaetano
2010-01-01

Abstract

La necessità di salvaguardare gli equilibri di bilancio e di ottimizzare gli standards di rendimento dell’immenso, cospicuo patrimonio pubblico italiano ha indotto il Legislatore a ridefinire lo statuto giuridico tipico della proprietà pubblica. L’inalienabilità della proprietà pubblica è stata per tanti anni un dogma ordinamentale. A partire dagli anni 2000, sotto la spinta delle pressanti logiche di bilancio imposte dal Trattato di Maastricht, l’amministrazione dei beni pubblici ha vissuto una rivoluzione epocale, che ha visto l’inalienabilità da regola farsi eccezione. Il percorso evolutivo ha interessato nell’ultimo decennio anche il sistema di gestione della proprietà immobiliare culturale degli enti pubblici. Sono rimaste invariate rispetto al precedente modello legislativo le categorie di classificazione dei beni immobili culturali di proprietà dello Stato, degli altri enti territoriali e degli enti non territoriali. Ci sono beni che assumono giuridico rilievo per le loro caratteristiche strutturali ed ontologiche e beni che, invece, vengono in rilievo solo perché capaci di esprimere un interesse culturale “particolarmente importante”, per il loro collegamento con eventi importanti della storia, dell’arte e della cultura in genere. Risultano, invece, profondamente modificati i procedimenti di individuazione e di ricognizione della proprietà culturale pubblica. La positivizzazione del nuovo procedimento di verifica dell’interesse culturale e la ristrutturazione del classico procedimento di dichiarazione dell’interesse culturale esprimono l’esigenza di accrescere il tasso di efficacia e di efficienza dei meccanismi di catalogazione del patrimonio culturale pubblico, anche in funzione di una eventuale dismissione. Per poter valorizzare ed, eventualmente, dimettere, l’ente pubblico deve prima classificare compiutamente le proprie risorse patrimoniali. Dall’analisi dei meccanismi di catalogazione si passa, poi, all’esame del regime circolatorio tipico della dimensione culturale. Sotto questo profilo, la nuova regolazione sostanziale opera una netta inversione di rotta rispetto al passato. Dalla tendenza alla pubblicizzazione del patrimonio culturale recepita dal Testo Unico del 1999, si passa, nel D.P.R. n. 283/2000, prima, e nel Codice del 2004, poi, all’alienabilità del demanio culturale. La riaffermazione dell’alienabilità del patrimonio culturale passa attraverso la scissione, nella legislazione di settore, del profilo soggettivo dell’appartenenza da quello funzionale della destinazione. Ci si è accorti, in altri termini, che un bene culturale può restare destinato alla pubblica fruibilità anche se, nel frattempo, acquisito in proprietà privata. L’indefettibile autorizzazione alla vendita diviene, allora, lo strumento mediante il quale il pubblico potere, che si appresta a dimettere il bene, si assicura che esso non venga sottratto alla sua intrinseca funzione pubblicistica. Più che la proprietà del bene, si decide così di tutelare la sua pubblica destinazione.
2010
9788886836616
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11386/3014130
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