Grazie ai translation studies, si è oramai diffusa la consapevolezza che le strategie di politica culturale, esplicite o implicite che siano, determinano in buona misura le scelte del traduttore. Questi può restarsene “invisibile”, nel tentativo di rendere la sua traduzione quanto più possibile familiare al lettore, smussandone le asperità e fluidificandola per proporla illusoriamente come emanazione diretta della voce dell’autore, o può optare per una versione stranierizzante che, viceversa, enfatizzi la diversità e il distacco tra il testo di partenza e quello d’arrivo. Mai “innocente”, dunque, la traduzione si rivela un significativo strumento di conoscenza e analisi della cultura, come dimostrano i due casi di Constance Garnett e James Strachey, traduttori inglesi, rispettivamente, dei grandi narratori russi dell’Ottocento e dell’opera omnia di Freud. La prima, principale responsabile del culto di Dostoevskij che investe l’Inghilterra all’inizio del XX secolo, si propone di sprovincializzare una letteratura sostanzialmente chiusa e insulare. Pertanto cerca di trasmettere la portata innovativa delle opere di Dostoevskij e, soprattutto, di Chekhov, conservandone quell’indeterminatezza e quelle molteplici intime tensioni che influiranno profondamente sulla scrittura modernista. Il secondo, invece, non senza forzature, doterà Freud della voce di uno scienziato vittoriano di ampia cultura, perché l’Inghilterra conservatrice possa più facilmente assimilarne le dirompenti teorie e l’inglese possa proporre la propria candidatura al ruolo di koiné della psicoanalisi, in sostituzione del tedesco.

Visibilità e innocenza: le traduzioni di Constance Garnett e James Strachey

DE GIOVANNI, Flora
2010-01-01

Abstract

Grazie ai translation studies, si è oramai diffusa la consapevolezza che le strategie di politica culturale, esplicite o implicite che siano, determinano in buona misura le scelte del traduttore. Questi può restarsene “invisibile”, nel tentativo di rendere la sua traduzione quanto più possibile familiare al lettore, smussandone le asperità e fluidificandola per proporla illusoriamente come emanazione diretta della voce dell’autore, o può optare per una versione stranierizzante che, viceversa, enfatizzi la diversità e il distacco tra il testo di partenza e quello d’arrivo. Mai “innocente”, dunque, la traduzione si rivela un significativo strumento di conoscenza e analisi della cultura, come dimostrano i due casi di Constance Garnett e James Strachey, traduttori inglesi, rispettivamente, dei grandi narratori russi dell’Ottocento e dell’opera omnia di Freud. La prima, principale responsabile del culto di Dostoevskij che investe l’Inghilterra all’inizio del XX secolo, si propone di sprovincializzare una letteratura sostanzialmente chiusa e insulare. Pertanto cerca di trasmettere la portata innovativa delle opere di Dostoevskij e, soprattutto, di Chekhov, conservandone quell’indeterminatezza e quelle molteplici intime tensioni che influiranno profondamente sulla scrittura modernista. Il secondo, invece, non senza forzature, doterà Freud della voce di uno scienziato vittoriano di ampia cultura, perché l’Inghilterra conservatrice possa più facilmente assimilarne le dirompenti teorie e l’inglese possa proporre la propria candidatura al ruolo di koiné della psicoanalisi, in sostituzione del tedesco.
2010
9788849519907
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