Questo lavoro intende offrire uno schema di ricerca intorno ad alcune questioni che ricorrono con più frequenza nell’ambito dell’odierna riflessione sull’Europa (Europa e Ottantanove; il problema della sovranità; la forma della potenza politica europea), le quali formano, nel loro insieme, un oggetto privilegiato della filosofia politica e giuridica, nel senso che l’attuale congiuntura, come ha sostenuto Balibar, ci obbliga non tanto a rinunciare al patrimonio concettuale ereditato da una storia molto lunga, ma a ripensarlo e a metterlo alla prova. Hegel Heller Vico, appunto: con riferimento all’Europa ciò significa un diverso modo di intendere la sovranità; la sovranità, appunto, come spazio condiviso, come uno spazio unificato dalla permanente dialettica orizzontale fra Stati e Unione, fra Europa e Stati, i quali vanno considerati come momenti all’interno di una sola esistenza. Da qui quello che viene definito l’antiperfettismo europeo, nel senso che il principio normativo, alternativo a quello della esclusività, è appunto quello di imperfezione, perché se il mutuo riconoscimento avviene tra ordinamenti sovrani (e che tali debbono restare) l’ordine che ne deriva ha sì la forma dell’ordine, ma di un’ordine che non può che essere imperfetto, strutturalmente legato alla instabilità del suo fondamento. Qui l’importanza di Vico per la formazione di una nuova cultura europea, perché è solo con Vico che si può pensare separatamente e simultaneamente la necessità della forza e la necessità della difesa dalla forza, e porre su basi solide il problema dell’alternativa europea. La posizione vichiana si caratterizza, infatti, proprio per l’assoluta determinazione con il quale stabilisce l’autonomia e la responsabilità umana, nel senso che, per lui, il piano dell’uomo (almeno dal punto di vista dei singoli), non combacia mai con quello divino, e, proprio per questo, rimane sempre immerso nell’errore e nell’imperfezione, e, insieme, sempre mischiato alla trascendenza. «Condizione del sapere è la pietà», questa è l’Europa di Vico, un’Europa latina, non germanica, cattolica, non protestante, e tuttavia, non un’Europa “minore”, ma un’Europa che viaggia verso il proprio confine. Europa, potenza imperfetta, dunque, una potenza politica capace, cioè, come scrisse Vico nel De Constantia Iurisprudentis, «di tutelare sé e i propri beni mediante la forza», perché solo la forza, che «si disse da principio virtus», si può opporre «alla forza avversa altrui», ma capace anche di fermarsi, di tornare indietro, di essere imperfetta, appunto, e, cioè, sempre se stessa. In Europa Cristiana, la questione è espressa molto bene da Weiler, il quale proprio perché sostiene che non si può rispettare davvero l’altro se non si ha rispetto per il proprio io, individuale e collettivo, ritiene che l’Europa rappresenta una profonda esposizione di questo principio, perché permette un alto grado di integrazione senza compromettere l’essenziale sovranità degli Stati. Si tratta di un processo nel quale la sfera sovranazionale e quelle nazionali non si fondono mai in un unicum, impedendo così la formazione di un’Europa perfetta. Weiler è da sempre la lotta contro la hybris nazionale o postnazionale, e, proprio per questo, il suo percorso approda a questo tratto della antiquissima italorum sapientia che intende la vocazione europea come capacità di costruire legami al di là delle appartenenze sintetizzata dalla formula ambigua, e, tutto sommato, fuorviante di Europa Cristiana. Distinguere per unire, questo è Europa (qualcosa di più e di diverso del motto unità nella diversità che il Trattato costituzionale del 2004 aveva assunto a simbolo della costruzione europea): si tratta di una formula che, opponendosi ad ogni integralismo, consente, criticamente, di cogliere le distinzioni, e, positivamente, di accordare tra di loro entità che sorgono da una comune radice, la quale, tuttavia, può essere realmente ritrovata solo muovendo da unità politiche irriducibili: l’Europa, infatti, deve essere concepita come una comunità invisibile delle potenze molteplici e differenti, uno spazio plurale di unità politiche irriducibili, o, per essere più espliciti, come una Federazione di stati sovrani. E’ in questa specifica forma dell’ordinamento giuridico europeo che va rintracciato il Nomos di Europa, il fondamento gnoseologico della sua autonomia.

Hegel Heller Vico. Frammenti di un nomos europeo

SERRA, PASQUALE
2009-01-01

Abstract

Questo lavoro intende offrire uno schema di ricerca intorno ad alcune questioni che ricorrono con più frequenza nell’ambito dell’odierna riflessione sull’Europa (Europa e Ottantanove; il problema della sovranità; la forma della potenza politica europea), le quali formano, nel loro insieme, un oggetto privilegiato della filosofia politica e giuridica, nel senso che l’attuale congiuntura, come ha sostenuto Balibar, ci obbliga non tanto a rinunciare al patrimonio concettuale ereditato da una storia molto lunga, ma a ripensarlo e a metterlo alla prova. Hegel Heller Vico, appunto: con riferimento all’Europa ciò significa un diverso modo di intendere la sovranità; la sovranità, appunto, come spazio condiviso, come uno spazio unificato dalla permanente dialettica orizzontale fra Stati e Unione, fra Europa e Stati, i quali vanno considerati come momenti all’interno di una sola esistenza. Da qui quello che viene definito l’antiperfettismo europeo, nel senso che il principio normativo, alternativo a quello della esclusività, è appunto quello di imperfezione, perché se il mutuo riconoscimento avviene tra ordinamenti sovrani (e che tali debbono restare) l’ordine che ne deriva ha sì la forma dell’ordine, ma di un’ordine che non può che essere imperfetto, strutturalmente legato alla instabilità del suo fondamento. Qui l’importanza di Vico per la formazione di una nuova cultura europea, perché è solo con Vico che si può pensare separatamente e simultaneamente la necessità della forza e la necessità della difesa dalla forza, e porre su basi solide il problema dell’alternativa europea. La posizione vichiana si caratterizza, infatti, proprio per l’assoluta determinazione con il quale stabilisce l’autonomia e la responsabilità umana, nel senso che, per lui, il piano dell’uomo (almeno dal punto di vista dei singoli), non combacia mai con quello divino, e, proprio per questo, rimane sempre immerso nell’errore e nell’imperfezione, e, insieme, sempre mischiato alla trascendenza. «Condizione del sapere è la pietà», questa è l’Europa di Vico, un’Europa latina, non germanica, cattolica, non protestante, e tuttavia, non un’Europa “minore”, ma un’Europa che viaggia verso il proprio confine. Europa, potenza imperfetta, dunque, una potenza politica capace, cioè, come scrisse Vico nel De Constantia Iurisprudentis, «di tutelare sé e i propri beni mediante la forza», perché solo la forza, che «si disse da principio virtus», si può opporre «alla forza avversa altrui», ma capace anche di fermarsi, di tornare indietro, di essere imperfetta, appunto, e, cioè, sempre se stessa. In Europa Cristiana, la questione è espressa molto bene da Weiler, il quale proprio perché sostiene che non si può rispettare davvero l’altro se non si ha rispetto per il proprio io, individuale e collettivo, ritiene che l’Europa rappresenta una profonda esposizione di questo principio, perché permette un alto grado di integrazione senza compromettere l’essenziale sovranità degli Stati. Si tratta di un processo nel quale la sfera sovranazionale e quelle nazionali non si fondono mai in un unicum, impedendo così la formazione di un’Europa perfetta. Weiler è da sempre la lotta contro la hybris nazionale o postnazionale, e, proprio per questo, il suo percorso approda a questo tratto della antiquissima italorum sapientia che intende la vocazione europea come capacità di costruire legami al di là delle appartenenze sintetizzata dalla formula ambigua, e, tutto sommato, fuorviante di Europa Cristiana. Distinguere per unire, questo è Europa (qualcosa di più e di diverso del motto unità nella diversità che il Trattato costituzionale del 2004 aveva assunto a simbolo della costruzione europea): si tratta di una formula che, opponendosi ad ogni integralismo, consente, criticamente, di cogliere le distinzioni, e, positivamente, di accordare tra di loro entità che sorgono da una comune radice, la quale, tuttavia, può essere realmente ritrovata solo muovendo da unità politiche irriducibili: l’Europa, infatti, deve essere concepita come una comunità invisibile delle potenze molteplici e differenti, uno spazio plurale di unità politiche irriducibili, o, per essere più espliciti, come una Federazione di stati sovrani. E’ in questa specifica forma dell’ordinamento giuridico europeo che va rintracciato il Nomos di Europa, il fondamento gnoseologico della sua autonomia.
2009
9788854822863
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