Nelle società capitalistiche contemporanee sono a confronto - e si tratta di un confronto non scevro di pesanti frizioni - due opposte visioni circa il modo di concepire il rapporto tra la sfera economica (che possiamo, sinteticamente, e nell’accezione più ampia del termine chiamare mercato) e la sfera del sociale (categoria anche questa ad amplissimo spettro, ma che potremmo ricondurre al terreno della solidarietà). Sicché, da una parte si vanno a collocare coloro che vedono nell’estensione della categoria del mercato e nella priorità della logica dell’efficienza la ricetta inderogabile per lo sviluppo economico; dall’altra, quanti ritengono che l’avanzare spontaneo, talvolta incontrollato, del mercato rappresenti una minaccia per la società, un male necessario di cui non si può fare a meno, ma che occorre tenere sotto vigile controllo ad opera del soggetto pubblico. Orbene, questa visione dualistica e bipolare del rapporto mercato/società viene posta in una prospettiva radicalmente diversa se ricondotta nell’alveo dell’economia civile. Infatti, l’idea centrale, e di conseguenza la proposta concreta dell’economia civile, è di abbracciare una concezione che ponga l’esperienza della socialità umana e della reciprocità all’interno della vita economica stessa, né a lato, né prima né dopo dell’economia. Il che significa che i principi «altri» rispetto al profitto e allo scambio strumentale possono (e devono) trovare posto all’interno dell’attività economica. A dire che è il momento economico stesso che, in base alla presenza o assenza di questi «altri» principi, diventa civile o non-civile. Riteniamo, sempre in riferimento alla contrapposizione tra economia di mercato e economia del dono, che essa non vada studiata nei termini di una semplice antitesi tra forme organizzative, bensì come una scelta tra due opzioni culturali: l’una, che propone una via di progresso basata sulla centralità dei «beni posizionali», l’altra che valorizza invece i «beni relazionali», ovvero quei beni la cui utilità per il soggetto che li consuma dipende, oltre che dalle loro caratteristiche intrinseche, dalle modalità di fruizione con altri soggetti. Allo stesso modo, la concezione che vede il dono e la reciprocità appannaggio di altre sfere della vita sociale, diverse da quella economica, non è più sostenibile, ed il superamento di questo rapporto dicotomico tra «sfera economica» e «sfera del sociale» può trovare, anche in questo caso, il suo momento di sintesi proprio nel contesto del sistema teorico dell’economia civile. Nella misura in cui, infatti, si è inteso emarginare la dimensione della reciprocità si è pervenuti ad un modello classico di Welfare State, dove idealmente il mercato produceva ricchezza in modo efficiente e lo Stato tentava di redistribuire questa ricchezza secondo canoni di equità. In un modello di tal fatta, il «Terzo Settore» rappresentava un qualcosa di esterno ed estraneo al sistema, finendo per assurgere ad una sorta di «stampella» dello Stato per coprire quella aree residue di domanda non soddisfatta di bisogni sociali.

L'economia del dono: il definitivo supramento della dicotomia Stato/Mercato

SANTILLO, Marco
2011-01-01

Abstract

Nelle società capitalistiche contemporanee sono a confronto - e si tratta di un confronto non scevro di pesanti frizioni - due opposte visioni circa il modo di concepire il rapporto tra la sfera economica (che possiamo, sinteticamente, e nell’accezione più ampia del termine chiamare mercato) e la sfera del sociale (categoria anche questa ad amplissimo spettro, ma che potremmo ricondurre al terreno della solidarietà). Sicché, da una parte si vanno a collocare coloro che vedono nell’estensione della categoria del mercato e nella priorità della logica dell’efficienza la ricetta inderogabile per lo sviluppo economico; dall’altra, quanti ritengono che l’avanzare spontaneo, talvolta incontrollato, del mercato rappresenti una minaccia per la società, un male necessario di cui non si può fare a meno, ma che occorre tenere sotto vigile controllo ad opera del soggetto pubblico. Orbene, questa visione dualistica e bipolare del rapporto mercato/società viene posta in una prospettiva radicalmente diversa se ricondotta nell’alveo dell’economia civile. Infatti, l’idea centrale, e di conseguenza la proposta concreta dell’economia civile, è di abbracciare una concezione che ponga l’esperienza della socialità umana e della reciprocità all’interno della vita economica stessa, né a lato, né prima né dopo dell’economia. Il che significa che i principi «altri» rispetto al profitto e allo scambio strumentale possono (e devono) trovare posto all’interno dell’attività economica. A dire che è il momento economico stesso che, in base alla presenza o assenza di questi «altri» principi, diventa civile o non-civile. Riteniamo, sempre in riferimento alla contrapposizione tra economia di mercato e economia del dono, che essa non vada studiata nei termini di una semplice antitesi tra forme organizzative, bensì come una scelta tra due opzioni culturali: l’una, che propone una via di progresso basata sulla centralità dei «beni posizionali», l’altra che valorizza invece i «beni relazionali», ovvero quei beni la cui utilità per il soggetto che li consuma dipende, oltre che dalle loro caratteristiche intrinseche, dalle modalità di fruizione con altri soggetti. Allo stesso modo, la concezione che vede il dono e la reciprocità appannaggio di altre sfere della vita sociale, diverse da quella economica, non è più sostenibile, ed il superamento di questo rapporto dicotomico tra «sfera economica» e «sfera del sociale» può trovare, anche in questo caso, il suo momento di sintesi proprio nel contesto del sistema teorico dell’economia civile. Nella misura in cui, infatti, si è inteso emarginare la dimensione della reciprocità si è pervenuti ad un modello classico di Welfare State, dove idealmente il mercato produceva ricchezza in modo efficiente e lo Stato tentava di redistribuire questa ricchezza secondo canoni di equità. In un modello di tal fatta, il «Terzo Settore» rappresentava un qualcosa di esterno ed estraneo al sistema, finendo per assurgere ad una sorta di «stampella» dello Stato per coprire quella aree residue di domanda non soddisfatta di bisogni sociali.
2011
9788887479379
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11386/3035903
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