Occorre procedere, preliminarmente, all'identificazione della no¬zione giuridica di interesse pubblico. L'interesse pubblico, da un punto di vista strutturale, è un interesse materiale, un bene della vita, indi¬viduato e qualificato da una norma. La qualificazione di un interesse come pubblico avviene secondo il meccanismo generale di produzione giuridica, vale a dire nello stesso modo in cui un interesse assurge a rilevanza giuridica. Il processo di produzione giuridica si sviluppa attraverso un di¬namismo che si concreta in due rapporti. La prima relazione è quella di rilevanza giuridica che si instaura fra la fattispecie (meglio, una delle due proposizioni di cui si compone la norma) e il fatto mate¬riale (nel nostro caso, l'interesse). La seconda relazione è quella di efficacia giuridica, che si determina fra la statuizione (altra proposi¬zione della norma) e il fatto giuridicamente rilevante. L'interesse assurge al rango di interesse pubblico giuridicamente rilevante quando corrisponde alla fattispecie normativa. La legge statale e quella regionale, individuando e qualificando come pubblico un interesse, gli conferiscono rilevanza giuridica pub¬blicistica. In un ordinamento giuridico nel quale la pubblicità promana solo dallo Stato, è naturale che il processo di qualificazione avvenga at¬traverso la legge. Pubblico sarà quell'interesse che lo Stato qualifica tale attraverso l'esercizio del potere legislativo. Invece, in uno Stato moderno e democratico, la qualificazione di un interesse come pubblico può costituire anche l'esito dell'esercizio di poteri discrezionali dell'amministrazione. Pertanto, l'attribuzione della rilevanza giuridica pubblicistica a un interesse, oltre che dalla norma di rango legislativo, può avvenire a opera di tutte le altre norme di rango gradato, quali regolamenti mi¬nisteriali, statuti, regolamenti amministrativi di enti locali, sino a giun¬gere alla concreta attività amministrativa provvedimentale. L'amministrazione, quando deve procedere, nell'esercizio di un po¬tere amministrativo discrezionale, all'individuazione e alla qualifica¬zione di un interesse, deve necessariamente agire attraverso procedi¬menti amministrativi. Un interesse può essere qualificato come inte¬resse pubblico anche da un provvedimento amministrativo, all'esito di un procedimento. II) La partecipazione del privato all'esercizio dell'attività ammini¬strativa è oggetto di un principio generale dell'ordinamento giuridico. Non può essere derogato per particolari tipi di attività. Con la loro partecipazione i privati introducono nel procedimento gli interessi di cui sono titolari, imponendo all'amministrazione il do¬vere di compararli. Pertanto, nelle forme moderne di esercizio dell'attività ammini¬strativa, soprattutto di quella discrezionale, l'interesse pubblico è il frutto della comparazione fra i vari interessi presenti nella vicenda. L'esito dell'esercizio di un'attività discrezionale consiste nell'ela¬borazione del provvedimento. La statuizione provvedimentale è la norma del caso concreto. Quest'ultima svolge la funzione di confe¬rire rilevanza giuridica di natura pubblicistica all'interesse, frutto della valutazione comparativa. In definitiva, la partecipazione diventa canone fondamentale per ope¬rare la qualificazione giuridica dell'interesse, quale interesse pubblico. La nozione e il ruolo dell'interesse pubblico sono mutati. L'interesse pubblico non costituisce più, secondo una ormai clas¬sica impostazione, un parametro esterno di riferimento e un dato ete¬roimposto. Secondo una più moderna impostazione, nell'ambito dell’'attività discrezionale, l'interesse pubblico costituisce l'esito, tutto in¬terno, dell'esercizio procedimentale dell'attività amministrativa. III) In tutte le ipotesi di silenzio amministrativo, a esclusione del silenzio assenso, è preclusa la partecipazione del privato. Rimangono estranei all'esercizio dell'attività amministrativa gli interessi che il pri¬vato avrebbe introdotto se gliene fosse stata data la possibilità; op¬pure, qualora il silenzio intervenga dopo la fase della partecipazione, l'apporto partecipativo offerto dal privato è disatteso, ignorato, tra¬scurato ed eluso. In altri termini, in caso di silenzio dell'amministrazione il processo di individuazione e di qualificazione dell'interesse pubblico subisce una radicale alterazione. IV) Avverso l'inerzia della pubblica amministrazione l'art. 21-bis della legge n. 1034/1971, introdotto dall'art. 2 della legge 205/2000, ha previsto un rito speciale. La giurisprudenza sostiene che il rito sul silenzio può trovare ap¬plicazione solo nelle ipotesi di silenzio rifiuto o inadempimento, ri¬conducibile a una inadempienza della RA. in rapporto a un preesi¬stente obbligo di provvedere, che ha per oggetto unicamente l'iner¬zia della Pubblica Amministrazione e che il giudice deve limitarsi a verificare se la Pubblica Amministrazione ha l'obbligo di provvedere. La giurisprudenza riduce il ricorso avverso il silenzio al mero ac¬certamento dell'illegittimità dell'inerzia dell'amministrazione. Non estende il sindacato alla disamina della fondatezza della pretesa so¬stanziale. La disamina della fondatezza è concepita come una mera facoltà del giudice, alla quale si ricorre solo per valutare l'opportu¬nità di annullare o no il silenzio. In definitiva, il giudice può cono¬scere la fondatezza dell'istanza solo nell'ipotesi di manifesta fonda¬tezza della pretesa, oppure nell'ipotesi di manifesta infondatezza. Inoltre, la giurisprudenza sostiene che il rito sul silenzio presup¬pone la titolarità di un interesse legittimo e non di un diritto sog¬gettivo, né un interesse di mero fatto. Infine, secondo la giurisprudenza sono inammissibili l'impugna¬tiva degli atti di diniego intervenuti successivamente alla proposizione del ricorso avverso il silenzio; l'impugnativa degli atti emanati pre¬ventivamente alla proposizione del ricorso; la domanda di risarci¬mento del danno, proposta contestualmente al ricorso avverso il si¬lenzio dell'amministrazione. V) In definitiva, il rito del silenzio non è idoneo ad attribuire, in sede processuale, quello che è stato negato in sede sostanziale e, in particolare, nel corso del procedimento; in particolare non consente di poter recuperare in sede processuale la partecipazione. In tal modo, viene meno l'apporto partecipativo alla individua¬zione, alla comparazione e alla qualificazione dell'interesse pubblico. Nel procedimento la qualificazione di un interesse, come interesse giuridicamente rilevante di natura pubblica, avviene a seguito di va¬lutazione comparativa che manca nel processo; nel processo il giu¬dice interviene quando l'interesse è stato già qualificato come pub¬blico. Il ricorrente, nel chiedere al giudice di pronunciarsi sulla fon¬datezza dell'istanza, prospetta la situazione esistente ex ante, vale a dire al momento dell'avvio del procedimento, e non quella ex post. VI) La ricostruzione che la giurisprudenza compie del nuovo isti¬tuto non è corretta da un punto di vista sistematico, perché non si ispira al principio di pienezza e di effettività della tutela giurisdizio¬nale. Un processo volto ad accertare che l'inerzia serbata dall'ammini¬strazione su di una istanza è illegittima non serve a nulla. Non è ne¬cessario un processo per giungere a tale risultato. Il legislatore si esprime in maniera chiarissima. È sufficiente leggere l’art. 2 della legge 241/1990.

La tutela giurisdizionale avverso l'inerzia della pubblica amministrazione e l'interesse pubblico

PERONGINI, Sergio
2010-01-01

Abstract

Occorre procedere, preliminarmente, all'identificazione della no¬zione giuridica di interesse pubblico. L'interesse pubblico, da un punto di vista strutturale, è un interesse materiale, un bene della vita, indi¬viduato e qualificato da una norma. La qualificazione di un interesse come pubblico avviene secondo il meccanismo generale di produzione giuridica, vale a dire nello stesso modo in cui un interesse assurge a rilevanza giuridica. Il processo di produzione giuridica si sviluppa attraverso un di¬namismo che si concreta in due rapporti. La prima relazione è quella di rilevanza giuridica che si instaura fra la fattispecie (meglio, una delle due proposizioni di cui si compone la norma) e il fatto mate¬riale (nel nostro caso, l'interesse). La seconda relazione è quella di efficacia giuridica, che si determina fra la statuizione (altra proposi¬zione della norma) e il fatto giuridicamente rilevante. L'interesse assurge al rango di interesse pubblico giuridicamente rilevante quando corrisponde alla fattispecie normativa. La legge statale e quella regionale, individuando e qualificando come pubblico un interesse, gli conferiscono rilevanza giuridica pub¬blicistica. In un ordinamento giuridico nel quale la pubblicità promana solo dallo Stato, è naturale che il processo di qualificazione avvenga at¬traverso la legge. Pubblico sarà quell'interesse che lo Stato qualifica tale attraverso l'esercizio del potere legislativo. Invece, in uno Stato moderno e democratico, la qualificazione di un interesse come pubblico può costituire anche l'esito dell'esercizio di poteri discrezionali dell'amministrazione. Pertanto, l'attribuzione della rilevanza giuridica pubblicistica a un interesse, oltre che dalla norma di rango legislativo, può avvenire a opera di tutte le altre norme di rango gradato, quali regolamenti mi¬nisteriali, statuti, regolamenti amministrativi di enti locali, sino a giun¬gere alla concreta attività amministrativa provvedimentale. L'amministrazione, quando deve procedere, nell'esercizio di un po¬tere amministrativo discrezionale, all'individuazione e alla qualifica¬zione di un interesse, deve necessariamente agire attraverso procedi¬menti amministrativi. Un interesse può essere qualificato come inte¬resse pubblico anche da un provvedimento amministrativo, all'esito di un procedimento. II) La partecipazione del privato all'esercizio dell'attività ammini¬strativa è oggetto di un principio generale dell'ordinamento giuridico. Non può essere derogato per particolari tipi di attività. Con la loro partecipazione i privati introducono nel procedimento gli interessi di cui sono titolari, imponendo all'amministrazione il do¬vere di compararli. Pertanto, nelle forme moderne di esercizio dell'attività ammini¬strativa, soprattutto di quella discrezionale, l'interesse pubblico è il frutto della comparazione fra i vari interessi presenti nella vicenda. L'esito dell'esercizio di un'attività discrezionale consiste nell'ela¬borazione del provvedimento. La statuizione provvedimentale è la norma del caso concreto. Quest'ultima svolge la funzione di confe¬rire rilevanza giuridica di natura pubblicistica all'interesse, frutto della valutazione comparativa. In definitiva, la partecipazione diventa canone fondamentale per ope¬rare la qualificazione giuridica dell'interesse, quale interesse pubblico. La nozione e il ruolo dell'interesse pubblico sono mutati. L'interesse pubblico non costituisce più, secondo una ormai clas¬sica impostazione, un parametro esterno di riferimento e un dato ete¬roimposto. Secondo una più moderna impostazione, nell'ambito dell’'attività discrezionale, l'interesse pubblico costituisce l'esito, tutto in¬terno, dell'esercizio procedimentale dell'attività amministrativa. III) In tutte le ipotesi di silenzio amministrativo, a esclusione del silenzio assenso, è preclusa la partecipazione del privato. Rimangono estranei all'esercizio dell'attività amministrativa gli interessi che il pri¬vato avrebbe introdotto se gliene fosse stata data la possibilità; op¬pure, qualora il silenzio intervenga dopo la fase della partecipazione, l'apporto partecipativo offerto dal privato è disatteso, ignorato, tra¬scurato ed eluso. In altri termini, in caso di silenzio dell'amministrazione il processo di individuazione e di qualificazione dell'interesse pubblico subisce una radicale alterazione. IV) Avverso l'inerzia della pubblica amministrazione l'art. 21-bis della legge n. 1034/1971, introdotto dall'art. 2 della legge 205/2000, ha previsto un rito speciale. La giurisprudenza sostiene che il rito sul silenzio può trovare ap¬plicazione solo nelle ipotesi di silenzio rifiuto o inadempimento, ri¬conducibile a una inadempienza della RA. in rapporto a un preesi¬stente obbligo di provvedere, che ha per oggetto unicamente l'iner¬zia della Pubblica Amministrazione e che il giudice deve limitarsi a verificare se la Pubblica Amministrazione ha l'obbligo di provvedere. La giurisprudenza riduce il ricorso avverso il silenzio al mero ac¬certamento dell'illegittimità dell'inerzia dell'amministrazione. Non estende il sindacato alla disamina della fondatezza della pretesa so¬stanziale. La disamina della fondatezza è concepita come una mera facoltà del giudice, alla quale si ricorre solo per valutare l'opportu¬nità di annullare o no il silenzio. In definitiva, il giudice può cono¬scere la fondatezza dell'istanza solo nell'ipotesi di manifesta fonda¬tezza della pretesa, oppure nell'ipotesi di manifesta infondatezza. Inoltre, la giurisprudenza sostiene che il rito sul silenzio presup¬pone la titolarità di un interesse legittimo e non di un diritto sog¬gettivo, né un interesse di mero fatto. Infine, secondo la giurisprudenza sono inammissibili l'impugna¬tiva degli atti di diniego intervenuti successivamente alla proposizione del ricorso avverso il silenzio; l'impugnativa degli atti emanati pre¬ventivamente alla proposizione del ricorso; la domanda di risarci¬mento del danno, proposta contestualmente al ricorso avverso il si¬lenzio dell'amministrazione. V) In definitiva, il rito del silenzio non è idoneo ad attribuire, in sede processuale, quello che è stato negato in sede sostanziale e, in particolare, nel corso del procedimento; in particolare non consente di poter recuperare in sede processuale la partecipazione. In tal modo, viene meno l'apporto partecipativo alla individua¬zione, alla comparazione e alla qualificazione dell'interesse pubblico. Nel procedimento la qualificazione di un interesse, come interesse giuridicamente rilevante di natura pubblica, avviene a seguito di va¬lutazione comparativa che manca nel processo; nel processo il giu¬dice interviene quando l'interesse è stato già qualificato come pub¬blico. Il ricorrente, nel chiedere al giudice di pronunciarsi sulla fon¬datezza dell'istanza, prospetta la situazione esistente ex ante, vale a dire al momento dell'avvio del procedimento, e non quella ex post. VI) La ricostruzione che la giurisprudenza compie del nuovo isti¬tuto non è corretta da un punto di vista sistematico, perché non si ispira al principio di pienezza e di effettività della tutela giurisdizio¬nale. Un processo volto ad accertare che l'inerzia serbata dall'ammini¬strazione su di una istanza è illegittima non serve a nulla. Non è ne¬cessario un processo per giungere a tale risultato. Il legislatore si esprime in maniera chiarissima. È sufficiente leggere l’art. 2 della legge 241/1990.
File in questo prodotto:
Non ci sono file associati a questo prodotto.

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11386/3040525
 Attenzione

Attenzione! I dati visualizzati non sono stati sottoposti a validazione da parte dell'ateneo

Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact