È raro, e bello al tempo stesso, imbattersi in un vero scrittore che, per mestiere, non fa lo scrittore né aspira ad essere riconosciuto come tale. Parlo di Enrique Murillo Capitán, insigne oncologo del Policlinico dell’Università di Sivigliache, con altri suoi colleghi,si dedica alla scrittura letteraria, come diletto nel senso più alto della parola e come argine alla malattia e al dolore contro cui ogni giorno combatte. Il suo racconto –“Lezione di gelsomini”- appare a stampa in un volume dal titolo Cuentos de médicos. È, nella sua lancinante brevità, un capolavoro. Tale racconto piacque molto allo scrittore Diego De Silva tanto da propormi di tradurlo a quattro mani. Non conoscendo De Silva il castigliano, nel tradurre si è verificata una situazione simile a quella sperimentata dal poeta Nelo Risi e dalla neogracista Margherita Dàlmati nella traduzione einaudiana delle 75 poesie di Kavafis: un ‘veggente’ che traduce un testo da una lingua a lui nota per un ‘cieco’ che quella lingua non è in grado di leggere. La traduzione è preceduta da una mia nota introduttiva, a mo’ di cronistoria del ritrovamento di un oggetto perduto o celato agli occhi dei più e una nota di commento, come variazione sul tema, dello stesso De Silva.

Enrique Murillo Capitán, "Lezione sui gelsomini"

GENTILE, Giuseppe
2006-01-01

Abstract

È raro, e bello al tempo stesso, imbattersi in un vero scrittore che, per mestiere, non fa lo scrittore né aspira ad essere riconosciuto come tale. Parlo di Enrique Murillo Capitán, insigne oncologo del Policlinico dell’Università di Sivigliache, con altri suoi colleghi,si dedica alla scrittura letteraria, come diletto nel senso più alto della parola e come argine alla malattia e al dolore contro cui ogni giorno combatte. Il suo racconto –“Lezione di gelsomini”- appare a stampa in un volume dal titolo Cuentos de médicos. È, nella sua lancinante brevità, un capolavoro. Tale racconto piacque molto allo scrittore Diego De Silva tanto da propormi di tradurlo a quattro mani. Non conoscendo De Silva il castigliano, nel tradurre si è verificata una situazione simile a quella sperimentata dal poeta Nelo Risi e dalla neogracista Margherita Dàlmati nella traduzione einaudiana delle 75 poesie di Kavafis: un ‘veggente’ che traduce un testo da una lingua a lui nota per un ‘cieco’ che quella lingua non è in grado di leggere. La traduzione è preceduta da una mia nota introduttiva, a mo’ di cronistoria del ritrovamento di un oggetto perduto o celato agli occhi dei più e una nota di commento, come variazione sul tema, dello stesso De Silva.
2006
8849512074
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