ANNA ORIOLO Patrimonio digitale: guidelines internazionali e strategie dell’Unione europea di accessibilità, diffusione e protezione dei beni culturali e scientifici nell’era digitale Abstract Le risorse di informazione ed espressione creativa vengono sempre più frequentemente prodotte, distribuite, rese accessibili e mantenute in forma digitale, creando un nuovo lascito: il patrimonio digitale (digital heritage/patrimoine numerique). Si tratta, secondo l’UNESCO, di un patrimonio “comune” che comprende risorse culturali, formative, scientifiche e amministrative, come anche informazioni di natura tecnica, giuridica, medica e di altro genere, create in digitale (beni digitali in origine: testi, immagini fisse e in movimento, audio, grafica, software e pagine web) o convertite in forma digitale da risorse analogiche già esistenti (beni digitalizzati: libri e testi su carta, negativi fotografici, pellicole cinematografiche, musica su cassette o dischi di vinile, ma anche reperti archeologici riprodotti in 3d). I beni culturali ed intellettuali creati e/o resi disponibili in formato digitale possono esprimere una cultura determinata che, al contempo, è resa universalmente accessibile e quindi fruibile per il pubblico mondiale; la digitalizzazione dei beni culturali favorisce quindi la condivisione di conoscenza tra tutti i popoli e costituisce “la memoria del domani”; essa dipende però da tecnologie in continua (e spesso troppo rapida) evoluzione e necessita di misure di conservazione per rendere tali beni disponibili per il futuro e continuare a garantire la “rappresentanza nel tempo di tutti i popoli, le nazioni, le culture e le lingue”. Il saggio si sofferma sul rapporto tra tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) e patrimonio culturale e scientifico e si inquadra nel più ampio tema della accessibilità, diffusione e protezione dei beni culturali e scientifici nell’era digitale. A tal fine esso, muovendo dalla nozione di patrimonio digitale offerta dall’UNESCO e dalle linee guida promosse in ambito internazionale per la comunicazione e la trasmissione del sapere, ripercorre le tappe della strategia dell’Unione europea in materia di digitalizzazione dei beni culturali e scientifici e indaga sulle origini e sulle conseguenze di questo obiettivo dell’Unione. Quanto agli standards internazionali relativi alla digitalizzazione del patrimonio culturale e scientifico già l’UNESCO nel piano di attuazione della Dichiarazione Universale sulla diversità culturale del 2001 invitava gli Stati membri a “incoraggiare l’‘alfabetizzazione digitale’” e ad “assicurare una maggiore padronanza delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, che dovrebbero essere considerate sia come materie d’insegnamento che come strumenti pedagogici in grado di valorizzare l’efficacia dei servizi educativi”. Tra gli obiettivi promossi dall’UNESCO nel 2001 spiccano in particolare quello di “contrastare il divario digitale, incoraggiando l’accesso alle nuove tecnologie da parte dei paesi in via di sviluppo, aiutandoli a padroneggiare le tecnologie dell’informazione e facilitando la diffusione digitale dei prodotti culturali endogeni e l’accesso da parte di questi paesi alle risorse digitali educative, culturali e scientifiche disponibili a livello mondiale” e ancora di “[i]ncoraggiare la produzione, la salvaguardia e la diffusione di contenuti diversificati nei media e nelle reti globali di informazione e, a questo scopo, promuovere il ruolo dei servizi radiotelevisivi pubblici nello sviluppo di produzioni audiovisive di qualità, in particolare incoraggiando la creazione di meccanismi cooperativi per facilitare la loro distribuzione”. La Dichiarazione affronta, ancora, il tema delle ripercussioni della rivoluzione digitale sui contenuti culturali sottolinenando che “[l]a libertà di espressione, il pluralismo dei media, il multilinguismo, l’accesso paritario all’arte e alla conoscenza scientifica e tecnologica, compreso il formato digitale, e la possibilità data a tutte le culture di accedere ai mezzi di espressione e di diffusione sono le garanzie della diversità culturale”. Merita ancora un cenno anche la successiva Convenzione UNESCO sulla diversità culturale adottata nel 2005 che individua, tra i doveri delle parti contraenti, quello di “promuovere l’uso delle nuove tecnologie (…) al fine di rafforzare la condivisione dell’informazione e la comprensione culturale e di favorire la diversità delle espressioni culturali” e include la formazione delle risorse umane nei paesi in via di sviluppo circa “l’utilizzo delle tecnologie” tra gli strumenti di cooperazione per lo sviluppo sostenibile e la riduzione della povertà in linea con gli obiettivi del millennio fissati dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. La intensa attività di negoziazione della citata Convenzione del 2005 condotta dalla Commissione europea (e in generale il ruolo delle istituzioni comunitarie nella adozione dell’accordo) conferma la rilevanza che l’Unione attribuisce allo sviluppo delle attività culturali, consacrato infatti tra i suoi principi fondamentali ed espresso tanto nell’attuale art. 167 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (ex. art. 151 TCE), che nel preambolo della Carta dei diritti fondamentali. In generale, l’Unione è particolarmente attenta alla dimensione culturale delle proprie politiche come dimostra il MEDIA Plus Programme rispetto alla politica industriale, la iniziativa Television Without Frontiers per ciò che concerne il mercato interno (e in particolare la libera circolazione dei servizi) e il citato art. 167 circa le relazioni esterne dell’Unione poiché la disposizione in parola incoraggia gli Stati membri a promuovere nelle loro relazioni internazionali il “miglioramento della conoscenza e della diffusione della cultura e della storia dei popoli europei”, nonché la “conservazione e salvaguardia del patrimonio culturale di importanza europea” cooperando a tal fine tra loro e “con i paesi terzi e le organizzazioni internazionali competenti in materia di cultura”. La politica dell’Unione di digitalizzazione, volta a costruire la società europea dell’informazione e della comunicazione, rappresenta un ulteriore step nella promozione (in ambito regionale) degli standards affermati inizialmente sul piano generale per perseguire gli obiettivi di accessibilità, diffusione e protezione dei beni culturali e scientifici, adeguando le esigenze connesse a tali obiettivi alle potenzialità (e ai rischi) dell’era digitale. La prima conclusione emersa dalla analisi condotta è che sebbene la digitalizzazione sia inizialmente nata per garantire la accessibilità, la diffusione e la protezione dei beni culturali e scientifici esistenti, essa ha successivamente generato anche una ulteriore eredità, dove ad essere oggetto di attenzione non è più solo il bene materiale digitalizzato, ma lo stesso bene digitale in quanto tale. Il patrimonio digitale rappresenta infatti un “nuovo lascito” che va sempre più conquistando una autonomia propria rispetto a quella dei beni che ne costituiscono parte integrante; un “patrimonio comune” la cui fruizione, diffusione e conservazione diventano una “emergenza mondiale”, cui l’UNESCO dedica un apposito documento nel 2003 e cui le organizzazioni regionali, l’UE in testa, riferiscono specifici piani di azioni. La seconda osservazione degna di nota è che la strategia dell’Unione europea di tutela dei beni culturali e scientifici nell’era digitale mira ad adeguarsi alle guidelines internazionali e ad attuare in ambito europeo l’international digital agenda, cioè quel corpus di principi sanciti nei Trattati WIPO del 1996, nella Carta adottata dall’UNESCO nel 2003 e nella citata Convenzione di Berna del 1886 che puntano a 1) liberare l’accesso al patrimonio digitale da “qualunque restrizione immotivata”; 2) favorire la diffusione del “sapere”, attraverso la digitalizzazione, equilibrando diritti legittimi dei creatori e degli altri soggetti portatori di diritti e l’interesse del pubblico ad avere accesso al patrimonio digitale; 3) fornire un quadro generale di riferimento agli Stati che pure riconoscendo un discreto margine di autonomia alla legislazione interna, fissi comunque le linee guida – giuridiche, tecniche ed istituzionali – per assicurare la protezione del patrimonio digitale. Al cuore della strategia di Lisbona, l’innovazione fa parte del “triangolo della conoscenza”, destinato a rafforzare la crescita e l’occupazione dell’Unione europea in un’economia globalizzata e a mettere “il sapere” a servizio del dinamismo economico e del progresso sociale ed ambientale. “Mantenere sviluppare e diffondere la conoscenza” rappresenta una delle finalità che l’UNESCO si è prefissata nella citata Carta sulla Conservazione del patrimonio digitale. Analogamente, nella sua Revisione del mercato interno (Single Market Review) la Commissione europea ha sottolineato la necessità di promuovere la libera circolazione del sapere e dell’innovazione nel mercato unico, in quanto “quinta libertà”.

Patrimonio digitale: guidelines internazionali e strategie dell’Unione europea di accessibilità, diffusione e protezione dei beni culturali e scientifici nell’era digitale

ORIOLO, Anna
2010-01-01

Abstract

ANNA ORIOLO Patrimonio digitale: guidelines internazionali e strategie dell’Unione europea di accessibilità, diffusione e protezione dei beni culturali e scientifici nell’era digitale Abstract Le risorse di informazione ed espressione creativa vengono sempre più frequentemente prodotte, distribuite, rese accessibili e mantenute in forma digitale, creando un nuovo lascito: il patrimonio digitale (digital heritage/patrimoine numerique). Si tratta, secondo l’UNESCO, di un patrimonio “comune” che comprende risorse culturali, formative, scientifiche e amministrative, come anche informazioni di natura tecnica, giuridica, medica e di altro genere, create in digitale (beni digitali in origine: testi, immagini fisse e in movimento, audio, grafica, software e pagine web) o convertite in forma digitale da risorse analogiche già esistenti (beni digitalizzati: libri e testi su carta, negativi fotografici, pellicole cinematografiche, musica su cassette o dischi di vinile, ma anche reperti archeologici riprodotti in 3d). I beni culturali ed intellettuali creati e/o resi disponibili in formato digitale possono esprimere una cultura determinata che, al contempo, è resa universalmente accessibile e quindi fruibile per il pubblico mondiale; la digitalizzazione dei beni culturali favorisce quindi la condivisione di conoscenza tra tutti i popoli e costituisce “la memoria del domani”; essa dipende però da tecnologie in continua (e spesso troppo rapida) evoluzione e necessita di misure di conservazione per rendere tali beni disponibili per il futuro e continuare a garantire la “rappresentanza nel tempo di tutti i popoli, le nazioni, le culture e le lingue”. Il saggio si sofferma sul rapporto tra tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) e patrimonio culturale e scientifico e si inquadra nel più ampio tema della accessibilità, diffusione e protezione dei beni culturali e scientifici nell’era digitale. A tal fine esso, muovendo dalla nozione di patrimonio digitale offerta dall’UNESCO e dalle linee guida promosse in ambito internazionale per la comunicazione e la trasmissione del sapere, ripercorre le tappe della strategia dell’Unione europea in materia di digitalizzazione dei beni culturali e scientifici e indaga sulle origini e sulle conseguenze di questo obiettivo dell’Unione. Quanto agli standards internazionali relativi alla digitalizzazione del patrimonio culturale e scientifico già l’UNESCO nel piano di attuazione della Dichiarazione Universale sulla diversità culturale del 2001 invitava gli Stati membri a “incoraggiare l’‘alfabetizzazione digitale’” e ad “assicurare una maggiore padronanza delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, che dovrebbero essere considerate sia come materie d’insegnamento che come strumenti pedagogici in grado di valorizzare l’efficacia dei servizi educativi”. Tra gli obiettivi promossi dall’UNESCO nel 2001 spiccano in particolare quello di “contrastare il divario digitale, incoraggiando l’accesso alle nuove tecnologie da parte dei paesi in via di sviluppo, aiutandoli a padroneggiare le tecnologie dell’informazione e facilitando la diffusione digitale dei prodotti culturali endogeni e l’accesso da parte di questi paesi alle risorse digitali educative, culturali e scientifiche disponibili a livello mondiale” e ancora di “[i]ncoraggiare la produzione, la salvaguardia e la diffusione di contenuti diversificati nei media e nelle reti globali di informazione e, a questo scopo, promuovere il ruolo dei servizi radiotelevisivi pubblici nello sviluppo di produzioni audiovisive di qualità, in particolare incoraggiando la creazione di meccanismi cooperativi per facilitare la loro distribuzione”. La Dichiarazione affronta, ancora, il tema delle ripercussioni della rivoluzione digitale sui contenuti culturali sottolinenando che “[l]a libertà di espressione, il pluralismo dei media, il multilinguismo, l’accesso paritario all’arte e alla conoscenza scientifica e tecnologica, compreso il formato digitale, e la possibilità data a tutte le culture di accedere ai mezzi di espressione e di diffusione sono le garanzie della diversità culturale”. Merita ancora un cenno anche la successiva Convenzione UNESCO sulla diversità culturale adottata nel 2005 che individua, tra i doveri delle parti contraenti, quello di “promuovere l’uso delle nuove tecnologie (…) al fine di rafforzare la condivisione dell’informazione e la comprensione culturale e di favorire la diversità delle espressioni culturali” e include la formazione delle risorse umane nei paesi in via di sviluppo circa “l’utilizzo delle tecnologie” tra gli strumenti di cooperazione per lo sviluppo sostenibile e la riduzione della povertà in linea con gli obiettivi del millennio fissati dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. La intensa attività di negoziazione della citata Convenzione del 2005 condotta dalla Commissione europea (e in generale il ruolo delle istituzioni comunitarie nella adozione dell’accordo) conferma la rilevanza che l’Unione attribuisce allo sviluppo delle attività culturali, consacrato infatti tra i suoi principi fondamentali ed espresso tanto nell’attuale art. 167 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (ex. art. 151 TCE), che nel preambolo della Carta dei diritti fondamentali. In generale, l’Unione è particolarmente attenta alla dimensione culturale delle proprie politiche come dimostra il MEDIA Plus Programme rispetto alla politica industriale, la iniziativa Television Without Frontiers per ciò che concerne il mercato interno (e in particolare la libera circolazione dei servizi) e il citato art. 167 circa le relazioni esterne dell’Unione poiché la disposizione in parola incoraggia gli Stati membri a promuovere nelle loro relazioni internazionali il “miglioramento della conoscenza e della diffusione della cultura e della storia dei popoli europei”, nonché la “conservazione e salvaguardia del patrimonio culturale di importanza europea” cooperando a tal fine tra loro e “con i paesi terzi e le organizzazioni internazionali competenti in materia di cultura”. La politica dell’Unione di digitalizzazione, volta a costruire la società europea dell’informazione e della comunicazione, rappresenta un ulteriore step nella promozione (in ambito regionale) degli standards affermati inizialmente sul piano generale per perseguire gli obiettivi di accessibilità, diffusione e protezione dei beni culturali e scientifici, adeguando le esigenze connesse a tali obiettivi alle potenzialità (e ai rischi) dell’era digitale. La prima conclusione emersa dalla analisi condotta è che sebbene la digitalizzazione sia inizialmente nata per garantire la accessibilità, la diffusione e la protezione dei beni culturali e scientifici esistenti, essa ha successivamente generato anche una ulteriore eredità, dove ad essere oggetto di attenzione non è più solo il bene materiale digitalizzato, ma lo stesso bene digitale in quanto tale. Il patrimonio digitale rappresenta infatti un “nuovo lascito” che va sempre più conquistando una autonomia propria rispetto a quella dei beni che ne costituiscono parte integrante; un “patrimonio comune” la cui fruizione, diffusione e conservazione diventano una “emergenza mondiale”, cui l’UNESCO dedica un apposito documento nel 2003 e cui le organizzazioni regionali, l’UE in testa, riferiscono specifici piani di azioni. La seconda osservazione degna di nota è che la strategia dell’Unione europea di tutela dei beni culturali e scientifici nell’era digitale mira ad adeguarsi alle guidelines internazionali e ad attuare in ambito europeo l’international digital agenda, cioè quel corpus di principi sanciti nei Trattati WIPO del 1996, nella Carta adottata dall’UNESCO nel 2003 e nella citata Convenzione di Berna del 1886 che puntano a 1) liberare l’accesso al patrimonio digitale da “qualunque restrizione immotivata”; 2) favorire la diffusione del “sapere”, attraverso la digitalizzazione, equilibrando diritti legittimi dei creatori e degli altri soggetti portatori di diritti e l’interesse del pubblico ad avere accesso al patrimonio digitale; 3) fornire un quadro generale di riferimento agli Stati che pure riconoscendo un discreto margine di autonomia alla legislazione interna, fissi comunque le linee guida – giuridiche, tecniche ed istituzionali – per assicurare la protezione del patrimonio digitale. Al cuore della strategia di Lisbona, l’innovazione fa parte del “triangolo della conoscenza”, destinato a rafforzare la crescita e l’occupazione dell’Unione europea in un’economia globalizzata e a mettere “il sapere” a servizio del dinamismo economico e del progresso sociale ed ambientale. “Mantenere sviluppare e diffondere la conoscenza” rappresenta una delle finalità che l’UNESCO si è prefissata nella citata Carta sulla Conservazione del patrimonio digitale. Analogamente, nella sua Revisione del mercato interno (Single Market Review) la Commissione europea ha sottolineato la necessità di promuovere la libera circolazione del sapere e dell’innovazione nel mercato unico, in quanto “quinta libertà”.
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