La questione delle riforme elettorali è tra i temi più discussi in Italia negli ultimi decenni. Si tratta di un dibattito che è stato fortemente condizionato dalle scelte compiute all’inizio degli anni Novanta e ispirate dalla logica della maggioritario. La legge elettorale varata in quegli prevedeva l’attribuzione dei tre quarti dei seggi con il sistema plurality e aveva il “compito” di semplificare il sistema partitico. Questa infatti era considerata la condizione necessaria per realizzare in Italia una democrazia modello Westminster che avrebbe assicurato una maggiore efficienza delle istituzioni di governo. Quegli obiettivi erano stati mancati soprattutto perché il sistema partitico non era stato ridotto al formato bipartitico ed era addirittura aumentato il numero dei partiti anche perché il peso strategico dei piccoli partiti era cresciuto soprattutto nella competizione a livello di collegio uninominale. La legge successiva nata per suggellare il superamento della “camicia di forza” del bipolarismo, aveva adottato la formula proporzionale con significative correzioni maggioritarie come la soglia di sbarramento diversificata per le liste non coalizzate e soprattutto il premio di maggioranza alla lista o alle coalizioni che abbiano raccolto il maggior numero di voti. Le prime due prove della nuova legge ha dato esiti diversi considerati insoddisfacenti anche se per ragioni diverse. Occorre segnalare che pur essendo cambiata la tecnica la logica di fondo delle due ultime leggi elettorali non è cambiata L’insoddisfazione per i risultati conseguiti attraverso le due riforme succedutesi nel giro di pochi anni può essere attribuita alla circostanza che non erano stati dichiarati in modo esplicito gli obiettivi che si intendevano conseguire nonché i valori e i principi che si intendevano tutelare e salvaguardare in via prioritaria. Le promesse del maggioritario erano troppo ampie e, allo stesso tempo, vaghe. Le ricerche comparate condotte in una prospettiva diacronica hanno evidenziato che non vi è un sistema elettorale buono in assoluto, ma che ciascun di essi è idoneo a conseguire determinati obiettivi e a perseguire un certo insieme di valori democratici, non tutti. Le conseguenze sortite dalle precedenti riforme varate nel nostro paese, anche di quelle sperimentate a livello locale e regionale, mostrano che le leggi elettorali rappresentano una leva potente ed efficace per innescare la trasformazione delle istituzioni politiche e per orientare il cambiamento sociale. Tuttavia, proprio l’esito delle due riforme per l’elezione del Parlamento nazionale suggerisce che il dibattito verta non solo sulle tecniche, ma anche sugli obiettivi e sui principi di fondo e soprattutto che le soluzioni normative e le architetture legislative siano sviluppate tenendo conto in maggiore misura delle caratteristiche del sistema politico, della cultura e della società italiana.

Le riforme elettorali. Una questione da affrontare con metodo

FRUNCILLO, Domenico
2012-01-01

Abstract

La questione delle riforme elettorali è tra i temi più discussi in Italia negli ultimi decenni. Si tratta di un dibattito che è stato fortemente condizionato dalle scelte compiute all’inizio degli anni Novanta e ispirate dalla logica della maggioritario. La legge elettorale varata in quegli prevedeva l’attribuzione dei tre quarti dei seggi con il sistema plurality e aveva il “compito” di semplificare il sistema partitico. Questa infatti era considerata la condizione necessaria per realizzare in Italia una democrazia modello Westminster che avrebbe assicurato una maggiore efficienza delle istituzioni di governo. Quegli obiettivi erano stati mancati soprattutto perché il sistema partitico non era stato ridotto al formato bipartitico ed era addirittura aumentato il numero dei partiti anche perché il peso strategico dei piccoli partiti era cresciuto soprattutto nella competizione a livello di collegio uninominale. La legge successiva nata per suggellare il superamento della “camicia di forza” del bipolarismo, aveva adottato la formula proporzionale con significative correzioni maggioritarie come la soglia di sbarramento diversificata per le liste non coalizzate e soprattutto il premio di maggioranza alla lista o alle coalizioni che abbiano raccolto il maggior numero di voti. Le prime due prove della nuova legge ha dato esiti diversi considerati insoddisfacenti anche se per ragioni diverse. Occorre segnalare che pur essendo cambiata la tecnica la logica di fondo delle due ultime leggi elettorali non è cambiata L’insoddisfazione per i risultati conseguiti attraverso le due riforme succedutesi nel giro di pochi anni può essere attribuita alla circostanza che non erano stati dichiarati in modo esplicito gli obiettivi che si intendevano conseguire nonché i valori e i principi che si intendevano tutelare e salvaguardare in via prioritaria. Le promesse del maggioritario erano troppo ampie e, allo stesso tempo, vaghe. Le ricerche comparate condotte in una prospettiva diacronica hanno evidenziato che non vi è un sistema elettorale buono in assoluto, ma che ciascun di essi è idoneo a conseguire determinati obiettivi e a perseguire un certo insieme di valori democratici, non tutti. Le conseguenze sortite dalle precedenti riforme varate nel nostro paese, anche di quelle sperimentate a livello locale e regionale, mostrano che le leggi elettorali rappresentano una leva potente ed efficace per innescare la trasformazione delle istituzioni politiche e per orientare il cambiamento sociale. Tuttavia, proprio l’esito delle due riforme per l’elezione del Parlamento nazionale suggerisce che il dibattito verta non solo sulle tecniche, ma anche sugli obiettivi e sui principi di fondo e soprattutto che le soluzioni normative e le architetture legislative siano sviluppate tenendo conto in maggiore misura delle caratteristiche del sistema politico, della cultura e della società italiana.
2012
8823016886
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11386/3354677
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