Il saggio in una sua prima parte intende ricostruire le alterne vicende del porto di Salerno sin dagli anni della sua fondazione, intorno alla metà del XIII secolo, allorquando tale progetto, rientrando nel più ampio e complesso quadro dell’unificazione nazionale sveva, contribuì al rilancio della Città che si apprestò a intraprendere - anche se per un limitato periodo di tempo - un nuovo ruolo nei rapporti marittimo-commerciali del Mediterraneo. La sorte del portò seguì nel tempo l’alternarsi delle dominazioni da quella angioina, che alla stregua dei loro predecessori, pur considerando prioritaria la sua ultimazione, non poterono evitarne l’insabbiamento; a quella aragonese che nulla fecero, preferendo altri attracchi. Seguirono poi i lunghi secoli di Viceregno: spagnolo prima (1503-1707) e austriaco poi (1707-1734), durante i quali il porto di Salerno continuò a versare nella ormai cronica condizione di degrado. Solo nel primo periodo borbonico le secolari e travagliate vicende del porto di Salerno sembrano avere una conclusione quando nel 1752 si diede inizio alla costruzione nel nuovo porto, sperimentando nuove tecniche di costruzione. I costosissimi lavori di ammodernamento continuarono per tutta la Reggenza di Tanucci (1759-1767) e il rilancio del porto, menzionato tra i più sicuri e utili per il commercio di esportazione, accompagnò quello della importante fiera cittadina che, dai registri della Manchester Commercial Society, risultava essere la principale in Italia per lo smercio dei generi manufatti inglesi. In realtà, però, si era ben lontani dal quell’idea auspicata di 'conclusus locus': il movimento marittimo-mercantile salernitano si riduceva a ben poca cosa e vincolato soprattutto alle periodiche cadenze della fiera cittadina (maggio e settembre). Il governo borbonico, dunque, pur riconoscendo legittime le aspirazioni locali di fornire la città di Salerno di un porto funzionale, nei decenni a seguire provvide solo al suo mantenimento ordinario, giudicando elevati i suoi costi di ammodernamento e di “perfezionamento”. Gli ultimi anni del regno Borbonico segnarono una svolta importante per il porto di Salerno che, grazie alle modifiche progettate (1858) dall’allora Direttore del Genio Civile Giuseppe Palmieri, poté essere riconosciuto poi dal nuovo Regno d’Italia porto di interesse nazionale e come tale classificato di III classe (1866); ma solo nel 1878 il porto di Salerno, dopo un’ulteriore spesa di oltre 1 milione di lire, poteva finalmente considerarsi a tutti gli effetti un 'conclusus locus'. Dopo i primi difficili anni di avvio nel 1885 fu classificato come porto di II categoria (2a classe) e si diede avvio a nuovi progetti di ampliamento e di sistemazione che si protrassero sino alla fine del primo ventennio del Novecento, e che negli anni a seguire fino al Secondo Dopoguerra portarono a un rifiorire del suo movimento marittimo mercantile. La seconda parte del saggio analizza le principali tappe dell’evoluzione compiuta dal Porto di Salerno nel ‘900 e come i mutamenti organizzativi e funzionali dei suoi terminali marittimi non solo hanno comportato una trasformazione delle attività di viaggio rendendo il trasporto merci via mare, nel complesso, uno dei sistemi di trasporto più sofisticati, ma allo stesso tempo hanno contribuito a un notevole sviluppo del comparto armatoriale specialmente nell’ambito dei collegamenti su lunghe distanze. Alla luce di queste considerazioni, si è proceduto alla descrizione del percorso intrapreso dal Porto di Salerno che, soprattutto in tempi più recenti, per adeguare l’offerta dei servizi alle trasformazioni intervenute dal lato della domanda ha avviato un’intensa attività strategica tesa all’inserimento dello scalo nel network portuale a servizio dei Paesi del Mediterraneo. La rete dei collegamenti con i porti di transhipment e con tutti i principali scali tirrenici, garantisce la possibilità di raggiungere attraverso lo scalo salernitano la maggior parte delle aree geografiche del mondo. Questa circostanza ha reso possibile lo sfruttamento della favorevole posizione baricentrica del porto che si è tradotta, nell’ultimo decennio, in un consistente aumento dei flussi di traffico movimentati. Il saggio si chiude considerando il ruolo del Porto di Salerno in un’analisi prospettica del mercato del trasporto marittimo, dalla quale emerge come esso abbia presentato, soprattutto dal 2000, una buona dinamica dei traffici containerizzati, offrendo servizi di collegamento a corto raggio nonché servizi feeder per buona parte dell’area del Sud Italia, in concorrenza con il porto di Napoli che, ormai congestionato, non riesce più ad assolvere alle funzioni di terminal contenitori per l’intera area regionale. Il trasporto containerizzato non è l’unica tipologia di traffico movimentato nel Porto di Salerno: sono presenti anche altre correnti di traffico che mostrano un certo interesse per la redditività portuale e per l’intera economia locale. Tra queste particolare rilevanza assume il trasporto di autoveicoli, ma tanto il comparto delle crociere che la nautica da diporto fanno intravedere ottime potenzialità di sviluppo, anche se compromesse, allo stato attuale, dalla insufficienza delle infrastrutture. La realizzazione della nuova stazione marittima darà un impulso decisivo al mercato delle crociere in forte crescita nell’intera area del Mediterraneo. Infine, per quanto riguarda il ruolo ‘logistico’ del Porto di Salerno, esso trovandosi in una posizione baricentrica per l’area mediterranea, costituisce uno dei principali poli per un sistema dei trasporti teso a valorizzare le potenzialità ‘logistiche’ insite nella filosofia su cui si basa il concetto di Autostrade del Mare. Ed infatti, nella fase attuale il Porto di Salerno risulta già proiettato in una realtà nella quale dovrà svolgere le funzioni di piattaforma logistica del Mediterraneo ed eliminare la soluzione di continuità tra la fase marittima ed il trasporto terrestre.

Il porto di Salerno da "conclusus locus" a piattaforma logistica per il Mediterraneo

Di Salvia Biagio;CARLUCCI Fabio
2009-01-01

Abstract

Il saggio in una sua prima parte intende ricostruire le alterne vicende del porto di Salerno sin dagli anni della sua fondazione, intorno alla metà del XIII secolo, allorquando tale progetto, rientrando nel più ampio e complesso quadro dell’unificazione nazionale sveva, contribuì al rilancio della Città che si apprestò a intraprendere - anche se per un limitato periodo di tempo - un nuovo ruolo nei rapporti marittimo-commerciali del Mediterraneo. La sorte del portò seguì nel tempo l’alternarsi delle dominazioni da quella angioina, che alla stregua dei loro predecessori, pur considerando prioritaria la sua ultimazione, non poterono evitarne l’insabbiamento; a quella aragonese che nulla fecero, preferendo altri attracchi. Seguirono poi i lunghi secoli di Viceregno: spagnolo prima (1503-1707) e austriaco poi (1707-1734), durante i quali il porto di Salerno continuò a versare nella ormai cronica condizione di degrado. Solo nel primo periodo borbonico le secolari e travagliate vicende del porto di Salerno sembrano avere una conclusione quando nel 1752 si diede inizio alla costruzione nel nuovo porto, sperimentando nuove tecniche di costruzione. I costosissimi lavori di ammodernamento continuarono per tutta la Reggenza di Tanucci (1759-1767) e il rilancio del porto, menzionato tra i più sicuri e utili per il commercio di esportazione, accompagnò quello della importante fiera cittadina che, dai registri della Manchester Commercial Society, risultava essere la principale in Italia per lo smercio dei generi manufatti inglesi. In realtà, però, si era ben lontani dal quell’idea auspicata di 'conclusus locus': il movimento marittimo-mercantile salernitano si riduceva a ben poca cosa e vincolato soprattutto alle periodiche cadenze della fiera cittadina (maggio e settembre). Il governo borbonico, dunque, pur riconoscendo legittime le aspirazioni locali di fornire la città di Salerno di un porto funzionale, nei decenni a seguire provvide solo al suo mantenimento ordinario, giudicando elevati i suoi costi di ammodernamento e di “perfezionamento”. Gli ultimi anni del regno Borbonico segnarono una svolta importante per il porto di Salerno che, grazie alle modifiche progettate (1858) dall’allora Direttore del Genio Civile Giuseppe Palmieri, poté essere riconosciuto poi dal nuovo Regno d’Italia porto di interesse nazionale e come tale classificato di III classe (1866); ma solo nel 1878 il porto di Salerno, dopo un’ulteriore spesa di oltre 1 milione di lire, poteva finalmente considerarsi a tutti gli effetti un 'conclusus locus'. Dopo i primi difficili anni di avvio nel 1885 fu classificato come porto di II categoria (2a classe) e si diede avvio a nuovi progetti di ampliamento e di sistemazione che si protrassero sino alla fine del primo ventennio del Novecento, e che negli anni a seguire fino al Secondo Dopoguerra portarono a un rifiorire del suo movimento marittimo mercantile. La seconda parte del saggio analizza le principali tappe dell’evoluzione compiuta dal Porto di Salerno nel ‘900 e come i mutamenti organizzativi e funzionali dei suoi terminali marittimi non solo hanno comportato una trasformazione delle attività di viaggio rendendo il trasporto merci via mare, nel complesso, uno dei sistemi di trasporto più sofisticati, ma allo stesso tempo hanno contribuito a un notevole sviluppo del comparto armatoriale specialmente nell’ambito dei collegamenti su lunghe distanze. Alla luce di queste considerazioni, si è proceduto alla descrizione del percorso intrapreso dal Porto di Salerno che, soprattutto in tempi più recenti, per adeguare l’offerta dei servizi alle trasformazioni intervenute dal lato della domanda ha avviato un’intensa attività strategica tesa all’inserimento dello scalo nel network portuale a servizio dei Paesi del Mediterraneo. La rete dei collegamenti con i porti di transhipment e con tutti i principali scali tirrenici, garantisce la possibilità di raggiungere attraverso lo scalo salernitano la maggior parte delle aree geografiche del mondo. Questa circostanza ha reso possibile lo sfruttamento della favorevole posizione baricentrica del porto che si è tradotta, nell’ultimo decennio, in un consistente aumento dei flussi di traffico movimentati. Il saggio si chiude considerando il ruolo del Porto di Salerno in un’analisi prospettica del mercato del trasporto marittimo, dalla quale emerge come esso abbia presentato, soprattutto dal 2000, una buona dinamica dei traffici containerizzati, offrendo servizi di collegamento a corto raggio nonché servizi feeder per buona parte dell’area del Sud Italia, in concorrenza con il porto di Napoli che, ormai congestionato, non riesce più ad assolvere alle funzioni di terminal contenitori per l’intera area regionale. Il trasporto containerizzato non è l’unica tipologia di traffico movimentato nel Porto di Salerno: sono presenti anche altre correnti di traffico che mostrano un certo interesse per la redditività portuale e per l’intera economia locale. Tra queste particolare rilevanza assume il trasporto di autoveicoli, ma tanto il comparto delle crociere che la nautica da diporto fanno intravedere ottime potenzialità di sviluppo, anche se compromesse, allo stato attuale, dalla insufficienza delle infrastrutture. La realizzazione della nuova stazione marittima darà un impulso decisivo al mercato delle crociere in forte crescita nell’intera area del Mediterraneo. Infine, per quanto riguarda il ruolo ‘logistico’ del Porto di Salerno, esso trovandosi in una posizione baricentrica per l’area mediterranea, costituisce uno dei principali poli per un sistema dei trasporti teso a valorizzare le potenzialità ‘logistiche’ insite nella filosofia su cui si basa il concetto di Autostrade del Mare. Ed infatti, nella fase attuale il Porto di Salerno risulta già proiettato in una realtà nella quale dovrà svolgere le funzioni di piattaforma logistica del Mediterraneo ed eliminare la soluzione di continuità tra la fase marittima ed il trasporto terrestre.
2009
9788888813691
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11386/3409678
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