Per esprimere il concetto di una simbiosi che non comporta la perdita dell’identità, per visualizzare in termini concreti l’unio mystica tra uomo e Dio, la riflessione orientale e occidentale ha utilizzato la metafora del ferro arroventato, dell’aria pervasa dalla luce, dell’acqua mista a vino. Questi elementi, con l’eccezione del vino, erano tra Antichità e Medioevo ritenuti costituenti del vetro, materiale dall’iconologia complessa quanto intrigante, associato ai metalli e alle arti del fuoco. Il vetro viene negli stessi secoli adottato quale schermo da finestra, in particolare, benché non esclusivamente, in contesti sacri cristiani. La nascita e l’evolversi dello schermo invetriato nella sua forma figurativa, lungi dall’essere una mera trovata artigianale che combina in forme nuove vetro e metallo, pare assecondare la riflessione teologica, in particolare cristologica tra VIII-IX s. Non a caso tra i primi soggetti raffigurati sulle vetrate compare il Dio Incarnato, circoscritto, ma dal volto che splende di pura luce, privo di lineamenti. La doppia natura umana e divina di Cristo, il suo candore che arde e rischiara le tenebre simboleggiando la Verità, è visualizzata da Ambrogio Autperto poco dopo la metà dell’VIII s. tramite una pietra preziosa di colore rosso intenso, associata al carbone ardente, chiamata calculus o carbunculus: “Vtrumque autem nomen in diuina scriptura, et pro lapide pretioso et pro carbone saepius ponitur… Sicut enim carbo succensus, qua magnitudine subsistit, ea in tenebris positus refulget, ita et hic lapis a multis facere perhibetur. Quis itaque per hunc, nisi mediator Dei et hominum homo Christus Iesus designatur? Bene autem per lapidem calculum, qui et secundum hanc Revelationem candidus esse, et naturae suae adtestatione in tenebris lucere perhibetur, incarnata Veritas exprimitur”.

Il fuoco, le vetrate delle origini e la mistica medievale

DELL'ACQUA, Francesca
2013-01-01

Abstract

Per esprimere il concetto di una simbiosi che non comporta la perdita dell’identità, per visualizzare in termini concreti l’unio mystica tra uomo e Dio, la riflessione orientale e occidentale ha utilizzato la metafora del ferro arroventato, dell’aria pervasa dalla luce, dell’acqua mista a vino. Questi elementi, con l’eccezione del vino, erano tra Antichità e Medioevo ritenuti costituenti del vetro, materiale dall’iconologia complessa quanto intrigante, associato ai metalli e alle arti del fuoco. Il vetro viene negli stessi secoli adottato quale schermo da finestra, in particolare, benché non esclusivamente, in contesti sacri cristiani. La nascita e l’evolversi dello schermo invetriato nella sua forma figurativa, lungi dall’essere una mera trovata artigianale che combina in forme nuove vetro e metallo, pare assecondare la riflessione teologica, in particolare cristologica tra VIII-IX s. Non a caso tra i primi soggetti raffigurati sulle vetrate compare il Dio Incarnato, circoscritto, ma dal volto che splende di pura luce, privo di lineamenti. La doppia natura umana e divina di Cristo, il suo candore che arde e rischiara le tenebre simboleggiando la Verità, è visualizzata da Ambrogio Autperto poco dopo la metà dell’VIII s. tramite una pietra preziosa di colore rosso intenso, associata al carbone ardente, chiamata calculus o carbunculus: “Vtrumque autem nomen in diuina scriptura, et pro lapide pretioso et pro carbone saepius ponitur… Sicut enim carbo succensus, qua magnitudine subsistit, ea in tenebris positus refulget, ita et hic lapis a multis facere perhibetur. Quis itaque per hunc, nisi mediator Dei et hominum homo Christus Iesus designatur? Bene autem per lapidem calculum, qui et secundum hanc Revelationem candidus esse, et naturae suae adtestatione in tenebris lucere perhibetur, incarnata Veritas exprimitur”.
2013
9788868090067
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11386/3941203
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