La discriminazione fra uomo e donna — annullando la componente individuale— apre alla dimensione sociale del problema. Il legislatore, in questo contesto, è chiamato ad intervenire in funzione di riequilibrio e di neutralizzazione delle differenze. La profondità culturale di questa discriminazione si percepisce già a guardare il ricco panorama normativo che, almeno in teoria, vorrebbe negare ogni forma di disuguaglianza. Basti pensare alla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo (artt. 1, 2 e 7), alla Carta di Nizza (artt. 19-21, art. 23, artt.33-34, alla Costituzione it., (artt. 2; 3; 31; 37; 51; 117 Cost. it.), alla Costituzione spagnola (art. 14); laddove, a livello di Unione Europea, l’art. 141 Tratt. CE (ora trasformato nell’art. 157 TFUE) ispira la normazione comunitaria in materia di parità fra uomo e donna. Tutto ciò, senza considerare la Dichiarazione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1967. In pratica, però, la rimozione normativa dei meccanismi istituzionali che producono esclusione, pur creando l’abbaglio di un situazione di eguaglianza, non supera l’effetto “glass ceiling”, che si radica fortemente in policy discriminatorie le quali “corrompono” le strutture sociali e impongono interventi normativi settoriali. Il diritto del lavoro si presenta, in questo contesto, come terreno ideale di emersione di un conflitto che costringe la donna a confrontarsi, oltre che con sedimentati valori culturali, con la logica di un mercato che elegge l’efficienza a parametro di valutazione delle scelte economiche.

La tutela della donna tra scelte politiche e principio di non discriminazione

ZAMBRANO, Virginia
2014-01-01

Abstract

La discriminazione fra uomo e donna — annullando la componente individuale— apre alla dimensione sociale del problema. Il legislatore, in questo contesto, è chiamato ad intervenire in funzione di riequilibrio e di neutralizzazione delle differenze. La profondità culturale di questa discriminazione si percepisce già a guardare il ricco panorama normativo che, almeno in teoria, vorrebbe negare ogni forma di disuguaglianza. Basti pensare alla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo (artt. 1, 2 e 7), alla Carta di Nizza (artt. 19-21, art. 23, artt.33-34, alla Costituzione it., (artt. 2; 3; 31; 37; 51; 117 Cost. it.), alla Costituzione spagnola (art. 14); laddove, a livello di Unione Europea, l’art. 141 Tratt. CE (ora trasformato nell’art. 157 TFUE) ispira la normazione comunitaria in materia di parità fra uomo e donna. Tutto ciò, senza considerare la Dichiarazione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1967. In pratica, però, la rimozione normativa dei meccanismi istituzionali che producono esclusione, pur creando l’abbaglio di un situazione di eguaglianza, non supera l’effetto “glass ceiling”, che si radica fortemente in policy discriminatorie le quali “corrompono” le strutture sociali e impongono interventi normativi settoriali. Il diritto del lavoro si presenta, in questo contesto, come terreno ideale di emersione di un conflitto che costringe la donna a confrontarsi, oltre che con sedimentati valori culturali, con la logica di un mercato che elegge l’efficienza a parametro di valutazione delle scelte economiche.
2014
9788415731993
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11386/4287854
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