L’intervento del giudice di legittimità è provocato dal ricorso della parte privata che ha dedotto violazione e mancata applicazione degli artt. 122 c.p.c. e 109 c.p.p. in relazione all'art. 2 l. n. 482/1999, in materia di tutela delle minoranze linguistiche, atteso il mancato utilizzo nel processo del dialetto sardo campidanese. La cassazione ha ritenuto infondata la doglianza. Dopo aver delimitato il quadro normativo di riferimento (art. 109 c.p.p.; artt. 2, 3 e 9 l. n. 482/1999), sono stati evidenziati i valori sottesi alla tutela della minoranza linguistica così come derivanti dall’interpretazione della Corte costituzionale. Secondo la preziosa lettura offerta dal Giudice delle leggi, il diritto all'uso della lingua materna nell'ambito della comunità di appartenenza va apprezzato quale “elemento fondamentale d'identità culturale e come mezzo primario di trasmissione dei relativi valori e, quindi, di garanzia dell'esistenza della continuità del patrimonio spirituale proprio di ciascuna minoranza etnica”, costituendo, altresì, “un aspetto essenziale della tutela costituzionale delle minoranze etniche, che si collega ai principi supremi della Costituzione: al principio pluralistico riconosciuto dall'art. 2, al principio di eguaglianza di fronte alla legge, garantito dall'art. 3, comma 1, al principio di giustizia sociale e di pieno sviluppo della personalità umana nella vita comunitaria, assicurato dall'art. 3, comma 2, Cost.” (Corte cost., n. 62/1992). La tutela di una minoranza linguistica riconosciuta si realizza pienamente quando nell'ambito del territorio di insediamento della minoranza non si costringono le persone che vi appartengono ad adoperare una lingua diversa da quella materna nei rapporti con le autorità pubbliche. L'esclusione di un’iniziativa ex officio dell'organo procedente volta a consentire l'operatività della tutela linguistica in parola, a dire il vero, potrebbe essere temperata da idonei meccanismi informativi a favore degli aventi diritto. Ma è altresì evidente che in tali vicende va conseguito pure altro bilanciamento. Si tratta di contemperare l'attuazione del regime linguistico privilegiato, da un lato, con l'esercizio del potere cognitivo strumentale al corretto esercizio della funzione giurisdizionale, dall'altro. Ciò significa che per un efficace intervento giudiziale è inevitabile assicurare la mediazione dell'interprete, salvo che – ed è difficile prevederlo all’interno dell'organizzazione giudiziaria - l'organo procedente non abbia diretta cognizione della lingua minoritaria

Processo in lingua sarda: per l'operatività della tutela linguistica il richiedente è tenuto all'onere di allegazione

KALB, Luigi
2015-01-01

Abstract

L’intervento del giudice di legittimità è provocato dal ricorso della parte privata che ha dedotto violazione e mancata applicazione degli artt. 122 c.p.c. e 109 c.p.p. in relazione all'art. 2 l. n. 482/1999, in materia di tutela delle minoranze linguistiche, atteso il mancato utilizzo nel processo del dialetto sardo campidanese. La cassazione ha ritenuto infondata la doglianza. Dopo aver delimitato il quadro normativo di riferimento (art. 109 c.p.p.; artt. 2, 3 e 9 l. n. 482/1999), sono stati evidenziati i valori sottesi alla tutela della minoranza linguistica così come derivanti dall’interpretazione della Corte costituzionale. Secondo la preziosa lettura offerta dal Giudice delle leggi, il diritto all'uso della lingua materna nell'ambito della comunità di appartenenza va apprezzato quale “elemento fondamentale d'identità culturale e come mezzo primario di trasmissione dei relativi valori e, quindi, di garanzia dell'esistenza della continuità del patrimonio spirituale proprio di ciascuna minoranza etnica”, costituendo, altresì, “un aspetto essenziale della tutela costituzionale delle minoranze etniche, che si collega ai principi supremi della Costituzione: al principio pluralistico riconosciuto dall'art. 2, al principio di eguaglianza di fronte alla legge, garantito dall'art. 3, comma 1, al principio di giustizia sociale e di pieno sviluppo della personalità umana nella vita comunitaria, assicurato dall'art. 3, comma 2, Cost.” (Corte cost., n. 62/1992). La tutela di una minoranza linguistica riconosciuta si realizza pienamente quando nell'ambito del territorio di insediamento della minoranza non si costringono le persone che vi appartengono ad adoperare una lingua diversa da quella materna nei rapporti con le autorità pubbliche. L'esclusione di un’iniziativa ex officio dell'organo procedente volta a consentire l'operatività della tutela linguistica in parola, a dire il vero, potrebbe essere temperata da idonei meccanismi informativi a favore degli aventi diritto. Ma è altresì evidente che in tali vicende va conseguito pure altro bilanciamento. Si tratta di contemperare l'attuazione del regime linguistico privilegiato, da un lato, con l'esercizio del potere cognitivo strumentale al corretto esercizio della funzione giurisdizionale, dall'altro. Ciò significa che per un efficace intervento giudiziale è inevitabile assicurare la mediazione dell'interprete, salvo che – ed è difficile prevederlo all’interno dell'organizzazione giudiziaria - l'organo procedente non abbia diretta cognizione della lingua minoritaria
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11386/4657977
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