La ‘legalità reticolare’ di fonte sovranazionale che anima la piú recente normativa anticorruzione in Italia, ponendo un problema di recupero di una cultura giuridico-penale nel rapporto tra modelli di tipizzazione convenzionale ed interna, si fa apprezzare per una decisa impostazione di metodo sul piano preventivo – unica eccezione il corto circuito sistematico nella disciplina della figura del c.d. delatore interno (Whistleblower) – alla quale seguono, però, sul piano strettamente penalistico le maggiori riserve. Infatti, sono proprio le opzioni di ‘diritto penale del processo’, nonché di ristrutturazione delle fattispecie penali con eccessi tecnicistici e diritto criminogeno che, nella legge n. 190 del 2012 e nella piú recente legge n. 69 del 2015, impongono, già sul piano ermeneutico, una esigenza di razionalizzazione del diritto penale multilivello nel contrasto al mercimonio delle funzioni pubbliche. Infatti, è proprio il rispetto di regole assiologicamente orientate a valori normativo-superiori di selezione ‘concettuale’ primaria e secondaria che porta, anche attraverso il decisivo contributo del formante giurisprudenziale, alla costruzione di una evidente legalità complessa ed al necessario recupero della nomofilachia delle norme sulla nomofilachia dei casi. Pertanto, pure discutibili aperture al ricorso a (de)penalizzazioni in concreto affidate ad una politica giudiziaria in nome di una pur invocata tenuta del sistema sembrano spingere, in via generale e piú specificamente per il vuoto di tutela generato dalle ipotesi di «induzione non costrittiva vittimizzante», verso la necessità di ripensare, ancora piú che per il passato, ad una ‘riforma delle riforme’ che, al riparo da torsioni (in)sopportabili della legalità, sappia radicare nel dato normativo opzioni razionali di politica criminale.

“Sistema penale e ‘legalità reticolare’: opzioni di valore nella più recente normativa anticorruzione”

SESSA, Antonino
2017-01-01

Abstract

La ‘legalità reticolare’ di fonte sovranazionale che anima la piú recente normativa anticorruzione in Italia, ponendo un problema di recupero di una cultura giuridico-penale nel rapporto tra modelli di tipizzazione convenzionale ed interna, si fa apprezzare per una decisa impostazione di metodo sul piano preventivo – unica eccezione il corto circuito sistematico nella disciplina della figura del c.d. delatore interno (Whistleblower) – alla quale seguono, però, sul piano strettamente penalistico le maggiori riserve. Infatti, sono proprio le opzioni di ‘diritto penale del processo’, nonché di ristrutturazione delle fattispecie penali con eccessi tecnicistici e diritto criminogeno che, nella legge n. 190 del 2012 e nella piú recente legge n. 69 del 2015, impongono, già sul piano ermeneutico, una esigenza di razionalizzazione del diritto penale multilivello nel contrasto al mercimonio delle funzioni pubbliche. Infatti, è proprio il rispetto di regole assiologicamente orientate a valori normativo-superiori di selezione ‘concettuale’ primaria e secondaria che porta, anche attraverso il decisivo contributo del formante giurisprudenziale, alla costruzione di una evidente legalità complessa ed al necessario recupero della nomofilachia delle norme sulla nomofilachia dei casi. Pertanto, pure discutibili aperture al ricorso a (de)penalizzazioni in concreto affidate ad una politica giudiziaria in nome di una pur invocata tenuta del sistema sembrano spingere, in via generale e piú specificamente per il vuoto di tutela generato dalle ipotesi di «induzione non costrittiva vittimizzante», verso la necessità di ripensare, ancora piú che per il passato, ad una ‘riforma delle riforme’ che, al riparo da torsioni (in)sopportabili della legalità, sappia radicare nel dato normativo opzioni razionali di politica criminale.
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