The War of Spanish Succession encourages the rebirth of the factions that had split the Neapolitan aristocracy during the Franco-Habsburg wars of the sixteenth century and who, in addition to a more or less latent persistence, had recurred in times of crisis as ideological or military support in anti-Spanish position. The dynastic vicissitudes of the early eighteenth century, paradoxically, result an unexpected overturning of traditional fidelity. For the South of Italy, the crisis opened by the succession represents an opportunity to value two centuries of Spanish government and shows the tendencies that had matured in Neapolitan culture and emphasized the inefficiency and the deformity of the Spanish apparatus, the inadequacy of the economic and commercial policy strategies that penalized the Southern Kingdom, and especially the abuses committed by the ministers of a distant ruler. The mirage of independence seems to be the result of the Austrian solution of Archduke Charles, second-born of Emperor Leopold, who offers Neapolitans a true state of mutation with the hypothesis of a "national king" for Naples, who would eventually release the Kingdom from the secular subjection. This design goes with the aspirations of certain sectors of nobility, proud guardians of class privileges, who cultivated the dream of an aristocratic government, of the dominance of nobility in the kingdom, and before the fall of events (with the death of the sovereign) had created a network of contacts for the realization of common goals, with the ultimate aim of concretizing the independence of the Kingdom on the basis of the principle of self-determination: the so-called "aristocratic party" that tried to organize a “Principum Neapolitanorum Coniuratio”, according to the words of Giambattista Vico. The so-called "conspiracy of Macchia" and the revolt that arise are the expression of a movement born of the autonomous affirmation projects of the aristocratic party and converted into a propaganda action that in September 1701 still seems to guarantee a large margin of realization of the goals of changing the political regime. The conspiracy offers the opportunity to analyze the public and private itinerary of the characters that take part in it. The story of Caetani, princes of Caserta, is emblematic of a tortuous and reckless way of life, led by the aristocratic arrogance and the exaltation of its feudal nobility status. During the preparation of the conspiracy, Gaetano Francesco Caetani uses his fief of Caserta, as well as his possessions in the Pontifical State, to facilitate the military enterprise of the imperial army, offering even a large handful of men made up of about a thousand fighters. In return, according to the version of many contemporary chroniclers, he asks the emperor - in case of the victory of the Habsburgs - the assignment of county of Fondi, occupying a strategic position in the State of the Church and was contiguous to his domains of Sermoneta and Cisterna. The deepening of Caetani's role in the story can offer further analysis to interpret the delicate seven-eighteenth-century transition.

Il concetto di “transizione”, nella sua accezione di passaggio, si carica di pregnanza quando viene associato all’aggettivo “europea”, perché il rilievo dell’estensione spaziale restituisce l’enorme portata, la drammaticità, il disorientamento e lo stato di emergenza che caratterizzano la vita interna ed i rapporti fra gli Stati a cavallo tra il Sei e il Settecento, quando il preannunciarsi dell’estinzione degli Asburgo di Spagna prefigura all’Europa l’infrangersi di equilibri secolari, già tanto compromessi dai numerosi recenti conflitti di natura egemonico-espansionistica scatenati soprattutto dalla Francia di Luigi XIV. La riflessione sugli elementi di continuità o di discontinuità, di permanenze o fratture, che prevalgono in questo delicato frangente storico, non può ignorare la complessità e le tortuosità di interpretazione connesse agli eventi scaturiti dalla morte di Carlo II: una politica parallelamente costruita su ufficialità e segretezza, nell’intricato sovrapporsi di scelte militari, di strategie diplomatiche, di rivendicazioni giuridiche. Il principio dinastico, uno degli elementi-cardine dello Stato moderno, diventa materia del contendere in un complicato scenario di rivendicazioni di diritti, che fungono da paravento formale per il dispiegarsi di ambizioni di supremazia. E come ciò accade a livello statale (col tentativo delle diverse potenze di accreditare le proprie ragioni per dilatare il proprio dominio), così accade a livello individuale o corporativo nell’universo delle famiglie aristocratiche, che dietro l’egida della fedeltà dinastica inseguono sogni e progetti di espansione del proprio potere sociale ed economico, sia nella ristretta ottica del casato, sia nella più ampia prospettiva di affermazione cetuale. Un aspetto determinante, nel volgere del secolo, è senz’altro rappresentato dalle posizioni assunte dalle élites dirigenti delle province coinvolte nel processo di disgregazione e ripartizione del bisecolare sistema imperiale spagnolo. Nella crisi provocata dalla morte di Carlo II d’Asburgo, l’Europa si divide in due blocchi orientati alla modifica degli equilibri internazionali o al riequilibrio degli assetti stravolti. Allo stesso modo, a livello locale, il fronte dei ceti dirigenti si spacca, alla disperata ricerca di una soluzione soddisfacente in una situazione di grande incertezza e precarietà: la soddisfazione conseguibile da trasformazioni così radicali può prevedere un rafforzamento delle posizioni del casato nell’ambito della fedeltà prestata al potere centrale, ma al contempo può consentire il perseguimento di un disegno di ingrandimento del ruolo politico dell’aristocrazia. La conservazione del ruolo-chiave che la feudalità aveva ricoperto sotto il dominio spagnolo, basato sulla cessione all’aristocrazia di ampi poteri giurisdizionali per il governo del territorio in cambio di servigi e fedeltà alla corona, rappresenta per i contendenti al trono uno degli elementi sui quali puntare per procacciarsi il consenso delle élites. Per tale ragione, la nuova dinastia borbonica subentrata sul trono di Spagna continuerà a far ricorso al conferimento di quei titoli e quelle onorificenze che avevano alimentato sotto gli Asburgo uno dei canali più solidi di integrazione nobiliare. Il Toson d’Oro, il Grandato, inseguiti dagli aristocratici alla ricerca di ulteriori simboli di differenziazione gerarchica da sfoggiare nell’ampio scenario aristocratico offerto dalla transnazionalità della monarchia spagnola, appaiono ancora delle carte da giocare all’indomani della successione, carte vincenti da utilizzare in un clima minato da ostilità, perplessità ed incertezze. La successione stimola il riemergere delle fazioni che avevano spaccato l’aristocrazia napoletana durante le guerre franco-asburgiche del XVI secolo e che, oltre ad una più o meno latente persistenza, si erano riproposte nei momenti di crisi come sostegno ideologico o militare in funzione antispagnola. Le vicissitudini dinastiche di inizio secolo XVIII determinano, paradossalmente, un inaspettato ribaltamento delle tradizionali fedeltà. Per il Mezzogiorno d’Italia, la crisi aperta dalla successione rappresenta un’occasione per valutare l’operato bisecolare del governo spagnolo e favorisce la diffusione delle tendenze antispagnoliste che erano maturate nella cultura napoletana e che sottolineavano l’inefficienza e la farraginosità degli apparati, l’inadeguatezza delle strategie di politica economica e commerciale che penalizzavano i Regni meridionali, e soprattutto gli abusi perpetrati dai ministri di un sovrano lontano. Il miraggio dell’indipendenza sembra profilarsi con la soluzione austriaca dell’arciduca Carlo, secondogenito dell’imperatore Leopoldo, che nelle convulse manovre che precedono e seguono la dipartita di Carlo II, prospetta ai napoletani una vera mutazione di stato, con l’ipotesi di un “re proprio”, un “re nazionale” per Napoli, che l’avrebbe finalmente liberata dalla secolare soggezione. Questo disegno va ad incrociarsi con le aspirazioni di alcuni settori della nobiltà, orgogliosi custodi dei privilegi di ceto, che coltivavano il sogno di una res publica aristocratica, del predominio della nobiltà nel governo del Regno, e che prima ancora del precipitare degli eventi (con la morte del sovrano) avevano creato una rete di contatti, attivando forme di coordinamento per la realizzazione di comuni obiettivi, con l’intento finale di concretizzare l’indipendenza del Regno sulla base del principio dell’autodeterminazione. Il cosiddetto “partito aristocratico” prende corpo prima della crisi, formula i suoi progetti di egemonia politico-sociale quando si estingue la dinastia spagnola e ridefinisce progressivamente i suoi obiettivi alla luce dell’evolversi della situazione internazionale, che accelera la trasformazione del “partito patrizio” in “partito asburgico” e alimenta l’ideazione della Principum Neapolitanorum Coniuratio, secondo la calzante espressione di Giambattista Vico. La cosiddetta “congiura di Macchia” e la rivolta che ne scaturisce sono l’espressione di un movimento nato dai progetti di affermazione autonomistica del partito aristocratico e convertitosi in azione di sovvertimento filoasburgica, che nel settembre del 1701 sembra ancora garantire un ampio margine di realizzazione degli obiettivi di cambiamento del regime politico. La congiura offre la possibilità di analizzare l’itinerario pubblico e privato dei personaggi che vi prendono parte, spinti da un intreccio fra gli interessi collettivi del popolo napoletano e gli interessi personali di arricchimento “materiale” e “simbolico” del proprio casato. La vicenda dei Caetani, principi di Caserta, è emblematica di un percorso di vita tortuosa e spericolata, condotta all’insegna dell’arroganza aristocratica, dell’ostentazione dei privilegi di ceto, dell’esaltazione del proprio status di nobiltà feudale. Tratti, questi, che accomunano i protagonisti della congiura napoletana e che Gaetano Francesco Caetani sembra incarnare alla perfezione: durante la preparazione della congiura, il Caetani utilizza il feudo di Caserta, come pure i suoi possedimenti nello Stato Pontificio, per agevolare l’impresa militare degli imperiali, offrendo addirittura un nutrito manipolo di uomini costituito da circa mille combattenti. In cambio, secondo la versione di numerosi cronisti contemporanei alla vicenda, egli chiede all’imperatore – in caso di vittoria degli asburgici – l’assegnazione della contea di Fondi, anticamente appartenuta alla sua famiglia, che occupava una posizione strategica nello Stato della Chiesa ed era contigua ai suoi domini di Sermoneta e Cisterna. L’approfondimento del ruolo del Caetani nella vicenda può offrire ulteriori elementi di analisi per interpretare la delicata transizione sei-settecentesca.

The Kingdom of Naples to the Test of Succession: Aristocracy, the Desire for Autonomy and International Politics at the Beginning of the XVIIIth Century

NOTO, Maria Anna
2016-01-01

Abstract

The War of Spanish Succession encourages the rebirth of the factions that had split the Neapolitan aristocracy during the Franco-Habsburg wars of the sixteenth century and who, in addition to a more or less latent persistence, had recurred in times of crisis as ideological or military support in anti-Spanish position. The dynastic vicissitudes of the early eighteenth century, paradoxically, result an unexpected overturning of traditional fidelity. For the South of Italy, the crisis opened by the succession represents an opportunity to value two centuries of Spanish government and shows the tendencies that had matured in Neapolitan culture and emphasized the inefficiency and the deformity of the Spanish apparatus, the inadequacy of the economic and commercial policy strategies that penalized the Southern Kingdom, and especially the abuses committed by the ministers of a distant ruler. The mirage of independence seems to be the result of the Austrian solution of Archduke Charles, second-born of Emperor Leopold, who offers Neapolitans a true state of mutation with the hypothesis of a "national king" for Naples, who would eventually release the Kingdom from the secular subjection. This design goes with the aspirations of certain sectors of nobility, proud guardians of class privileges, who cultivated the dream of an aristocratic government, of the dominance of nobility in the kingdom, and before the fall of events (with the death of the sovereign) had created a network of contacts for the realization of common goals, with the ultimate aim of concretizing the independence of the Kingdom on the basis of the principle of self-determination: the so-called "aristocratic party" that tried to organize a “Principum Neapolitanorum Coniuratio”, according to the words of Giambattista Vico. The so-called "conspiracy of Macchia" and the revolt that arise are the expression of a movement born of the autonomous affirmation projects of the aristocratic party and converted into a propaganda action that in September 1701 still seems to guarantee a large margin of realization of the goals of changing the political regime. The conspiracy offers the opportunity to analyze the public and private itinerary of the characters that take part in it. The story of Caetani, princes of Caserta, is emblematic of a tortuous and reckless way of life, led by the aristocratic arrogance and the exaltation of its feudal nobility status. During the preparation of the conspiracy, Gaetano Francesco Caetani uses his fief of Caserta, as well as his possessions in the Pontifical State, to facilitate the military enterprise of the imperial army, offering even a large handful of men made up of about a thousand fighters. In return, according to the version of many contemporary chroniclers, he asks the emperor - in case of the victory of the Habsburgs - the assignment of county of Fondi, occupying a strategic position in the State of the Church and was contiguous to his domains of Sermoneta and Cisterna. The deepening of Caetani's role in the story can offer further analysis to interpret the delicate seven-eighteenth-century transition.
2016
9788891728180
Il concetto di “transizione”, nella sua accezione di passaggio, si carica di pregnanza quando viene associato all’aggettivo “europea”, perché il rilievo dell’estensione spaziale restituisce l’enorme portata, la drammaticità, il disorientamento e lo stato di emergenza che caratterizzano la vita interna ed i rapporti fra gli Stati a cavallo tra il Sei e il Settecento, quando il preannunciarsi dell’estinzione degli Asburgo di Spagna prefigura all’Europa l’infrangersi di equilibri secolari, già tanto compromessi dai numerosi recenti conflitti di natura egemonico-espansionistica scatenati soprattutto dalla Francia di Luigi XIV. La riflessione sugli elementi di continuità o di discontinuità, di permanenze o fratture, che prevalgono in questo delicato frangente storico, non può ignorare la complessità e le tortuosità di interpretazione connesse agli eventi scaturiti dalla morte di Carlo II: una politica parallelamente costruita su ufficialità e segretezza, nell’intricato sovrapporsi di scelte militari, di strategie diplomatiche, di rivendicazioni giuridiche. Il principio dinastico, uno degli elementi-cardine dello Stato moderno, diventa materia del contendere in un complicato scenario di rivendicazioni di diritti, che fungono da paravento formale per il dispiegarsi di ambizioni di supremazia. E come ciò accade a livello statale (col tentativo delle diverse potenze di accreditare le proprie ragioni per dilatare il proprio dominio), così accade a livello individuale o corporativo nell’universo delle famiglie aristocratiche, che dietro l’egida della fedeltà dinastica inseguono sogni e progetti di espansione del proprio potere sociale ed economico, sia nella ristretta ottica del casato, sia nella più ampia prospettiva di affermazione cetuale. Un aspetto determinante, nel volgere del secolo, è senz’altro rappresentato dalle posizioni assunte dalle élites dirigenti delle province coinvolte nel processo di disgregazione e ripartizione del bisecolare sistema imperiale spagnolo. Nella crisi provocata dalla morte di Carlo II d’Asburgo, l’Europa si divide in due blocchi orientati alla modifica degli equilibri internazionali o al riequilibrio degli assetti stravolti. Allo stesso modo, a livello locale, il fronte dei ceti dirigenti si spacca, alla disperata ricerca di una soluzione soddisfacente in una situazione di grande incertezza e precarietà: la soddisfazione conseguibile da trasformazioni così radicali può prevedere un rafforzamento delle posizioni del casato nell’ambito della fedeltà prestata al potere centrale, ma al contempo può consentire il perseguimento di un disegno di ingrandimento del ruolo politico dell’aristocrazia. La conservazione del ruolo-chiave che la feudalità aveva ricoperto sotto il dominio spagnolo, basato sulla cessione all’aristocrazia di ampi poteri giurisdizionali per il governo del territorio in cambio di servigi e fedeltà alla corona, rappresenta per i contendenti al trono uno degli elementi sui quali puntare per procacciarsi il consenso delle élites. Per tale ragione, la nuova dinastia borbonica subentrata sul trono di Spagna continuerà a far ricorso al conferimento di quei titoli e quelle onorificenze che avevano alimentato sotto gli Asburgo uno dei canali più solidi di integrazione nobiliare. Il Toson d’Oro, il Grandato, inseguiti dagli aristocratici alla ricerca di ulteriori simboli di differenziazione gerarchica da sfoggiare nell’ampio scenario aristocratico offerto dalla transnazionalità della monarchia spagnola, appaiono ancora delle carte da giocare all’indomani della successione, carte vincenti da utilizzare in un clima minato da ostilità, perplessità ed incertezze. La successione stimola il riemergere delle fazioni che avevano spaccato l’aristocrazia napoletana durante le guerre franco-asburgiche del XVI secolo e che, oltre ad una più o meno latente persistenza, si erano riproposte nei momenti di crisi come sostegno ideologico o militare in funzione antispagnola. Le vicissitudini dinastiche di inizio secolo XVIII determinano, paradossalmente, un inaspettato ribaltamento delle tradizionali fedeltà. Per il Mezzogiorno d’Italia, la crisi aperta dalla successione rappresenta un’occasione per valutare l’operato bisecolare del governo spagnolo e favorisce la diffusione delle tendenze antispagnoliste che erano maturate nella cultura napoletana e che sottolineavano l’inefficienza e la farraginosità degli apparati, l’inadeguatezza delle strategie di politica economica e commerciale che penalizzavano i Regni meridionali, e soprattutto gli abusi perpetrati dai ministri di un sovrano lontano. Il miraggio dell’indipendenza sembra profilarsi con la soluzione austriaca dell’arciduca Carlo, secondogenito dell’imperatore Leopoldo, che nelle convulse manovre che precedono e seguono la dipartita di Carlo II, prospetta ai napoletani una vera mutazione di stato, con l’ipotesi di un “re proprio”, un “re nazionale” per Napoli, che l’avrebbe finalmente liberata dalla secolare soggezione. Questo disegno va ad incrociarsi con le aspirazioni di alcuni settori della nobiltà, orgogliosi custodi dei privilegi di ceto, che coltivavano il sogno di una res publica aristocratica, del predominio della nobiltà nel governo del Regno, e che prima ancora del precipitare degli eventi (con la morte del sovrano) avevano creato una rete di contatti, attivando forme di coordinamento per la realizzazione di comuni obiettivi, con l’intento finale di concretizzare l’indipendenza del Regno sulla base del principio dell’autodeterminazione. Il cosiddetto “partito aristocratico” prende corpo prima della crisi, formula i suoi progetti di egemonia politico-sociale quando si estingue la dinastia spagnola e ridefinisce progressivamente i suoi obiettivi alla luce dell’evolversi della situazione internazionale, che accelera la trasformazione del “partito patrizio” in “partito asburgico” e alimenta l’ideazione della Principum Neapolitanorum Coniuratio, secondo la calzante espressione di Giambattista Vico. La cosiddetta “congiura di Macchia” e la rivolta che ne scaturisce sono l’espressione di un movimento nato dai progetti di affermazione autonomistica del partito aristocratico e convertitosi in azione di sovvertimento filoasburgica, che nel settembre del 1701 sembra ancora garantire un ampio margine di realizzazione degli obiettivi di cambiamento del regime politico. La congiura offre la possibilità di analizzare l’itinerario pubblico e privato dei personaggi che vi prendono parte, spinti da un intreccio fra gli interessi collettivi del popolo napoletano e gli interessi personali di arricchimento “materiale” e “simbolico” del proprio casato. La vicenda dei Caetani, principi di Caserta, è emblematica di un percorso di vita tortuosa e spericolata, condotta all’insegna dell’arroganza aristocratica, dell’ostentazione dei privilegi di ceto, dell’esaltazione del proprio status di nobiltà feudale. Tratti, questi, che accomunano i protagonisti della congiura napoletana e che Gaetano Francesco Caetani sembra incarnare alla perfezione: durante la preparazione della congiura, il Caetani utilizza il feudo di Caserta, come pure i suoi possedimenti nello Stato Pontificio, per agevolare l’impresa militare degli imperiali, offrendo addirittura un nutrito manipolo di uomini costituito da circa mille combattenti. In cambio, secondo la versione di numerosi cronisti contemporanei alla vicenda, egli chiede all’imperatore – in caso di vittoria degli asburgici – l’assegnazione della contea di Fondi, anticamente appartenuta alla sua famiglia, che occupava una posizione strategica nello Stato della Chiesa ed era contigua ai suoi domini di Sermoneta e Cisterna. L’approfondimento del ruolo del Caetani nella vicenda può offrire ulteriori elementi di analisi per interpretare la delicata transizione sei-settecentesca.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11386/4682123
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