Se non si pone il nulla, non si può cogliere la differenza fra qualsiasi cosa e il nulla: «Non porre il nulla significa essere nell’impossibilità di escludere che l’essere sia nulla», osserva Severino. Per parte sua, Heidegger afferma: «Solo nella notte chiara del Niente […] sorge l’originaria apertura dell’ente come tale, per cui esso è ente – e non Niente». La posizione del nulla è dunque essenziale per entrambi i filosofi. Ma essi pongono il nulla in due modi opposti: Heidegger lo pone come possibile, alla radice della finitudine dell’uomo e delle cose, Severino – come Parmenide, e ancor più radicalmente di Parmenide – lo pone come impossibile. Se, per definizione, «il nulla non è», non è in alcun modo possibile pensare che sia. Conseguentemente Severino enfatizza l’infinità laddove Heidgger enfatizza la finitezza, l’eternità laddove Heidegger enfatizza il tempo. E – a differenza di Parmenide – l’eternità di tutte le cose. Se il nulla non è, nessuna cosa può finire nel nulla, che appunto non è, dunque ciascuna cosa è eterna. Ma quale delle due opzioni – porre il nulla come possibile o come impossibile – costituisce più compiutamente quella «vittoria sul nulla» che ciascuna mira a essere? Se si pone il nulla come possibile, l’ombra di tale possibilità, della possibilità dell’annullamento, graverà minacciosa sulle cose, offuscandone la lucentezza, pregiudicando quell’emergere del loro essere completamente diverse dal nulla a cui il porre il nulla mira. Se invece si pone il nulla come impossibile si rischia di disperdere quella componente essenziale della lucentezza delle cose che è la sua intensità. Per essere vissuta con tutta l’intensità che può esserle propria, una determinata mattina dev’essere vissuta come racchiusa nel tempo definito delle sue ore, e come diversa da tutte le altre mattine, come irripetibilmente temporale. E dunque: il nulla come possibile dovrebbe essere posto in un modo tale che l’ombra della minaccia dell’annullamento non offuschi la lucentezza delle cose, e il nulla come impossibile in un modo che la lucentezza che esso stesso conferisce alle cose – liberandole completamente dall’ombra minacciosa dell’annullamento – non si disperda nella scontatezza, fino all’indifferenza. La tesi che intendo avanzare è dunque la seguente: il porre il nulla come possibile e come impossibile, l’idea della temporalità e dell’eternità di tutte le cose, si richiamano vicendevolmente, in un’implicazione in cui ciascuno trova nell’altro l’alleato che gli permette di pervenire a ciò a cui mira, emendando ciò che gli impedisce di pervenirvi. Appunto perché solo richiamando per contrasto l’eternità, la temporalità può illuminare le cose con l’intensità che le è propria senza offuscarle con l’ombra minacciosa dell’annullamento. E solo coesistendo con la temporalità che la richiama, l’eternità può emanare sulle cose la luminosità che le è propria senza che questa possa attenuarsi per carenza di intensità. Tale tesi mi sembra possa giustificarsi sulla base di una caratteristica del sistema inconscio, qualora sia adeguatamente intesa e problematizzata: l’assenza di negazione.

Posizione del nulla e assenza inconscia di negazione

Gabriele Pulli
2019-01-01

Abstract

Se non si pone il nulla, non si può cogliere la differenza fra qualsiasi cosa e il nulla: «Non porre il nulla significa essere nell’impossibilità di escludere che l’essere sia nulla», osserva Severino. Per parte sua, Heidegger afferma: «Solo nella notte chiara del Niente […] sorge l’originaria apertura dell’ente come tale, per cui esso è ente – e non Niente». La posizione del nulla è dunque essenziale per entrambi i filosofi. Ma essi pongono il nulla in due modi opposti: Heidegger lo pone come possibile, alla radice della finitudine dell’uomo e delle cose, Severino – come Parmenide, e ancor più radicalmente di Parmenide – lo pone come impossibile. Se, per definizione, «il nulla non è», non è in alcun modo possibile pensare che sia. Conseguentemente Severino enfatizza l’infinità laddove Heidgger enfatizza la finitezza, l’eternità laddove Heidegger enfatizza il tempo. E – a differenza di Parmenide – l’eternità di tutte le cose. Se il nulla non è, nessuna cosa può finire nel nulla, che appunto non è, dunque ciascuna cosa è eterna. Ma quale delle due opzioni – porre il nulla come possibile o come impossibile – costituisce più compiutamente quella «vittoria sul nulla» che ciascuna mira a essere? Se si pone il nulla come possibile, l’ombra di tale possibilità, della possibilità dell’annullamento, graverà minacciosa sulle cose, offuscandone la lucentezza, pregiudicando quell’emergere del loro essere completamente diverse dal nulla a cui il porre il nulla mira. Se invece si pone il nulla come impossibile si rischia di disperdere quella componente essenziale della lucentezza delle cose che è la sua intensità. Per essere vissuta con tutta l’intensità che può esserle propria, una determinata mattina dev’essere vissuta come racchiusa nel tempo definito delle sue ore, e come diversa da tutte le altre mattine, come irripetibilmente temporale. E dunque: il nulla come possibile dovrebbe essere posto in un modo tale che l’ombra della minaccia dell’annullamento non offuschi la lucentezza delle cose, e il nulla come impossibile in un modo che la lucentezza che esso stesso conferisce alle cose – liberandole completamente dall’ombra minacciosa dell’annullamento – non si disperda nella scontatezza, fino all’indifferenza. La tesi che intendo avanzare è dunque la seguente: il porre il nulla come possibile e come impossibile, l’idea della temporalità e dell’eternità di tutte le cose, si richiamano vicendevolmente, in un’implicazione in cui ciascuno trova nell’altro l’alleato che gli permette di pervenire a ciò a cui mira, emendando ciò che gli impedisce di pervenirvi. Appunto perché solo richiamando per contrasto l’eternità, la temporalità può illuminare le cose con l’intensità che le è propria senza offuscarle con l’ombra minacciosa dell’annullamento. E solo coesistendo con la temporalità che la richiama, l’eternità può emanare sulle cose la luminosità che le è propria senza che questa possa attenuarsi per carenza di intensità. Tale tesi mi sembra possa giustificarsi sulla base di una caratteristica del sistema inconscio, qualora sia adeguatamente intesa e problematizzata: l’assenza di negazione.
2019
9788869381577
File in questo prodotto:
Non ci sono file associati a questo prodotto.

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11386/4733900
 Attenzione

Attenzione! I dati visualizzati non sono stati sottoposti a validazione da parte dell'ateneo

Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact