A. G. PARISI Commento agli artt. 85- 90 del d. lgs. 30 giugno 2003, n. 196I – Abstract La privacy è già comparsa - in nuce - in Europa, nella metafora utilizzata nel 1766 da Lord Chatham, che, nel suo vee¬mente discorso sulle garanzie personali pronunciato nel Parlamen¬to Inglese, affermava che every man’s home is his castle. Altro è, però, riconoscere il diritto della persona alla riserva¬tezza, altro delinearne la fattispecie meritevole di tutela giuridica. Nella prospettiva tradizionale, che si rifà al Warren and Bran¬deis paper, il diritto alla privacy emerge come diritto soggettivo fondato su un paradigma proprietario, poiché si sostanzia nel dirit¬to di escludere gli altri dalle proprie vicende private. Per quanto riguarda invece gli ordinamenti europei, la Diret¬tiva Comunitaria 95/46/CE all’art. 23 si limita a stabilire che il soggetto che subisce un danno a causa del trattamento illecito dei suoi dati personali o a causa di un atto incompatibile con le di¬sposizioni nazionali di attuazione della Direttiva stessa ha diritto al risarcimento del danno da parte del titolare del trattamento dei dati personali. Il titolare del trattamento, però, può essere esonerato dal risar¬cimento del danno se prova che il danno non è a lui imputabile. Per sua parte il legislatore italiano ha recepito la direttiva euro¬pea in modo singolare, andando oltre la direttiva stessa: infatti ha stabilito l’applicabilità dell’articolo 2050 c.c. al titolare del tratta¬mento dei dati, che viene, così, equiparato al soggetto che esercita un’attività pericolosa. Il legislatore italiano ha altresì stabilito che colui che è stato danneggiato dal trattamento illecito dei suoi dati personali, in base all’articolo 2059 del c.c. può richiedere il risarcimento dei danni morali da tale trattamento derivati. Per la dottrina italiana il riferimento del legislatore alle attività pericolose è corretto e coerente, dato che il titolare del trattamento illecito può provare la propria non imputabilità, dimostrando di aver adottato tutte le misure idonee per evitare il danno. Esaminando più attentamente la disciplina italiana della priva¬cy, con particolare riferimento al trattamento dei dati sensibili e, in particolare, dei dati sanitari, rileva che con l’entrata in vigore del Testo Unico in materia di protezione dei dati personali risulta parzialmente variata anche la disciplina del trattamento dei ‘dati idonei a rivelare lo stato di salute’. Fino agli Anni Settanta non era emersa la necessità di una tutela normativa dei dati sanitari. La cura della salute era incentrata sul rapporto fiduciario tra paziente e medico curante e, al massimo, tra il soggetto e un numero ristretto di professionisti: il che limitava molto anche la circolazione dei dati personali. Col diffondersi delle nuove tecnologie la medicina e il sistema sanitario si trasformano e si trovano a gestire un’enorme quantità di informazioni mediche, scientifiche ed amministrative, che viene immagazzinata in banche dati condivise a livello locale, nazionale ed internazionale, contenitori certo di minore ingombro rispetto agli antichi archivi cartacei, e, in più, accessibili anche a distanza. Oggi sistemi informatici altamente sofisticati riescono a ge¬stire l’intera struttura sanitaria, e a garantire il funzionamento di osservatori epidemiologici per la prevenzione delle malattie. Sono già realtà strumenti come il Patient Record e la Health Card, la cui diffusione, oltre a migliorare le prestazioni sanitarie, favorisce l’ottimizzazione dei costi. Questa circolazione di dati è anche essenziale per la divulga¬zione di standard curativi e di protocolli di sperimentazione e ri¬cerca, oggi gestiti e condivisi in forma sempre più estesa. In quest’ottica, il trattamento dei dati sanitari si configura come un diritto/dovere del singolo componente di una società evoluta, che è tenuto a rendere disponibili le informazioni concernenti il proprio stato di salute, al fine di favorire il progresso scientifico e di accrescere la sicurezza della collettività, e, nello stesso tempo, per usufruire di prestazioni mediche più aggiornate. Viene quindi ad essere legittimata più che mai ogni iniziativa normativa che promuova la raccolta, l’elaborazione e la conserva¬zione dei dati in discorso a difesa della salute del singolo e della collettività, poiché diversamente non potrebbe svolgersi un’efficace e tempestiva attività preventiva e diagnostica. Una adeguata gestione delle banche dati e la loro condivisione è indispensabile, in ambito sanitario, per permettere il raggiungi¬mento di ogni obiettivo scientifico. Tra l’altro, già la Raccomandazione n. 5 del 13 febbraio 1997 del Comitato dei Ministri della Comunità europea ha affermato che il progresso della medicina dipende in gran parte dalla dispo-nibilità dei dati sanitari degli individui. Su questa tesi si fonda l’individuazione di un profilo giuspub¬blicistico della disciplina del trattamento dei dati, e il riconosci¬mento di superiori interessi della collettività, la cui tutela sembra giustificare anche le limitazioni del diritto alla privacy dei singoli individui. Sulla problematica del bilanciamento dei due interessi in con¬flitto - il diritto alla privacy del singolo e il dovere di tutelare il diritto alla salute dei terzi e della collettività, è intervenuta anche la Corte Costituzionale, che ha più volte ribadito il valore costitu¬zionale della inviolabilità della persona, sancito dall’art. 13 Cost., nella cui sfera di libertà è compresa anche la libertà di disporre del proprio corpo.
Commento agli artt. 85, 86, 87, 88, 89, 90 del d. lgs. 30 giugno 2003, n. 196
PARISI, Annamaria Giulia
2004-01-01
Abstract
A. G. PARISI Commento agli artt. 85- 90 del d. lgs. 30 giugno 2003, n. 196I – Abstract La privacy è già comparsa - in nuce - in Europa, nella metafora utilizzata nel 1766 da Lord Chatham, che, nel suo vee¬mente discorso sulle garanzie personali pronunciato nel Parlamen¬to Inglese, affermava che every man’s home is his castle. Altro è, però, riconoscere il diritto della persona alla riserva¬tezza, altro delinearne la fattispecie meritevole di tutela giuridica. Nella prospettiva tradizionale, che si rifà al Warren and Bran¬deis paper, il diritto alla privacy emerge come diritto soggettivo fondato su un paradigma proprietario, poiché si sostanzia nel dirit¬to di escludere gli altri dalle proprie vicende private. Per quanto riguarda invece gli ordinamenti europei, la Diret¬tiva Comunitaria 95/46/CE all’art. 23 si limita a stabilire che il soggetto che subisce un danno a causa del trattamento illecito dei suoi dati personali o a causa di un atto incompatibile con le di¬sposizioni nazionali di attuazione della Direttiva stessa ha diritto al risarcimento del danno da parte del titolare del trattamento dei dati personali. Il titolare del trattamento, però, può essere esonerato dal risar¬cimento del danno se prova che il danno non è a lui imputabile. Per sua parte il legislatore italiano ha recepito la direttiva euro¬pea in modo singolare, andando oltre la direttiva stessa: infatti ha stabilito l’applicabilità dell’articolo 2050 c.c. al titolare del tratta¬mento dei dati, che viene, così, equiparato al soggetto che esercita un’attività pericolosa. Il legislatore italiano ha altresì stabilito che colui che è stato danneggiato dal trattamento illecito dei suoi dati personali, in base all’articolo 2059 del c.c. può richiedere il risarcimento dei danni morali da tale trattamento derivati. Per la dottrina italiana il riferimento del legislatore alle attività pericolose è corretto e coerente, dato che il titolare del trattamento illecito può provare la propria non imputabilità, dimostrando di aver adottato tutte le misure idonee per evitare il danno. Esaminando più attentamente la disciplina italiana della priva¬cy, con particolare riferimento al trattamento dei dati sensibili e, in particolare, dei dati sanitari, rileva che con l’entrata in vigore del Testo Unico in materia di protezione dei dati personali risulta parzialmente variata anche la disciplina del trattamento dei ‘dati idonei a rivelare lo stato di salute’. Fino agli Anni Settanta non era emersa la necessità di una tutela normativa dei dati sanitari. La cura della salute era incentrata sul rapporto fiduciario tra paziente e medico curante e, al massimo, tra il soggetto e un numero ristretto di professionisti: il che limitava molto anche la circolazione dei dati personali. Col diffondersi delle nuove tecnologie la medicina e il sistema sanitario si trasformano e si trovano a gestire un’enorme quantità di informazioni mediche, scientifiche ed amministrative, che viene immagazzinata in banche dati condivise a livello locale, nazionale ed internazionale, contenitori certo di minore ingombro rispetto agli antichi archivi cartacei, e, in più, accessibili anche a distanza. Oggi sistemi informatici altamente sofisticati riescono a ge¬stire l’intera struttura sanitaria, e a garantire il funzionamento di osservatori epidemiologici per la prevenzione delle malattie. Sono già realtà strumenti come il Patient Record e la Health Card, la cui diffusione, oltre a migliorare le prestazioni sanitarie, favorisce l’ottimizzazione dei costi. Questa circolazione di dati è anche essenziale per la divulga¬zione di standard curativi e di protocolli di sperimentazione e ri¬cerca, oggi gestiti e condivisi in forma sempre più estesa. In quest’ottica, il trattamento dei dati sanitari si configura come un diritto/dovere del singolo componente di una società evoluta, che è tenuto a rendere disponibili le informazioni concernenti il proprio stato di salute, al fine di favorire il progresso scientifico e di accrescere la sicurezza della collettività, e, nello stesso tempo, per usufruire di prestazioni mediche più aggiornate. Viene quindi ad essere legittimata più che mai ogni iniziativa normativa che promuova la raccolta, l’elaborazione e la conserva¬zione dei dati in discorso a difesa della salute del singolo e della collettività, poiché diversamente non potrebbe svolgersi un’efficace e tempestiva attività preventiva e diagnostica. Una adeguata gestione delle banche dati e la loro condivisione è indispensabile, in ambito sanitario, per permettere il raggiungi¬mento di ogni obiettivo scientifico. Tra l’altro, già la Raccomandazione n. 5 del 13 febbraio 1997 del Comitato dei Ministri della Comunità europea ha affermato che il progresso della medicina dipende in gran parte dalla dispo-nibilità dei dati sanitari degli individui. Su questa tesi si fonda l’individuazione di un profilo giuspub¬blicistico della disciplina del trattamento dei dati, e il riconosci¬mento di superiori interessi della collettività, la cui tutela sembra giustificare anche le limitazioni del diritto alla privacy dei singoli individui. Sulla problematica del bilanciamento dei due interessi in con¬flitto - il diritto alla privacy del singolo e il dovere di tutelare il diritto alla salute dei terzi e della collettività, è intervenuta anche la Corte Costituzionale, che ha più volte ribadito il valore costitu¬zionale della inviolabilità della persona, sancito dall’art. 13 Cost., nella cui sfera di libertà è compresa anche la libertà di disporre del proprio corpo.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.