Il saggio analizza il ruolo della contrattazione collettiva nel trasferimento di ramo d’azienda ed in particolare nella cessione parziale dell’azienda alla luce delle novità introdotte dal d.lgs. 276/2003. Nel rinnovato scenario normativo delineatosi dopo le ultime modifiche dell’art. 2112 c.c. (per effetto dell’art. 32 del d.lgs. 276/2003) è ragionevole ritenere che un ruolo importamene verrà rivestito dalla contrattazione collettiva, proprio in occasione di una cessione di ramo d’azienda. I margini di libertà più ampi, che indubbiamente ha inteso riconoscere il legislatore del 2003, non sono immuni da insidie ed è plausibile che i datori di lavoro avranno un concreto interesse a ricercare un’intesa con le organizzazioni sindacali anche al fine di “blindare” l’operazione di cessione da eventuali contestazioni da parte di lavoratori coinvolti. Prima peraltro di interrogarsi sui possibili contenuti di tali accordi e soprattutto sul tipo di efficacia che ad essi è riconoscibile, è opportuno sinteticamente ricostruire i tratti essenziali della disciplina sul trasferimento parziale d’azienda, alla luce delle indicate modifiche. La disposizione prevede che la regola della continuità si applichi «altresì al trasferimento di parte dell'azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento» (art. 2112, co. 5°, 2^ parte, c.c.). La disposizione, sintetizzando il “cuore” della modifica, ha abolito il requisito della preesistenza riferito al ramo, consentendo di cedere una porzione di azienda che presenti i requisiti di autonomia anche solo al momento del passaggio da cedente a cessionario. In prima approssimazione possiamo osservare che la norma, nonostante la modifica, continua a prescrivere che l’attività economica organizzata sia dotata di autonomia funzionale, richiedendo che il ramo che si cede debba avere la capacità organizzativa e produttiva di funzionare in modo autonomo; in altri termini, il ramo deve ancora oggi presentarsi, per riprendere la definizione della S.C., “come una sorte di piccola azienda in grado di funzionare in modo autonomo e che non deve rappresentare, al contrario, il prodotto dello smembramento di frazioni non autosufficienti e non coordinate tra loro”. Con la modifica apportata dall’art. 32 del dlg 276/2003 non v’è dubbio che il legislatore ha offerto più ampi margini al potere organizzativo di cedente e cessionario verso la sperimentazioni di nuove soluzioni, consentendo loro di predisporre un ramo d’azienda anche nel caso in cui l’attività che ne è l’oggetto non si presenta come autonoma presso il cedente: tuttavia, al momento della cessione, tale autonomia funzionale deve oggettivamente sussistere. Per cui, è anche vero che il trasferimento può concernere attività eterogenee che prima del trasferimento non presentavano alcun nesso (es. pulizia, smistamento posta, gestione e manutenzione fotocopiatrici): possono diventarlo al momento della cessione, purchè cedente e cessionario, non si limitino soggettivamente a considerarlo come ramo autonomo, ma lo predispongano per renderlo autonomo se non lo è. Il nuovo 5° co. dell’art. 2112 c.c. comporta che l’autonomia possa esservi anche solo al momento della cessione: se non c’era nell’organizzazione preesistente, cedente e cessionario devono adottare atti concreti per rendere il ramo autonomo. Le modifiche ex art. 32 del d.lgs. 276/2003 non hanno quindi inciso sull’inderogabilità dell’art. 2112 c.c., rimanendo fondamentale che la libertà delle parti sia conforme alla fattispecie legale: l’attività riorganizzatrice di cedente e cessionario passerà il vaglio di legittimità solo se il risultato che ne scaturisce corrisponde all’ipotesi prevista dalla norma; l’oggetto della cessione d’azienda rimane quello tipizzato dall’ordinamento e le parti contrattuali non possono che agire entro questi ambiti (BAVARO, 2004, 185). Eliminato il requisito della preesistenza, non potrà più essere controllata l’operazione estendendo la valutazione all’organizzazione produttiva del cedente; peraltro, e qui è richiesto particolare rigore da parte dell’interprete, l’identificazione di un ramo potrà avvenire anche con un apporto organizzativo proveniente dal cessionario: il quale dovrà essere in possesso, se le professionalità necessarie a rendere autonomo il ramo non derivino dal cedente, delle figure lavorative indispensabili per lo svolgimento, funzionalmente autonomo, delle attività oggetto della cessione; nell’esempio proposto, non basterà riscontrare che presso il cessionario siano presenti strutture che si occupano di controllo di gestione e di amministrazione del personale, ma occorrerà verificare che quantitativamente e qualitativamente sussistano le figure per offrire il contributo professionale necessario all’attività oggetto del ramo ceduto. E’ indubbio che in tal modo la verifica della sussistenza dell’autonomia funzionale diviene alquanto complessa, peraltro quella prospettata appare l’unica interpretazione aderente al tenore della disposizione come modificata e comunque rispettosa dell’esigenza di sottrarre al potere contrattuale delle parti la disponibilità della nozione legale: l’aver collocato, nel nuovo co. 5 dell’art. 2112 c.c., il dato temporale decisivo nella fase di passaggio del ramo d’azienda (“al momento del suo trasferimento”) e l’aver riconosciuto ad ognuno dei contraenti la facoltà di contribuire all’individuazione del ramo da cedere (“identificata come tale da cedente e cessionario”), comporta che entrambi, all’atto del trasferimento, possono concorrere alla predisposizione di un ramo funzionalmente autonomo: purché, si ribadisce, l’oggetto della cessione presenti tutti i requisiti tipizzati dall’ordinamento, cioè sia oggettivamente dotato di vita propria (e cioè in grado autonomamente di esercitare un’attività d’impresa) e suscettibile di essere separato, sul piano produttivo e gestionale, sia dall’organizzazione del cedente sia del cessionario. Il persistente requisito dell’organizzazione, presuppone che i lavoratori (ed eventualmente i beni materiali) siano tenuti insieme da un nesso obiettivo e necessario al momento della cessione: pur concentrandosi tutto al momento del passaggio, deve comunque sussistere un reale e genuino collegamento tra lavoratore e ramo ceduto, in termini di coerenza ed omogeneità tra la sua professionalità e l’incarico che è chiamato a rivestire nell’unità produttiva ceduta; da parte sua il lavoratore coinvolto potrà impugnare gli atti gestionali (mobilità interna, trasferimento) che, magari a ridosso della cessione, ne hanno artatamente determinato l’inclusione nel ramo ceduto, dimostrandone, per mancanza del quid di organizzazione rispetto alla sua prestazione di lavoro, l’ingiustificatezza e la strumentalità . Nella identificazione del ramo ceduto alle parti sono riconosciuti significativi margini di manovra ma solo sul fronte del potere organizzativo, da esercitarsi nel rispetto dei vincoli che tuttora la disposizione codicistica mantiene. Questi non possono non incidere anche su un eventuale intervento dell’autonomia collettiva che abbia ad oggetto l’individuazione di un’entità funzionalmente autonoma. Com’è noto il contributo delle parti sociali trova anzitutto occasione di esprimersi all’esito delle procedure di informazione e consultazione previste dall’art. 47 della l. 428/1990; come si anticipava, è verosimile prevedere che sia interesse soprattutto delle imprese ricercare un’intesa in funzione “rafforzativa” dell’operazione di esternalizzazione realizzata, chiedendo al sindacato un riconoscimento esplicito del ramo ceduto in termini di autonomia. L’interesse datoriale di stipulare questo tipo di accordi potrebbe trovare una spinta decisiva nella formulazione dell’art. 2112, co. 5°, c.c., che proprio nell’inciso modificato dal d.lgs. 276/03 (“cedente e cessionario identificano come tale”), attribuisce, ma con espressione sicuramente ambigua, ampia discrezionalità alle parti della cessione, potendo avvalorare interpretazioni secondo cui ai contraenti sarebbe concesso qualificare come ramo d’azienda funzionalmente autonomo un’entità sprovvista di tale autonomia.

CONTRATTO COLLETTIVO E CONTROLLO SINDACALE NEL TRASFERIMENTO D'AZIENDA

LUCIANI, VINCENZO
2006-01-01

Abstract

Il saggio analizza il ruolo della contrattazione collettiva nel trasferimento di ramo d’azienda ed in particolare nella cessione parziale dell’azienda alla luce delle novità introdotte dal d.lgs. 276/2003. Nel rinnovato scenario normativo delineatosi dopo le ultime modifiche dell’art. 2112 c.c. (per effetto dell’art. 32 del d.lgs. 276/2003) è ragionevole ritenere che un ruolo importamene verrà rivestito dalla contrattazione collettiva, proprio in occasione di una cessione di ramo d’azienda. I margini di libertà più ampi, che indubbiamente ha inteso riconoscere il legislatore del 2003, non sono immuni da insidie ed è plausibile che i datori di lavoro avranno un concreto interesse a ricercare un’intesa con le organizzazioni sindacali anche al fine di “blindare” l’operazione di cessione da eventuali contestazioni da parte di lavoratori coinvolti. Prima peraltro di interrogarsi sui possibili contenuti di tali accordi e soprattutto sul tipo di efficacia che ad essi è riconoscibile, è opportuno sinteticamente ricostruire i tratti essenziali della disciplina sul trasferimento parziale d’azienda, alla luce delle indicate modifiche. La disposizione prevede che la regola della continuità si applichi «altresì al trasferimento di parte dell'azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento» (art. 2112, co. 5°, 2^ parte, c.c.). La disposizione, sintetizzando il “cuore” della modifica, ha abolito il requisito della preesistenza riferito al ramo, consentendo di cedere una porzione di azienda che presenti i requisiti di autonomia anche solo al momento del passaggio da cedente a cessionario. In prima approssimazione possiamo osservare che la norma, nonostante la modifica, continua a prescrivere che l’attività economica organizzata sia dotata di autonomia funzionale, richiedendo che il ramo che si cede debba avere la capacità organizzativa e produttiva di funzionare in modo autonomo; in altri termini, il ramo deve ancora oggi presentarsi, per riprendere la definizione della S.C., “come una sorte di piccola azienda in grado di funzionare in modo autonomo e che non deve rappresentare, al contrario, il prodotto dello smembramento di frazioni non autosufficienti e non coordinate tra loro”. Con la modifica apportata dall’art. 32 del dlg 276/2003 non v’è dubbio che il legislatore ha offerto più ampi margini al potere organizzativo di cedente e cessionario verso la sperimentazioni di nuove soluzioni, consentendo loro di predisporre un ramo d’azienda anche nel caso in cui l’attività che ne è l’oggetto non si presenta come autonoma presso il cedente: tuttavia, al momento della cessione, tale autonomia funzionale deve oggettivamente sussistere. Per cui, è anche vero che il trasferimento può concernere attività eterogenee che prima del trasferimento non presentavano alcun nesso (es. pulizia, smistamento posta, gestione e manutenzione fotocopiatrici): possono diventarlo al momento della cessione, purchè cedente e cessionario, non si limitino soggettivamente a considerarlo come ramo autonomo, ma lo predispongano per renderlo autonomo se non lo è. Il nuovo 5° co. dell’art. 2112 c.c. comporta che l’autonomia possa esservi anche solo al momento della cessione: se non c’era nell’organizzazione preesistente, cedente e cessionario devono adottare atti concreti per rendere il ramo autonomo. Le modifiche ex art. 32 del d.lgs. 276/2003 non hanno quindi inciso sull’inderogabilità dell’art. 2112 c.c., rimanendo fondamentale che la libertà delle parti sia conforme alla fattispecie legale: l’attività riorganizzatrice di cedente e cessionario passerà il vaglio di legittimità solo se il risultato che ne scaturisce corrisponde all’ipotesi prevista dalla norma; l’oggetto della cessione d’azienda rimane quello tipizzato dall’ordinamento e le parti contrattuali non possono che agire entro questi ambiti (BAVARO, 2004, 185). Eliminato il requisito della preesistenza, non potrà più essere controllata l’operazione estendendo la valutazione all’organizzazione produttiva del cedente; peraltro, e qui è richiesto particolare rigore da parte dell’interprete, l’identificazione di un ramo potrà avvenire anche con un apporto organizzativo proveniente dal cessionario: il quale dovrà essere in possesso, se le professionalità necessarie a rendere autonomo il ramo non derivino dal cedente, delle figure lavorative indispensabili per lo svolgimento, funzionalmente autonomo, delle attività oggetto della cessione; nell’esempio proposto, non basterà riscontrare che presso il cessionario siano presenti strutture che si occupano di controllo di gestione e di amministrazione del personale, ma occorrerà verificare che quantitativamente e qualitativamente sussistano le figure per offrire il contributo professionale necessario all’attività oggetto del ramo ceduto. E’ indubbio che in tal modo la verifica della sussistenza dell’autonomia funzionale diviene alquanto complessa, peraltro quella prospettata appare l’unica interpretazione aderente al tenore della disposizione come modificata e comunque rispettosa dell’esigenza di sottrarre al potere contrattuale delle parti la disponibilità della nozione legale: l’aver collocato, nel nuovo co. 5 dell’art. 2112 c.c., il dato temporale decisivo nella fase di passaggio del ramo d’azienda (“al momento del suo trasferimento”) e l’aver riconosciuto ad ognuno dei contraenti la facoltà di contribuire all’individuazione del ramo da cedere (“identificata come tale da cedente e cessionario”), comporta che entrambi, all’atto del trasferimento, possono concorrere alla predisposizione di un ramo funzionalmente autonomo: purché, si ribadisce, l’oggetto della cessione presenti tutti i requisiti tipizzati dall’ordinamento, cioè sia oggettivamente dotato di vita propria (e cioè in grado autonomamente di esercitare un’attività d’impresa) e suscettibile di essere separato, sul piano produttivo e gestionale, sia dall’organizzazione del cedente sia del cessionario. Il persistente requisito dell’organizzazione, presuppone che i lavoratori (ed eventualmente i beni materiali) siano tenuti insieme da un nesso obiettivo e necessario al momento della cessione: pur concentrandosi tutto al momento del passaggio, deve comunque sussistere un reale e genuino collegamento tra lavoratore e ramo ceduto, in termini di coerenza ed omogeneità tra la sua professionalità e l’incarico che è chiamato a rivestire nell’unità produttiva ceduta; da parte sua il lavoratore coinvolto potrà impugnare gli atti gestionali (mobilità interna, trasferimento) che, magari a ridosso della cessione, ne hanno artatamente determinato l’inclusione nel ramo ceduto, dimostrandone, per mancanza del quid di organizzazione rispetto alla sua prestazione di lavoro, l’ingiustificatezza e la strumentalità . Nella identificazione del ramo ceduto alle parti sono riconosciuti significativi margini di manovra ma solo sul fronte del potere organizzativo, da esercitarsi nel rispetto dei vincoli che tuttora la disposizione codicistica mantiene. Questi non possono non incidere anche su un eventuale intervento dell’autonomia collettiva che abbia ad oggetto l’individuazione di un’entità funzionalmente autonoma. Com’è noto il contributo delle parti sociali trova anzitutto occasione di esprimersi all’esito delle procedure di informazione e consultazione previste dall’art. 47 della l. 428/1990; come si anticipava, è verosimile prevedere che sia interesse soprattutto delle imprese ricercare un’intesa in funzione “rafforzativa” dell’operazione di esternalizzazione realizzata, chiedendo al sindacato un riconoscimento esplicito del ramo ceduto in termini di autonomia. L’interesse datoriale di stipulare questo tipo di accordi potrebbe trovare una spinta decisiva nella formulazione dell’art. 2112, co. 5°, c.c., che proprio nell’inciso modificato dal d.lgs. 276/03 (“cedente e cessionario identificano come tale”), attribuisce, ma con espressione sicuramente ambigua, ampia discrezionalità alle parti della cessione, potendo avvalorare interpretazioni secondo cui ai contraenti sarebbe concesso qualificare come ramo d’azienda funzionalmente autonomo un’entità sprovvista di tale autonomia.
2006
8895152026
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