La Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America è il migliore esempio moderno di autorappresentazione politica. È propriamente una drammatizzazione degli eventi storici, una teatralizzazione delle vicende politiche. Ci sono attori precisi che rappresentano forze divergenti e inconciliabili. Da una parte gli insorti, autoproclamatisi rappresentanti del popolo davanti all’Umanità e alla Storia, paladini dell’eguaglianza naturale degli uomini, posta a fondamento primo della loro eguaglianza giuridica. Dall’altra il re, fino a prova (e forza) contraria unico detentore di sovranità legittima, dipinto come un tiranno fedifrago, subdolo e mosso dai più biechi interessi. Il dramma ha una sua trama precisa, con tanto di apogeo di tensione narrativa, e mette in scena una storia precisa. In questo gioco circolare, che dai thirteen United States americani approda alla Mankind per ritornare ai Representatives dei tredici Stati, si consuma per intero la portata retorica della fondazione della democrazia americana. Il popolo americano di cui la Dichiarazione si fa portavoce è allo stesso tempo il popolo americano che essa fonda. Evento storico e fondazione mitopoietica sono in reciprocità d’azione. Detto altrimenti, la Dichiarazione rappresenta la verità, nel doppio ambiguo senso che il verbo conserva in italiano. La verità è che il popolo americano esiste quando gli si conferisce statuto di realtà nominandolo. Dire la verità significa immediatamente porla in essere. È l’idea di profezia autoavverantesi: «Le definizioni pubbliche di una situazione (previsioni e profezie) diventano una parte integrante della situazione e in questo senso influiscono sugli sviluppi successivi. [...] La profezia che si autoadempie è, all'inizio, una definizione falsa della situazione che determina un nuovo comportamento che rende vera quella che originariamente era una concezione falsa».

L’ordine democratico del discorso

VINALE, Adriano
2009-01-01

Abstract

La Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America è il migliore esempio moderno di autorappresentazione politica. È propriamente una drammatizzazione degli eventi storici, una teatralizzazione delle vicende politiche. Ci sono attori precisi che rappresentano forze divergenti e inconciliabili. Da una parte gli insorti, autoproclamatisi rappresentanti del popolo davanti all’Umanità e alla Storia, paladini dell’eguaglianza naturale degli uomini, posta a fondamento primo della loro eguaglianza giuridica. Dall’altra il re, fino a prova (e forza) contraria unico detentore di sovranità legittima, dipinto come un tiranno fedifrago, subdolo e mosso dai più biechi interessi. Il dramma ha una sua trama precisa, con tanto di apogeo di tensione narrativa, e mette in scena una storia precisa. In questo gioco circolare, che dai thirteen United States americani approda alla Mankind per ritornare ai Representatives dei tredici Stati, si consuma per intero la portata retorica della fondazione della democrazia americana. Il popolo americano di cui la Dichiarazione si fa portavoce è allo stesso tempo il popolo americano che essa fonda. Evento storico e fondazione mitopoietica sono in reciprocità d’azione. Detto altrimenti, la Dichiarazione rappresenta la verità, nel doppio ambiguo senso che il verbo conserva in italiano. La verità è che il popolo americano esiste quando gli si conferisce statuto di realtà nominandolo. Dire la verità significa immediatamente porla in essere. È l’idea di profezia autoavverantesi: «Le definizioni pubbliche di una situazione (previsioni e profezie) diventano una parte integrante della situazione e in questo senso influiscono sugli sviluppi successivi. [...] La profezia che si autoadempie è, all'inizio, una definizione falsa della situazione che determina un nuovo comportamento che rende vera quella che originariamente era una concezione falsa».
2009
9788889446522
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11386/2286812
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