La gens Langobardorum affidò per secoli la trasmissione delle leggi e la memoria collettiva alla tradizione orale e il ricordo funebre alla deposizione nelle tombe di particolari elementi di corredo. Le prime manifestazioni letterarie e la nascita di una specifica produzione epigrafica longobarda si ebbero solo negli anni finali del regno; nella Langobardia minor entrambe furono elaborate da uomini di cultura legati alla corte di Arechi II (758-787), quali il vescovo Davide di Benevento e Paolo Diacono. Il contributo analizza i testi della produzione italomeridionale conservatisi materialmente e/o traditi da fonti manoscritte mettendo in evidenza come la scrittura lapidaria, che univa memoria funeraria e celebrazione dinastica, si sia configurata come un fenomeno di élite, riservato alle famiglie aristocratiche, al clero e ai rari notabili. Eleganti elaborazioni che investono sia gli aspetti formali sia quelli contenutistici concorrono a farne una ‘espressione di potere e cultura’, che guarda al passato romano-classico come ad un modello da imitare, ma al contempo introduce delle innovazioni grafiche che rimandano alle contemporanee esperienze della scrittura libraria. Oltre alla perduta produzione di Paolo Diacono per Arechi (iscrizioni di carattere ‘civile’ ed un epitaffio), tra i quali emerge tuttavia il titulus frammentario recuperato negli anni ’80 del XX secolo nell’ambito del palazzo longobardo di Salerno, nell’articolo vengono illustrati gli epitaffi dei principi beneventani Sicone († 832) e Radelchi († 852) - con quelli per la moglie Caretruda e il loro figlio Orso - e di Radelgario († 854), realizzati da un’unica bottega di corte; preziosi esemplari che, pur devastati dai bombardamenti del 1943, si conservano in frammenti ricostruibili grazie a precedenti fotografie e sono entrati nelle collezioni del Museo del Sannio e in quello Diocesano.

Il linguaggio epigrafico longobardo, espressione di potere e cultura

LAMBERT, Chiara Maria
2009-01-01

Abstract

La gens Langobardorum affidò per secoli la trasmissione delle leggi e la memoria collettiva alla tradizione orale e il ricordo funebre alla deposizione nelle tombe di particolari elementi di corredo. Le prime manifestazioni letterarie e la nascita di una specifica produzione epigrafica longobarda si ebbero solo negli anni finali del regno; nella Langobardia minor entrambe furono elaborate da uomini di cultura legati alla corte di Arechi II (758-787), quali il vescovo Davide di Benevento e Paolo Diacono. Il contributo analizza i testi della produzione italomeridionale conservatisi materialmente e/o traditi da fonti manoscritte mettendo in evidenza come la scrittura lapidaria, che univa memoria funeraria e celebrazione dinastica, si sia configurata come un fenomeno di élite, riservato alle famiglie aristocratiche, al clero e ai rari notabili. Eleganti elaborazioni che investono sia gli aspetti formali sia quelli contenutistici concorrono a farne una ‘espressione di potere e cultura’, che guarda al passato romano-classico come ad un modello da imitare, ma al contempo introduce delle innovazioni grafiche che rimandano alle contemporanee esperienze della scrittura libraria. Oltre alla perduta produzione di Paolo Diacono per Arechi (iscrizioni di carattere ‘civile’ ed un epitaffio), tra i quali emerge tuttavia il titulus frammentario recuperato negli anni ’80 del XX secolo nell’ambito del palazzo longobardo di Salerno, nell’articolo vengono illustrati gli epitaffi dei principi beneventani Sicone († 832) e Radelchi († 852) - con quelli per la moglie Caretruda e il loro figlio Orso - e di Radelgario († 854), realizzati da un’unica bottega di corte; preziosi esemplari che, pur devastati dai bombardamenti del 1943, si conservano in frammenti ricostruibili grazie a precedenti fotografie e sono entrati nelle collezioni del Museo del Sannio e in quello Diocesano.
2009
9788890278099
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11386/2296737
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