Lo scambio di lettere fra Rilke e Cvetaeva - è ciò che nella postfazione si è inteso dimostrare - sono un’interrogazione sul senso della poesia e dell’essere poeta, sulla capacità della parola poetica di mostrare la cosa sottraendola all’invadenza dell’io, sulle strategie a cui la parola ricorre per adempiere a tale compito. Nell’essere ciò il carteggio è anche riflessione sul modo in cui la poesia assume a sé un compito di conoscenza e si fa proposta di un modo di pensare il rapporto io-mondo. Se per Rilke questo significa sottoporre l’estetico a un radicale rivolgimento e accedere a un io neutro - un io-nessuno - per il quale sentire è esperire l’altro e la cosa nella loro irremovibile alterità, per Cvetaeva è, invece, esposizione totale dell’io al mondo in un contagio continuo e senza riserve. Una divergenza che diviene convergente lavoro sulla parola per fare di questa una parola essenziale, prosciugata fino al minimo di sé e perciò sempre esposta al rischio del proprio estinguersi. Un rischio di estinzione che mentre per Rilke si gioca ancora all’interno della poesia e riguarda la possibilità di questa di essere sonorità dell’origine, per Cvetaeva è un rischio che proviene dagli orrori e dalle tragedie della storia. Prima di Adorno, Cvetaeva sa che se non vi può essere più poesia – e arte in genere – è per questi orrori e tragedie della storia.
Convergere/Divergere: il dialogo di Rilke e Cvetaeva
DE LUCA, Maria Giuseppina
2010
Abstract
Lo scambio di lettere fra Rilke e Cvetaeva - è ciò che nella postfazione si è inteso dimostrare - sono un’interrogazione sul senso della poesia e dell’essere poeta, sulla capacità della parola poetica di mostrare la cosa sottraendola all’invadenza dell’io, sulle strategie a cui la parola ricorre per adempiere a tale compito. Nell’essere ciò il carteggio è anche riflessione sul modo in cui la poesia assume a sé un compito di conoscenza e si fa proposta di un modo di pensare il rapporto io-mondo. Se per Rilke questo significa sottoporre l’estetico a un radicale rivolgimento e accedere a un io neutro - un io-nessuno - per il quale sentire è esperire l’altro e la cosa nella loro irremovibile alterità, per Cvetaeva è, invece, esposizione totale dell’io al mondo in un contagio continuo e senza riserve. Una divergenza che diviene convergente lavoro sulla parola per fare di questa una parola essenziale, prosciugata fino al minimo di sé e perciò sempre esposta al rischio del proprio estinguersi. Un rischio di estinzione che mentre per Rilke si gioca ancora all’interno della poesia e riguarda la possibilità di questa di essere sonorità dell’origine, per Cvetaeva è un rischio che proviene dagli orrori e dalle tragedie della storia. Prima di Adorno, Cvetaeva sa che se non vi può essere più poesia – e arte in genere – è per questi orrori e tragedie della storia.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.