La "distinzione de le cose" (Conv. III, 13) è per Dante la condizione necessaria dell’apparire degli oggetti finiti al soggetto conoscente creato, capace di coglierli solo e sempre mediante la separazione e il confronto reciproco e attraverso l’analisi della loro composizione naturale. Solo Dio conosce invece tutte le cose "senza distinzione", con uno sguardo eterno, totalizzante e assoluto. Dalla Vita nova alla Commedia, la funzione delle parole – che sono conseguenti alle res, ossia sono originate e assumono significato in riferimento all’organizzazione e differenziazione naturale delle cose corrispondenti – è quella di manifestare la conoscibilità dell’oggetto mediante l’emergere e l’ordinarsi nell’interiorità psicologica delle connotazioni caratterizzanti di tale distinzione. Proprio su questo fondamento della gnoseologia umana si sono venuti costruendo secondo Dante i diversi linguaggi, i diversi ambiti disciplinari, le diverse elaborazioni di verità gestite (sul versante teoretico come su quello pratico) dall’intelligenza umana. Questa concezione fenomenologica del conoscere e della sua comunicabilità mediante il linguaggio è di impostazione platonica: Dante la mutua, probabilmente, dalla sua lettura delle fonti patristiche, di Boezio e degli autori monastici dell’alto Medioevo, ma la coniuga felicemente con i princìpi dell’epistemologia aristotelico-averroista. E proprio su questa sintesi fonda teoreticamente la possibilità di assicurare nel contesto conoscitivo più alto per le creature, quello della superiore scienza teologica dei beati, la conciliazione armonica delle posizioni dottrinarie, distinte e spesso apparentemente contraddittorie, che sono proprie, nella vita temporale degli uomini, delle scienze particolari.
"Consequentia rerum": le "parole e la "distinzione delle cose" nel pensiero di Dante
D'ONOFRIO, Giulio
2008-01-01
Abstract
La "distinzione de le cose" (Conv. III, 13) è per Dante la condizione necessaria dell’apparire degli oggetti finiti al soggetto conoscente creato, capace di coglierli solo e sempre mediante la separazione e il confronto reciproco e attraverso l’analisi della loro composizione naturale. Solo Dio conosce invece tutte le cose "senza distinzione", con uno sguardo eterno, totalizzante e assoluto. Dalla Vita nova alla Commedia, la funzione delle parole – che sono conseguenti alle res, ossia sono originate e assumono significato in riferimento all’organizzazione e differenziazione naturale delle cose corrispondenti – è quella di manifestare la conoscibilità dell’oggetto mediante l’emergere e l’ordinarsi nell’interiorità psicologica delle connotazioni caratterizzanti di tale distinzione. Proprio su questo fondamento della gnoseologia umana si sono venuti costruendo secondo Dante i diversi linguaggi, i diversi ambiti disciplinari, le diverse elaborazioni di verità gestite (sul versante teoretico come su quello pratico) dall’intelligenza umana. Questa concezione fenomenologica del conoscere e della sua comunicabilità mediante il linguaggio è di impostazione platonica: Dante la mutua, probabilmente, dalla sua lettura delle fonti patristiche, di Boezio e degli autori monastici dell’alto Medioevo, ma la coniuga felicemente con i princìpi dell’epistemologia aristotelico-averroista. E proprio su questa sintesi fonda teoreticamente la possibilità di assicurare nel contesto conoscitivo più alto per le creature, quello della superiore scienza teologica dei beati, la conciliazione armonica delle posizioni dottrinarie, distinte e spesso apparentemente contraddittorie, che sono proprie, nella vita temporale degli uomini, delle scienze particolari.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.