Da alcuni decenni a questa parte viene fornito un apprendimento che se, da un lato, privilegia essenzialmente - fino, in pratica ad esaurirsi in essa - l’erogazione di nozioni e di abilità operative di carattere tecnico, dall’altro lato, impone che ciò che è stato oggetto di questo tipo di apprendimento venga registrato, non per consentire a chi lo immagazzina di «creare qualcosa di nuovo» ma per adattare i propri atteggiamenti ed i propri comportamenti ad esso, per «avere conoscenza a guisa di possesso», sperando di poterla spendere sul mercato. Quanto le giovani generazioni e gli adulti che “beneficiano” dell’opportunità della cosiddetta formazione continua, «ricevono corrisponde alla quantità di cui avranno bisogno per compiere [più o meno] adeguatamente il loro lavoro». Per le prime, poi, oramai «le scuole sono le fabbriche in cui vengono prodotti questi pacchi-conoscenza per tutti, nonostante che queste proclamino, di norma, che il loro scopo è di mettere gli allievi in contatto con le massime conquiste della vita umana». Avere conoscenza è qualcosa di molto diverso dal conoscere. Il conoscere non si esaurisce nell’acquisizione di requisiti tecnici utili per poter andare alla ricerca di un’occupazione nella società della “conoscenza” della “informazione”, della “comunicazione”, dei “saperi”, ma consiste nella possibilità di disporre di una chance per «penetrare sotto la superficie allo scopo di giungere alle radici e pertanto alle cause; conoscere significa “vedere” la realtà senza paludamenti» e, quindi, nella possibilità di prendere consapevolezza che gran parte di ciò che viene ritenuto vero e di per sé evidente è spesso illusione, «frutto dell’influenza suggestiva dell’universo sociale in cui si vive».
Sapere per poter fare e sapere per poter essere
CASILLO, Salvatore
2008-01-01
Abstract
Da alcuni decenni a questa parte viene fornito un apprendimento che se, da un lato, privilegia essenzialmente - fino, in pratica ad esaurirsi in essa - l’erogazione di nozioni e di abilità operative di carattere tecnico, dall’altro lato, impone che ciò che è stato oggetto di questo tipo di apprendimento venga registrato, non per consentire a chi lo immagazzina di «creare qualcosa di nuovo» ma per adattare i propri atteggiamenti ed i propri comportamenti ad esso, per «avere conoscenza a guisa di possesso», sperando di poterla spendere sul mercato. Quanto le giovani generazioni e gli adulti che “beneficiano” dell’opportunità della cosiddetta formazione continua, «ricevono corrisponde alla quantità di cui avranno bisogno per compiere [più o meno] adeguatamente il loro lavoro». Per le prime, poi, oramai «le scuole sono le fabbriche in cui vengono prodotti questi pacchi-conoscenza per tutti, nonostante che queste proclamino, di norma, che il loro scopo è di mettere gli allievi in contatto con le massime conquiste della vita umana». Avere conoscenza è qualcosa di molto diverso dal conoscere. Il conoscere non si esaurisce nell’acquisizione di requisiti tecnici utili per poter andare alla ricerca di un’occupazione nella società della “conoscenza” della “informazione”, della “comunicazione”, dei “saperi”, ma consiste nella possibilità di disporre di una chance per «penetrare sotto la superficie allo scopo di giungere alle radici e pertanto alle cause; conoscere significa “vedere” la realtà senza paludamenti» e, quindi, nella possibilità di prendere consapevolezza che gran parte di ciò che viene ritenuto vero e di per sé evidente è spesso illusione, «frutto dell’influenza suggestiva dell’universo sociale in cui si vive».I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.