La falsificazione di merci destinate alla vendita è stata presente, si potrebbe dire, da ‘sempre’ nelle vicende economiche delle società organizzate, raggiungendo, in tempi da noi molto lontani, dimensioni, talvolta, ragguardevoli. È stato, tuttavia, con l’avvento della Rivoluzione industriale che per la falsificazione dei manufatti si sono aperte prospettive di sviluppo su larga scala. In tempi più recenti, la crisi economica occidentale degli anni Settanta, con l’enorme crescita dei prezzi delle materie prime e con un’impetuosa inflazione mondiale, ha fornito l’humus nel quale le falsificazioni dei prodotti manifatturieri, incentrate sull’appropriazione dei marchi aziendali, hanno cominciato ad assumere una dimensione sempre più rilevante, dapprima nell’ambito dei mercati interni di molti Paesi e, successivamente, nel mercato internazionale. Il processo di globalizzazione, le delocalizzazioni o multilocalizzazioni e l’impetuoso sviluppo delle economie asiatiche, con in testa la Cina, hanno fatto sì che la fabbricazione, in qualsiasi parte del mondo, di merci che si impossessano di identità aziendali altrui risulti facilitata da un’ampia disponibilità di accesso a macchine e a tecniche produttive in grado di consentire la loro realizzazione anche nell’area dei manufatti comunemente definiti high-tech. Ancora più elevata, poi, è la facilità con cui è possibile porre in essere iniziative finalizzate al profitto, incentrate sia sull’appropriazione di procedimenti e di prodotti coperti da brevetti sia sulla violazione dei diritti di proprietà intellettuale. Il mare magnum dei giganteschi e molteplici flussi degli scambi internazionali, infine, con la conseguente impossibilità di effettuare su di essi controlli doganali efficaci, offre l’opportunità di spostare da un capo all’altro del globo queste merci e di commercializzarle confondendole con quelle prodotte e vendute regolarmente.
Il falso nel commercio internazionale
CASILLO, Salvatore
2009-01-01
Abstract
La falsificazione di merci destinate alla vendita è stata presente, si potrebbe dire, da ‘sempre’ nelle vicende economiche delle società organizzate, raggiungendo, in tempi da noi molto lontani, dimensioni, talvolta, ragguardevoli. È stato, tuttavia, con l’avvento della Rivoluzione industriale che per la falsificazione dei manufatti si sono aperte prospettive di sviluppo su larga scala. In tempi più recenti, la crisi economica occidentale degli anni Settanta, con l’enorme crescita dei prezzi delle materie prime e con un’impetuosa inflazione mondiale, ha fornito l’humus nel quale le falsificazioni dei prodotti manifatturieri, incentrate sull’appropriazione dei marchi aziendali, hanno cominciato ad assumere una dimensione sempre più rilevante, dapprima nell’ambito dei mercati interni di molti Paesi e, successivamente, nel mercato internazionale. Il processo di globalizzazione, le delocalizzazioni o multilocalizzazioni e l’impetuoso sviluppo delle economie asiatiche, con in testa la Cina, hanno fatto sì che la fabbricazione, in qualsiasi parte del mondo, di merci che si impossessano di identità aziendali altrui risulti facilitata da un’ampia disponibilità di accesso a macchine e a tecniche produttive in grado di consentire la loro realizzazione anche nell’area dei manufatti comunemente definiti high-tech. Ancora più elevata, poi, è la facilità con cui è possibile porre in essere iniziative finalizzate al profitto, incentrate sia sull’appropriazione di procedimenti e di prodotti coperti da brevetti sia sulla violazione dei diritti di proprietà intellettuale. Il mare magnum dei giganteschi e molteplici flussi degli scambi internazionali, infine, con la conseguente impossibilità di effettuare su di essi controlli doganali efficaci, offre l’opportunità di spostare da un capo all’altro del globo queste merci e di commercializzarle confondendole con quelle prodotte e vendute regolarmente.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.