Nel settembre del 2004 la Camera di prima istanza del Tribunale penale internazionale per la ex-Jugoslavia (in seguito «Tribunale») ha assegnato una difesa d’ufficio all’ex presidente serbo Slobodan Milosevic negandogli il diritto, precedentemente riconosciutogli, di difendersi personalmente. La decisione della Camera ha sollevato la problematica del bilanciamento di interessi di pari dignità nel processo penale internazionale, evidenziando come la necessità di assicurare una adeguata tutela ad una serie di principi «generali», quali il rispetto dell’equo processo e delle esigenze di rapidità del procedimento penale, possa costituire un limite importante al godimento incondizionato dei diritti «individuali» degli imputati, come il diritto di provvedere «personalmente» alla propria difesa. Le difficoltà incontrate dal Tribunale e dalla dottrina nell’individuazione di criteri univoci cui potersi ispirare sottolineano lo stato di incertezza che ancora oggi caratterizza la materia e suggeriscono l’utilità di una riflessione sul regime del diritto di autodifesa nel processo penale internazionale e sugli ostacoli che possono frapporsi all’effettivo godimento delle garanzie processuali degli imputati. A tale fine, il saggio muove dall’esame del caso Milosevic e ripercorre le evoluzioni più incisive della prassi e della giurisprudenza, interna ed internazionale. Chiamato a salvaguardare la buona amministrazione della giustizia, il giudice deve assicurare che il processo si svolga in modo equo ed in tempi ragionevoli, preservando l’eguaglianza delle parti e, in generale, il pieno rispetto dei diritti dell’accusato. A tal fine, nel caso in cui ritenga necessario limitare il diritto individuale di autodifesa, è essenziale che vigili affinché il ruolo dei difensori assegnati d’ufficio si limiti a quello di una «assistenza» fornita all’imputato che deve restare, invece, il dominus della presentazione della propria difesa. Rispetto a quella dei difensori scelti dall’imputato, la posizione dei difensori ex officio risulta, quindi, assai più condizionata. Designati dal giudice per tutelare l’interesse della giustizia essi hanno, oltre ad un obbligo vis-à-vis rispetto all’accusato, anche un obbligo vis-à-vis nei confronti dello stesso Tribunale che ne ha deciso la nomina. L’esigenza di proporzionare l’interesse della giustizia con le garanzie individuali minime si traduce quindi nel dovere, per i difensori ex officio, di agire nell’interesse dell’accusato e secondo le sue indicazioni, compiendo ogni sforzo possibile per tutelarne i diritti anche in assenza di una sua collaborazione fino al punto, talvolta, di non potere rinunciare al proprio incarico.

Il diritto di autodifesa nel processo internazionale: il caso Milosevic

ORIOLO, Anna
2006-01-01

Abstract

Nel settembre del 2004 la Camera di prima istanza del Tribunale penale internazionale per la ex-Jugoslavia (in seguito «Tribunale») ha assegnato una difesa d’ufficio all’ex presidente serbo Slobodan Milosevic negandogli il diritto, precedentemente riconosciutogli, di difendersi personalmente. La decisione della Camera ha sollevato la problematica del bilanciamento di interessi di pari dignità nel processo penale internazionale, evidenziando come la necessità di assicurare una adeguata tutela ad una serie di principi «generali», quali il rispetto dell’equo processo e delle esigenze di rapidità del procedimento penale, possa costituire un limite importante al godimento incondizionato dei diritti «individuali» degli imputati, come il diritto di provvedere «personalmente» alla propria difesa. Le difficoltà incontrate dal Tribunale e dalla dottrina nell’individuazione di criteri univoci cui potersi ispirare sottolineano lo stato di incertezza che ancora oggi caratterizza la materia e suggeriscono l’utilità di una riflessione sul regime del diritto di autodifesa nel processo penale internazionale e sugli ostacoli che possono frapporsi all’effettivo godimento delle garanzie processuali degli imputati. A tale fine, il saggio muove dall’esame del caso Milosevic e ripercorre le evoluzioni più incisive della prassi e della giurisprudenza, interna ed internazionale. Chiamato a salvaguardare la buona amministrazione della giustizia, il giudice deve assicurare che il processo si svolga in modo equo ed in tempi ragionevoli, preservando l’eguaglianza delle parti e, in generale, il pieno rispetto dei diritti dell’accusato. A tal fine, nel caso in cui ritenga necessario limitare il diritto individuale di autodifesa, è essenziale che vigili affinché il ruolo dei difensori assegnati d’ufficio si limiti a quello di una «assistenza» fornita all’imputato che deve restare, invece, il dominus della presentazione della propria difesa. Rispetto a quella dei difensori scelti dall’imputato, la posizione dei difensori ex officio risulta, quindi, assai più condizionata. Designati dal giudice per tutelare l’interesse della giustizia essi hanno, oltre ad un obbligo vis-à-vis rispetto all’accusato, anche un obbligo vis-à-vis nei confronti dello stesso Tribunale che ne ha deciso la nomina. L’esigenza di proporzionare l’interesse della giustizia con le garanzie individuali minime si traduce quindi nel dovere, per i difensori ex officio, di agire nell’interesse dell’accusato e secondo le sue indicazioni, compiendo ogni sforzo possibile per tutelarne i diritti anche in assenza di una sua collaborazione fino al punto, talvolta, di non potere rinunciare al proprio incarico.
2006
8849513208
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