Nel 1995 un gruppo di ricerca dell’Università di Salerno, composto da studenti e giovani studiosi, guidato dall’antropologo Paolo Apolito, tornava in Irpinia, in provincia di Avellino, in uno dei luoghi topici del Carnevale campano. Vent’anni prima infatti, nel 1975, Annabella Rossi, allieva di Ernesto de Martino, aveva condotto, con Roberto de Simone e con la collaborazione dello stesso Apolito, una ricerca sui riti carnevaleschi in Campania che aveva individuato, proprio nel Carnevale di Montemarano, una delle manifestazioni più importanti dal punto di vista demoetnoantropologico. Nel volume Carnevale si chiamava Vincenzo, pubblicato due anni dopo, così veniva descritta la danza tipica, oggi notissima, del rito carnevalesco: la «Montemaranese»: «Questa danza è una delle tradizioni più interessanti della Campania in quanto la sua connessione con il Carnevale ha fato conservare uno degli aspetti più sconosciuti della coreutica: quello del ballo processionale. Anticamente, questa forma di danza corale era molto diffusa ed impiegata sacralmente per accompagnare le divinità in processione (…). A Montemarano, come si diceva, l’aspetto coreutico della processione si è conservato proprio perché il Carnevale, come rito, non è mai stato assorbito dalla Chiesa. Purtuttavia, bisogna aggiungere che la tarantella di Montemarano si presenta durante il Carnevale anche come ballo corale in uno spazio delimitato (cortili, sale da ballo, ecc.). In questa forma, benché differisca dalle altre tarantelle per il ritmo musicale e per lo stile di ballo, essa appare legata già ad una tradizione più comune». Una tradizione non per questo meno complessa e longeva, trasformatasi ma viva ancora oggi, a distanza di 37 anni dalle ricerche di Annabella Rossi. Recentemente, in occasione di un seminario universitario promosso dalla Cattedra di Antropologia culturale del Corso di Studio in Filosofia, afferente al Dipartimento di Scienze del Patrimonio culturale dell’Università di Salerno, è stato deciso di rimontare in digitale le immagini analogiche girate a Montemarano nel ’95 per trasformare la semplice memoria delle iniziative di quegli anni in ricordo culturale di una vicenda che ha contribuito a fondare gli studi demoetnoantropologici nell’Ateneo salernitano grazie all’impegno scientifico, didattico e umano di Annabella Rossi e di Paolo Apolito unito alla curiosità di quegli studenti che percorsero le strade dei paesi irpini sulle tracce del Carnevale. Insomma, per dirlo alla maniera di Maurice Halbwachs, questo breve film è anche un rito di costruzione sociale del passato. Questa riproposta di vecchie immagini deve dunque essere vista come una cornice, un quadro di riferimento in cui costruire e conservare la memoria culturale di quel che portò al costituirsi dell’antropologia culturale salernitana. Guardando le immagini e ascoltando il sonoro di quasi quarant’anni fa, ci è sembrato di trovare, in quello che fu l’impegno dei ricercatori sul campo, quegli aspetti dialogici, critici e riflessivi che, da allora, caratterizzano il «metodo scientifico» dell’antropologia culturale contemporanea e salernitana in particolare.

Tracce persistenti. La lunga vita del Carnevale di Montemarano

ESPOSITO, Vincenzo
2013-01-01

Abstract

Nel 1995 un gruppo di ricerca dell’Università di Salerno, composto da studenti e giovani studiosi, guidato dall’antropologo Paolo Apolito, tornava in Irpinia, in provincia di Avellino, in uno dei luoghi topici del Carnevale campano. Vent’anni prima infatti, nel 1975, Annabella Rossi, allieva di Ernesto de Martino, aveva condotto, con Roberto de Simone e con la collaborazione dello stesso Apolito, una ricerca sui riti carnevaleschi in Campania che aveva individuato, proprio nel Carnevale di Montemarano, una delle manifestazioni più importanti dal punto di vista demoetnoantropologico. Nel volume Carnevale si chiamava Vincenzo, pubblicato due anni dopo, così veniva descritta la danza tipica, oggi notissima, del rito carnevalesco: la «Montemaranese»: «Questa danza è una delle tradizioni più interessanti della Campania in quanto la sua connessione con il Carnevale ha fato conservare uno degli aspetti più sconosciuti della coreutica: quello del ballo processionale. Anticamente, questa forma di danza corale era molto diffusa ed impiegata sacralmente per accompagnare le divinità in processione (…). A Montemarano, come si diceva, l’aspetto coreutico della processione si è conservato proprio perché il Carnevale, come rito, non è mai stato assorbito dalla Chiesa. Purtuttavia, bisogna aggiungere che la tarantella di Montemarano si presenta durante il Carnevale anche come ballo corale in uno spazio delimitato (cortili, sale da ballo, ecc.). In questa forma, benché differisca dalle altre tarantelle per il ritmo musicale e per lo stile di ballo, essa appare legata già ad una tradizione più comune». Una tradizione non per questo meno complessa e longeva, trasformatasi ma viva ancora oggi, a distanza di 37 anni dalle ricerche di Annabella Rossi. Recentemente, in occasione di un seminario universitario promosso dalla Cattedra di Antropologia culturale del Corso di Studio in Filosofia, afferente al Dipartimento di Scienze del Patrimonio culturale dell’Università di Salerno, è stato deciso di rimontare in digitale le immagini analogiche girate a Montemarano nel ’95 per trasformare la semplice memoria delle iniziative di quegli anni in ricordo culturale di una vicenda che ha contribuito a fondare gli studi demoetnoantropologici nell’Ateneo salernitano grazie all’impegno scientifico, didattico e umano di Annabella Rossi e di Paolo Apolito unito alla curiosità di quegli studenti che percorsero le strade dei paesi irpini sulle tracce del Carnevale. Insomma, per dirlo alla maniera di Maurice Halbwachs, questo breve film è anche un rito di costruzione sociale del passato. Questa riproposta di vecchie immagini deve dunque essere vista come una cornice, un quadro di riferimento in cui costruire e conservare la memoria culturale di quel che portò al costituirsi dell’antropologia culturale salernitana. Guardando le immagini e ascoltando il sonoro di quasi quarant’anni fa, ci è sembrato di trovare, in quello che fu l’impegno dei ricercatori sul campo, quegli aspetti dialogici, critici e riflessivi che, da allora, caratterizzano il «metodo scientifico» dell’antropologia culturale contemporanea e salernitana in particolare.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11386/3955004
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