L’“eroe navigatore” di Pascoli non intende, com’è noto, cominciare un nuovo viaggio per accrescere ulteriormente le sue conoscenze, come l’Ulisse di Dante e, per alcuni aspetti, di Graf, né affermare la forza della sua indomita volontà, come il protagonista di Tennyson, ma vuole rifare il viaggio di un tempo, rivedere tutti i luoghi delle sue imprese favolose, che gli sembrano un bel sogno, perduto con il risveglio in patria. Tenuto conto di questa impostazione originaria dell’Ultimo viaggio, un’iniziale analisi linguistica rileva la tessitura verbale del poemetto, dalla sovrapposizione di reminiscenze dantesche sulla fonte odisseica ai calchi, moduli e nessi omerici, in cui il poeta dei Conviviali non tanto emula quanto invece riassapora, ripercorre e rimodula l’inimitabile archetipo, ne avverte l’irresistibile attrazione, sente soprattutto una struggente nostalgia di quell’immensa energia poetica capace di attingere il sublime. Un metodo di indagine in grado non solo di penetrare in profondità nella struttura poematica, ma anche di stabilire stimolanti confronti con altri testi pascoliani, illumina l’originalità della scelta di far percorrere a Odisseo le mitiche tappe del suo favoloso viaggio svuotandole del loro senso originario e diseroicizzandole fino a regredire sia nel dissolvimento delle fantasmatiche figure agenti, sia nell’assenza identitaria di colui che le aveva incontrate. Da questa particolare analisi emerge che Pascoli ribadisce l’importanza della poesia come momentanea consolazione del dolore esistenziale, ma anche la sua caducità rispetto al tempo e la sua inadeguatezza dinanzi all’eternità della natura e del cosmo. Ed emerge, inoltre, che, se questa opzione poetica richiedeva un alto tasso metaletterario, una narrazione di secondo grado rispetto all’impianto originario, la rilevante variatio, suggeritagli dalla sua acuta sensibilità moderna, non è affatto peregrina, né trasgressiva, ma perfettamente in linea con la stessa Odissea, che si pone, infatti, allo stesso modo rispetto all’Iliade. Dopo un confronto del celebre episodio delle Sirene, così come interpretato da alcuni autori fondamentali della Modernità letteraria (Eliot, Kafka, Brecht, Starobinski), il metaforico viaggio dell’Odisseo pascoliano, ormai inteso come viaggio verso la Verità-Morte, viene, in fine, letto, non solo secondo una dimensione ciclica e metapoetica, come viaggio verso l’inizio stesso della fonte originaria, il poema-madre, l’Odissea, ma anche in base alla raffinata simbologia antropologica ed esistenziale del poeta.

Eclissi delle favole antiche nell' « Ultimo viaggio » dell' Eroe Navigatore

GIULIO, Rosa
2013-01-01

Abstract

L’“eroe navigatore” di Pascoli non intende, com’è noto, cominciare un nuovo viaggio per accrescere ulteriormente le sue conoscenze, come l’Ulisse di Dante e, per alcuni aspetti, di Graf, né affermare la forza della sua indomita volontà, come il protagonista di Tennyson, ma vuole rifare il viaggio di un tempo, rivedere tutti i luoghi delle sue imprese favolose, che gli sembrano un bel sogno, perduto con il risveglio in patria. Tenuto conto di questa impostazione originaria dell’Ultimo viaggio, un’iniziale analisi linguistica rileva la tessitura verbale del poemetto, dalla sovrapposizione di reminiscenze dantesche sulla fonte odisseica ai calchi, moduli e nessi omerici, in cui il poeta dei Conviviali non tanto emula quanto invece riassapora, ripercorre e rimodula l’inimitabile archetipo, ne avverte l’irresistibile attrazione, sente soprattutto una struggente nostalgia di quell’immensa energia poetica capace di attingere il sublime. Un metodo di indagine in grado non solo di penetrare in profondità nella struttura poematica, ma anche di stabilire stimolanti confronti con altri testi pascoliani, illumina l’originalità della scelta di far percorrere a Odisseo le mitiche tappe del suo favoloso viaggio svuotandole del loro senso originario e diseroicizzandole fino a regredire sia nel dissolvimento delle fantasmatiche figure agenti, sia nell’assenza identitaria di colui che le aveva incontrate. Da questa particolare analisi emerge che Pascoli ribadisce l’importanza della poesia come momentanea consolazione del dolore esistenziale, ma anche la sua caducità rispetto al tempo e la sua inadeguatezza dinanzi all’eternità della natura e del cosmo. Ed emerge, inoltre, che, se questa opzione poetica richiedeva un alto tasso metaletterario, una narrazione di secondo grado rispetto all’impianto originario, la rilevante variatio, suggeritagli dalla sua acuta sensibilità moderna, non è affatto peregrina, né trasgressiva, ma perfettamente in linea con la stessa Odissea, che si pone, infatti, allo stesso modo rispetto all’Iliade. Dopo un confronto del celebre episodio delle Sirene, così come interpretato da alcuni autori fondamentali della Modernità letteraria (Eliot, Kafka, Brecht, Starobinski), il metaforico viaggio dell’Odisseo pascoliano, ormai inteso come viaggio verso la Verità-Morte, viene, in fine, letto, non solo secondo una dimensione ciclica e metapoetica, come viaggio verso l’inizio stesso della fonte originaria, il poema-madre, l’Odissea, ma anche in base alla raffinata simbologia antropologica ed esistenziale del poeta.
2013
978-88-98169-18-4
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