Il dovere proprio del sapiente di provvedere con l’insegnamento all’educazione degli uomini assume nella «Monarchia» un peso specifico del tutto particolare, evidenziato da Dante con il sottolineare tanto la ‘novità’ quanto la comune utilità della missione che egli si incarica di svolgere in quest’opera, come contributo, ormai urgente e indispensabile ma anche concretamente realizzabile, all’instaurarsi della pace definitiva nel mondo civile. Riletto in quest’ottica, il senso più autentico della composizione dell’opera appare essere quello di un definitivo compimento del progetto educativo, conoscitivo ed etico, perseguito del poeta nel corso di tutta la sua vita, con la definitiva valorizzazione dell’ideale cristiano e platonizzante della perfezione naturale dell’uomo come attuazione delle potenzialità latenti in ogni individuo fin dalla nascita. Appare con evidenza, in questa che ne è dunque l’ultima e la più diretta ed efficace esposizione, l’importanza del ruolo assunto dalla dottrina dei due poteri assoluti, civile e spirituale, nel quadro di una complessiva celebrazione dell’opera creatrice di Dio come progettualità universale, cui l’intera complessità delle entità partecipi della storia della creazione è chiamata a compiere nei singoli così come è compiuta negli archetipi eterni. Di massima importanza è dunque l’avere rintracciato nelle più salienti pagine della «Monarchia» la presenza operante della dottrina neoplatonica della composizione triadica dell’universo (ad immagine della manifestazione-operatività trinitaria della natura divina) secondo l’articolazione ontologica di «essentia», «potentia» (o «virtus») e «operatio» (o «perfectio»), ovvero di essenza ideale, potenzialità e atto. Il ripensamento dantesco della teoria della triade onto-teologica neoplatonica è svolto in armonia con una lunga e fitta tradizione di approfondimenti e perfezionamenti di questa dottrina, soprattutto in chiave antropologica, sviluppatasi lungo tutto l’arco del pensiero alto-medievale latino, e in particolare nel Periphyseon di Giovanni Scoto Eriugena, quindi negli scritti di molteplici teologi di area monastica del secolo XII. Inequivocabili precisazioni terminologiche e confronti testuali evidenziano l’applicazione speculativa di questa teoria nella concezione dantesca dell’unità dello Stato perfetto che persegue nelle condizioni particolari della storia degli individui la piena realizzazione dell’idea ‘uomo’, ossia del modello esemplare eterno del genere umano, concepito da Dio nel Verbo, e incarnato nella piena natura (potenziale) dei progenitori prima e (attuale) del Cristo poi.
Esse, virtus, operari. Educazione dell’uomo e perfezione naturale nella Monarchia di Dante
D'ONOFRIO, Giulio
2016
Abstract
Il dovere proprio del sapiente di provvedere con l’insegnamento all’educazione degli uomini assume nella «Monarchia» un peso specifico del tutto particolare, evidenziato da Dante con il sottolineare tanto la ‘novità’ quanto la comune utilità della missione che egli si incarica di svolgere in quest’opera, come contributo, ormai urgente e indispensabile ma anche concretamente realizzabile, all’instaurarsi della pace definitiva nel mondo civile. Riletto in quest’ottica, il senso più autentico della composizione dell’opera appare essere quello di un definitivo compimento del progetto educativo, conoscitivo ed etico, perseguito del poeta nel corso di tutta la sua vita, con la definitiva valorizzazione dell’ideale cristiano e platonizzante della perfezione naturale dell’uomo come attuazione delle potenzialità latenti in ogni individuo fin dalla nascita. Appare con evidenza, in questa che ne è dunque l’ultima e la più diretta ed efficace esposizione, l’importanza del ruolo assunto dalla dottrina dei due poteri assoluti, civile e spirituale, nel quadro di una complessiva celebrazione dell’opera creatrice di Dio come progettualità universale, cui l’intera complessità delle entità partecipi della storia della creazione è chiamata a compiere nei singoli così come è compiuta negli archetipi eterni. Di massima importanza è dunque l’avere rintracciato nelle più salienti pagine della «Monarchia» la presenza operante della dottrina neoplatonica della composizione triadica dell’universo (ad immagine della manifestazione-operatività trinitaria della natura divina) secondo l’articolazione ontologica di «essentia», «potentia» (o «virtus») e «operatio» (o «perfectio»), ovvero di essenza ideale, potenzialità e atto. Il ripensamento dantesco della teoria della triade onto-teologica neoplatonica è svolto in armonia con una lunga e fitta tradizione di approfondimenti e perfezionamenti di questa dottrina, soprattutto in chiave antropologica, sviluppatasi lungo tutto l’arco del pensiero alto-medievale latino, e in particolare nel Periphyseon di Giovanni Scoto Eriugena, quindi negli scritti di molteplici teologi di area monastica del secolo XII. Inequivocabili precisazioni terminologiche e confronti testuali evidenziano l’applicazione speculativa di questa teoria nella concezione dantesca dell’unità dello Stato perfetto che persegue nelle condizioni particolari della storia degli individui la piena realizzazione dell’idea ‘uomo’, ossia del modello esemplare eterno del genere umano, concepito da Dio nel Verbo, e incarnato nella piena natura (potenziale) dei progenitori prima e (attuale) del Cristo poi.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.