La disciplina prevista nelle norme in commento va letta in collegamento con l’art. 2095 c.c. che distingue i prestatori di lavoro subordinato in dirigenti, quadri, impiegati e operai, rimettendo alle leggi speciali la definizione generale di ognuna di tali categorie e la determinazione dei requisiti di rispettiva appartenenza in relazione a ciascun ramo di produzione o alla particolare struttura dell’impresa. Questa classificazione è valida sia per il lavoro prestato nelle imprese di cui all’art. 2195 c.c., sia per il lavoro agricolo. Anche nel campo agricolo la disciplina collettiva costituisce la fonte primaria per la determinazione della qualifica e l’inquadramento dei lavoratori nelle singole categorie. Ma se la figura del dirigente di azienda agricola, distinta da quella del direttore - che è l’impiegato di concetto non investito dei poteri e delle incombenze proprie del dirigente che agisce con autonomia di concezione e poteri di iniziativa e collabora direttamente con l’imprenditore o con il dirigente all’organizzazione generale, tecnica e/o amministrativa dell’azienda - risulta ben delimitata dai contratti collettivi, l’individuazione della figura del fattore appare meno chiara. La disciplina dell’impresa agricola si estende ai contratti agrari che costituiscono un modo di essere dell’impresa stessa, il cui collegamento è ritenuto dalla dottrina connotato qualificante e di rilevanza causale. Quelli agrari, in genere, sono stati definiti come contratti rispetto ai quali l’impresa si pone in collegamento funzionale e ne rappresenta il nucleo essenziale. Posto ciò, la categoria dei contratti agrari si estende non solo ai contratti costitutivi di impresa, ma anche a quelli che attengono all’acquisizione dei fattori della produzione o comunque al funzionamento dell’impresa medesima. La dottrina ha elaborato una classificazione dei contratti agrari, includendovi sia gli atti di organizzazione che gli atti dell’organizzazione, articolata in quattro distinte categorie: 1) negozi agrari di organizzazione che assumono struttura di scambio (affitto, assegnazione di terre, contratto di lavoro con retribuzione totale o per quota (art. 2099), ecc.), o struttura associativa (mezzadria, colonìa parziaria, sòccida); 2) negozi agrari di funzionamento, ossia contratti (di impiego o di mandato) che assumono la funzione di sostituire l’imprenditore nell’esercizio dell’attività economica); 3) negozi agrari di coordinamento che restringono la libertà di concorrenza tra imprese appartenenti alla medesima categoria; 4) rapporti attinenti alla crisi dell’impresa che provocano un controllo gestorio sull’attività economica. Dei contratti agrari classici solamente i prototipi di quelli associativi trovano posto nel Capo II (Dell’impresa agricola) del Titolo II (Del lavoro nell’impresa) del Libro V, mentre le norme del contratto di affitto di fondi rustici sono collocate nel Libro IV, sotto un paragrafo della Sezione III (Dell’affitto) del Capo VI (Della locazione) del Titolo III. Più che alla considerazione del favor del legislatore fascista per i contratti associativi e per la mezzadria in particolare, sembra che la predetta separazione possa attribuirsi da un lato alla esigenza di sottolineare, anche nella ripartizione delle materie, lo stretto collegamento funzionale tra impresa e contratti agrari, e, dall’altro, al timore di smembrare l’unità di un contratto, quale l’affitto, conservandone la disciplina generale nel Libro IV delle obbligazioni e inserendo quella speciale agraria (comprensiva, oltre tutto, anche dell’affitto a conduttore non coltivatore diretto) nel Libro del lavoro. Tuttavia, il collegamento dell’affitto di fondi rustici con l’impresa agricola e, conseguentemente, la sua appartenenza alla categoria dei contratti agrari si rinvengono non solo nell’obbligo di curare la gestione della cosa oggetto dell’affitto in generale in conformità della sua destinazione economica e dell’interesse della produzione (art. 1615), ma anche nell’assoggettamento dell’affitto a coltivatore diretto alla disciplina del contratto collettivo di lavoro (artt. 2078-2080). L’ampia e poliedrica gamma dei rapporti di produzione in agricoltura non si esaurisce nella sola individuazione dei prototipi dei contratti associativi classici, ma comprende anche taluni istituti la cui disciplina ha trovato collocazioni sistematiche in diversi libri del codice. Se l’affitto di fondi rustici è stato inserito nel Libro IV anziché nel Libro V per le ragioni che si sono dette, l’enfiteusi - che pur non potendo normalmente ricomprendersi nella nozione di contratto agrario, e che nel codice civile abrogato del 1865 era disciplinata tra i contratti in ragione della sua fonte negoziale - motivi di ordine sistematico hanno indotto il legislatore del 1942 a darne sistemazione nel Libro III tra i diritti reali, avendo la funzione di costituire a favore dell’enfiteuta un diritto reale di godimento sopra un immobile solitamente con destinazione fondiaria. Un discorso diverso riguarda il problema relativo alla possibile qualificazione in tali termini anche del comodato, in relazione al quale la giurisprudenza ha escluso che possa essere qualificato alla stregua dei contratti agrari - pure quando si tratti di comodato modale avente per oggetto una cosa produttiva - siccome inidoneo, per sua natura essenzialmente precaria, a realizzare la funzione tipica dei contratti agrari, che è quella di consentire, con carattere di stabilità, la costituzione di un’impresa agraria su fondo altrui. Il quadro politico-istituzionale radicalmente modificato all’indomani del codice civile del 1942 con la caduta delle strutture corporative - culminata nel R.D.L. 9 agosto 1943, n. 721, e nel D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 369, - e il ritorno alle libertà individuali e collettive di matrice costituzionale, nonché il ripristino o meglio il recupero di aree consistenti dell’economia di mercato; e la profonda crisi che le forme associative tradizionali in agricoltura hanno subito nell’apprezzamento sociale e successivamente nella valutazione legislativa extra-codicistica hanno portato al superamento dei modelli negoziali in esame e alla loro sostanziale soppressione, rendendo le riflessioni che seguono il più delle volte mere annotazioni di carattere storico, tese non solo a riflettere sulla funzione di quelle norme nel mondo di ieri, ma soprattutto ad individuare il ruolo dell’impresa nei negozi agrari e ricercare, ove possibile, una eventuale residua vitalità od utilità del rapporto associativo. In questa luce si precisa lo spazio riservato ai commenti che seguono, essendo le relative norme (2141-2187), anche se tutt’ora formalmente vigenti, come vetrine di modelli desueti e inutilizzabili.

Articoli 2138-2187 del codice civile

Antonio Vecchione
2018

Abstract

La disciplina prevista nelle norme in commento va letta in collegamento con l’art. 2095 c.c. che distingue i prestatori di lavoro subordinato in dirigenti, quadri, impiegati e operai, rimettendo alle leggi speciali la definizione generale di ognuna di tali categorie e la determinazione dei requisiti di rispettiva appartenenza in relazione a ciascun ramo di produzione o alla particolare struttura dell’impresa. Questa classificazione è valida sia per il lavoro prestato nelle imprese di cui all’art. 2195 c.c., sia per il lavoro agricolo. Anche nel campo agricolo la disciplina collettiva costituisce la fonte primaria per la determinazione della qualifica e l’inquadramento dei lavoratori nelle singole categorie. Ma se la figura del dirigente di azienda agricola, distinta da quella del direttore - che è l’impiegato di concetto non investito dei poteri e delle incombenze proprie del dirigente che agisce con autonomia di concezione e poteri di iniziativa e collabora direttamente con l’imprenditore o con il dirigente all’organizzazione generale, tecnica e/o amministrativa dell’azienda - risulta ben delimitata dai contratti collettivi, l’individuazione della figura del fattore appare meno chiara. La disciplina dell’impresa agricola si estende ai contratti agrari che costituiscono un modo di essere dell’impresa stessa, il cui collegamento è ritenuto dalla dottrina connotato qualificante e di rilevanza causale. Quelli agrari, in genere, sono stati definiti come contratti rispetto ai quali l’impresa si pone in collegamento funzionale e ne rappresenta il nucleo essenziale. Posto ciò, la categoria dei contratti agrari si estende non solo ai contratti costitutivi di impresa, ma anche a quelli che attengono all’acquisizione dei fattori della produzione o comunque al funzionamento dell’impresa medesima. La dottrina ha elaborato una classificazione dei contratti agrari, includendovi sia gli atti di organizzazione che gli atti dell’organizzazione, articolata in quattro distinte categorie: 1) negozi agrari di organizzazione che assumono struttura di scambio (affitto, assegnazione di terre, contratto di lavoro con retribuzione totale o per quota (art. 2099), ecc.), o struttura associativa (mezzadria, colonìa parziaria, sòccida); 2) negozi agrari di funzionamento, ossia contratti (di impiego o di mandato) che assumono la funzione di sostituire l’imprenditore nell’esercizio dell’attività economica); 3) negozi agrari di coordinamento che restringono la libertà di concorrenza tra imprese appartenenti alla medesima categoria; 4) rapporti attinenti alla crisi dell’impresa che provocano un controllo gestorio sull’attività economica. Dei contratti agrari classici solamente i prototipi di quelli associativi trovano posto nel Capo II (Dell’impresa agricola) del Titolo II (Del lavoro nell’impresa) del Libro V, mentre le norme del contratto di affitto di fondi rustici sono collocate nel Libro IV, sotto un paragrafo della Sezione III (Dell’affitto) del Capo VI (Della locazione) del Titolo III. Più che alla considerazione del favor del legislatore fascista per i contratti associativi e per la mezzadria in particolare, sembra che la predetta separazione possa attribuirsi da un lato alla esigenza di sottolineare, anche nella ripartizione delle materie, lo stretto collegamento funzionale tra impresa e contratti agrari, e, dall’altro, al timore di smembrare l’unità di un contratto, quale l’affitto, conservandone la disciplina generale nel Libro IV delle obbligazioni e inserendo quella speciale agraria (comprensiva, oltre tutto, anche dell’affitto a conduttore non coltivatore diretto) nel Libro del lavoro. Tuttavia, il collegamento dell’affitto di fondi rustici con l’impresa agricola e, conseguentemente, la sua appartenenza alla categoria dei contratti agrari si rinvengono non solo nell’obbligo di curare la gestione della cosa oggetto dell’affitto in generale in conformità della sua destinazione economica e dell’interesse della produzione (art. 1615), ma anche nell’assoggettamento dell’affitto a coltivatore diretto alla disciplina del contratto collettivo di lavoro (artt. 2078-2080). L’ampia e poliedrica gamma dei rapporti di produzione in agricoltura non si esaurisce nella sola individuazione dei prototipi dei contratti associativi classici, ma comprende anche taluni istituti la cui disciplina ha trovato collocazioni sistematiche in diversi libri del codice. Se l’affitto di fondi rustici è stato inserito nel Libro IV anziché nel Libro V per le ragioni che si sono dette, l’enfiteusi - che pur non potendo normalmente ricomprendersi nella nozione di contratto agrario, e che nel codice civile abrogato del 1865 era disciplinata tra i contratti in ragione della sua fonte negoziale - motivi di ordine sistematico hanno indotto il legislatore del 1942 a darne sistemazione nel Libro III tra i diritti reali, avendo la funzione di costituire a favore dell’enfiteuta un diritto reale di godimento sopra un immobile solitamente con destinazione fondiaria. Un discorso diverso riguarda il problema relativo alla possibile qualificazione in tali termini anche del comodato, in relazione al quale la giurisprudenza ha escluso che possa essere qualificato alla stregua dei contratti agrari - pure quando si tratti di comodato modale avente per oggetto una cosa produttiva - siccome inidoneo, per sua natura essenzialmente precaria, a realizzare la funzione tipica dei contratti agrari, che è quella di consentire, con carattere di stabilità, la costituzione di un’impresa agraria su fondo altrui. Il quadro politico-istituzionale radicalmente modificato all’indomani del codice civile del 1942 con la caduta delle strutture corporative - culminata nel R.D.L. 9 agosto 1943, n. 721, e nel D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 369, - e il ritorno alle libertà individuali e collettive di matrice costituzionale, nonché il ripristino o meglio il recupero di aree consistenti dell’economia di mercato; e la profonda crisi che le forme associative tradizionali in agricoltura hanno subito nell’apprezzamento sociale e successivamente nella valutazione legislativa extra-codicistica hanno portato al superamento dei modelli negoziali in esame e alla loro sostanziale soppressione, rendendo le riflessioni che seguono il più delle volte mere annotazioni di carattere storico, tese non solo a riflettere sulla funzione di quelle norme nel mondo di ieri, ma soprattutto ad individuare il ruolo dell’impresa nei negozi agrari e ricercare, ove possibile, una eventuale residua vitalità od utilità del rapporto associativo. In questa luce si precisa lo spazio riservato ai commenti che seguono, essendo le relative norme (2141-2187), anche se tutt’ora formalmente vigenti, come vetrine di modelli desueti e inutilizzabili.
2018
9788869952487
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