Negli anni Venti, dopo la disperazione dei primi anni dell’immediato dopoguerra, si può constatare più meno in tutti i paesi europei una sorprendente ripresa economica e, soprattutto, una attività culturale innovativa e molto intensa. Questa riguardò l’industria culturale del cinema e dell’intrattenimento nei cabaret e dei grandi teatri di spettacolari riviste ma toccò anche la cosiddetta cultura alta, la musica, il teatro e, non per ultima, la letteratura. Gli anni tra le due guerre non soltanto videro una produzione cinematografica che riuscì a gareggiare con quella di Hollywood per qualità e per quantità, ma risultano anche la fase del Novecento più florida sul campo letterario. Come se fosse saltato il coperchio da una pentola di acqua bollente, durante gli anni Ven- Prefazione 8 | L’umorismo tra le due guerre Prefazione | 9 ti, tra espressionismo e surrealismo, futurismo e nuova oggettività, le avanguardie dominarono la vita culturale. E anche se non c’era molto da ridere nelle ristrettezze della vita quotidiana, l’accento umoristico giocò in quegli anni un ruolo non marginale: perse le sicurezze dello statico e presunto stabile mondo di ieri, tutto può diventare oggetto di un gioco, di una battuta ironica, di una risata.Per gli stati dell’Asse la rottura storica significa la fine di ben due imperi: in Germania nasce la prima democrazia sul suolo tedesco e l’Austria si trova trasformata da grande stato multietnico con il più vasto territorio d’Europa in un piccolo e insignificante paese. Gli ultimi giorni dell’umanità di Karl Kraus e L’Autodafé di Elias Canetti rispecchiano con il loro estremo umorismo nero la riflessione collettiva su questa catastrofe totale (Nienhaus, Reinhardt). «Qui», come dice Kraus stesso, «l’umorismo è soltanto l’autoaccusa di uno che non è impazzito all’idea di aver superato a mente sana la testimonianza di questi avvenimenti». Molto vicino a Kraus nella denuncia dell’orrore della guerra, Jaroslav Hašek ne Il buon soldato Sc’vèik, sotto la maschera comica del ‘finto tonto’ del protagonista, presenta un’«ironia dissacrante contro la retorica dell’eroismo militare che travolge tutta la decrepita macchina imperiale rappresentando una danza della morte sulle rovine di un mondo» (Rutigliano). Sull’altro versante, anche la letteratura umoristica francese, che ad inizio secolo si era arricchita della riflessione di Bergson, è segnata dall’umorismo nero, dalla risata amara di chi oscilla «tra la consolazione dell’io davanti ai traumi della vita e l’aggressione ai presupposti della società borghese» (Di Benedetto). Oppure risente di quelle forme di umorismo che, come il protagonista Plume di Henri Michaux, rappresentano una comicità molto simile a quella di Josef K. di Kafka, dell’innocente perseguito che ha interiorizzato la sua colpa (Fiorentino). Apparentemente molto più leggera e allegra si presenta la commedia inglese di Noël Coward ma, in verità, anche qui lo «spirito allegro» serve «per esorcizzare la crudeltà, la sofferenza e la morte» (Ingravallo). Nel panorama culturale italiano, dominato dalla figura e dalla riflessione di Pirandello che porta l’umorismo «a una presa di coscienza drammatica» (Palmieri) della nuova condizione esistenziale e ad una indagine approfondita della realtà, dietro lo schermo della maschera, si segnalano diverse esperienze, tutte dominateproprio da questo complesso concetto di umorismo, da Bontempelli la cui comicità è «una modalità di svuotamento dei topoi più consolidati» del crepuscolarismo e rovesciamento del sublime meccanico marinettiano (De Villi), a Savinio che «rifà la scena e preme sulle nostre passioni sottaciute per svelarne le più intime ambizioni» (Daniele), mentre nella scrittura di Palazzeschi emerge chiara la «questione gangliare della separatezza fra a arte e vita» (Dimauro). In un frangente decisivo per lo sviluppo della società e della cultura europea, come scrisse Pirandello, «l’umorismo […] per il suo intimo, specioso, essenziale processo, inevitabilmente scompone, disordina, discorda», contraddicendo un’arte che, fino ad allora, nella tradizione, «era sopra tutto composizione esteriore, accordo logicamente ordinato». Questo volume è risultato di un progetto di ricerca condiviso dal Dipartimento di Studi Umanistici. Lettere – Beni Culturali – Scienze della Formazione dell’Università di Foggia e dal Dipartimento di Lettere Lingue Arti – Italianistica e Culture Comparate dell’Università di Bari Aldo Moro.

L'umorismo tra le due guerre

S. Nienhaus
2017-01-01

Abstract

Negli anni Venti, dopo la disperazione dei primi anni dell’immediato dopoguerra, si può constatare più meno in tutti i paesi europei una sorprendente ripresa economica e, soprattutto, una attività culturale innovativa e molto intensa. Questa riguardò l’industria culturale del cinema e dell’intrattenimento nei cabaret e dei grandi teatri di spettacolari riviste ma toccò anche la cosiddetta cultura alta, la musica, il teatro e, non per ultima, la letteratura. Gli anni tra le due guerre non soltanto videro una produzione cinematografica che riuscì a gareggiare con quella di Hollywood per qualità e per quantità, ma risultano anche la fase del Novecento più florida sul campo letterario. Come se fosse saltato il coperchio da una pentola di acqua bollente, durante gli anni Ven- Prefazione 8 | L’umorismo tra le due guerre Prefazione | 9 ti, tra espressionismo e surrealismo, futurismo e nuova oggettività, le avanguardie dominarono la vita culturale. E anche se non c’era molto da ridere nelle ristrettezze della vita quotidiana, l’accento umoristico giocò in quegli anni un ruolo non marginale: perse le sicurezze dello statico e presunto stabile mondo di ieri, tutto può diventare oggetto di un gioco, di una battuta ironica, di una risata.Per gli stati dell’Asse la rottura storica significa la fine di ben due imperi: in Germania nasce la prima democrazia sul suolo tedesco e l’Austria si trova trasformata da grande stato multietnico con il più vasto territorio d’Europa in un piccolo e insignificante paese. Gli ultimi giorni dell’umanità di Karl Kraus e L’Autodafé di Elias Canetti rispecchiano con il loro estremo umorismo nero la riflessione collettiva su questa catastrofe totale (Nienhaus, Reinhardt). «Qui», come dice Kraus stesso, «l’umorismo è soltanto l’autoaccusa di uno che non è impazzito all’idea di aver superato a mente sana la testimonianza di questi avvenimenti». Molto vicino a Kraus nella denuncia dell’orrore della guerra, Jaroslav Hašek ne Il buon soldato Sc’vèik, sotto la maschera comica del ‘finto tonto’ del protagonista, presenta un’«ironia dissacrante contro la retorica dell’eroismo militare che travolge tutta la decrepita macchina imperiale rappresentando una danza della morte sulle rovine di un mondo» (Rutigliano). Sull’altro versante, anche la letteratura umoristica francese, che ad inizio secolo si era arricchita della riflessione di Bergson, è segnata dall’umorismo nero, dalla risata amara di chi oscilla «tra la consolazione dell’io davanti ai traumi della vita e l’aggressione ai presupposti della società borghese» (Di Benedetto). Oppure risente di quelle forme di umorismo che, come il protagonista Plume di Henri Michaux, rappresentano una comicità molto simile a quella di Josef K. di Kafka, dell’innocente perseguito che ha interiorizzato la sua colpa (Fiorentino). Apparentemente molto più leggera e allegra si presenta la commedia inglese di Noël Coward ma, in verità, anche qui lo «spirito allegro» serve «per esorcizzare la crudeltà, la sofferenza e la morte» (Ingravallo). Nel panorama culturale italiano, dominato dalla figura e dalla riflessione di Pirandello che porta l’umorismo «a una presa di coscienza drammatica» (Palmieri) della nuova condizione esistenziale e ad una indagine approfondita della realtà, dietro lo schermo della maschera, si segnalano diverse esperienze, tutte dominateproprio da questo complesso concetto di umorismo, da Bontempelli la cui comicità è «una modalità di svuotamento dei topoi più consolidati» del crepuscolarismo e rovesciamento del sublime meccanico marinettiano (De Villi), a Savinio che «rifà la scena e preme sulle nostre passioni sottaciute per svelarne le più intime ambizioni» (Daniele), mentre nella scrittura di Palazzeschi emerge chiara la «questione gangliare della separatezza fra a arte e vita» (Dimauro). In un frangente decisivo per lo sviluppo della società e della cultura europea, come scrisse Pirandello, «l’umorismo […] per il suo intimo, specioso, essenziale processo, inevitabilmente scompone, disordina, discorda», contraddicendo un’arte che, fino ad allora, nella tradizione, «era sopra tutto composizione esteriore, accordo logicamente ordinato». Questo volume è risultato di un progetto di ricerca condiviso dal Dipartimento di Studi Umanistici. Lettere – Beni Culturali – Scienze della Formazione dell’Università di Foggia e dal Dipartimento di Lettere Lingue Arti – Italianistica e Culture Comparate dell’Università di Bari Aldo Moro.
2017
9788884316868
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11386/4712914
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