La parte conclusiva del romanzo di Alberto Moravia, ‘La ciociara’ (1957), in cui è narrata la vicenda più tragica di tutta l’avventura bellica, la violenza subita dalla giovanissima figlia della protagonista, è stata sempre al centro dell’interesse dei lettori, generalmente enfatizzata dalla critica, e anche nel film di Vittorio De Sica (1960), sceneggiato da Cesare Zavattini, segna l’acme drammatico e il momento più intenso della bravura interpretativa di Sophia Loren. Tuttavia, non sono questi gli eventi da sottoporre a una più analitica riflessione, ma altri aspetti che emergono con significativa novità dalle pagine dell’opera moraviana. L’autore, infatti, non racconta particolari eventi bellici, ma i loro riflessi fisici, psichici ed etici, connotati da un’irreversibile profanazione della personalità umana; la guerra è considerata non in sé, ma in rapporto all’istruzione, all’educazione, alla cultura, o meglio in rapporto al loro uso. Visto da questa angolazione, completamente assente nella versione filmica, il romanzo non è altro che una lunga, complessa e sofferta meditazione di Moravia sugli effetti devastanti della guerra, che riesce a mettere in crisi la cultura, ma prima ancora sconvolge la struttura morale degli individui, nel senso che istruzione ed etica non vanno considerate disgiunte, ma profondamente connesse. Proprio per tali ragioni, il suo messaggio autentico consiste nel riaffermare la fiducia nella cultura come prodotto naturale dell’intelligenza, ma affidata al controllo di un kantiano imperativo categorico, al primato di una ragion pratica, che eticamente la sostenga, indicandone e guidandone l’“uso”, ispirato al principio universale e necessario dell’essere umano come “fine in sé”. Nel caso di un grande artista come De Sica, escludendo senza alcun dubbio il rapporto meccanico e la fattura riduttivamente artigianale tra testo letterario e trasposizione cinematografica, sulla base dei parametri ermeneutici indicati dal Panel, il secondo e il terzo sorprendentemente si intrecciano, nel senso che il film, da una parte, presenta un impoverimento semantico rispetto alla ricchezza connotativa dell’ipotesto verbale, così come’è stata evidenziata e descritta, ma, dall’altra, ricrea in maniera densamente e originalmente espressiva episodi e personaggi della fonte letteraria, attraverso un linguaggio filmico che si attesta su un livello alto, sul piano estetico e a livello conoscitivo. Alcune soluzioni, diegetiche e psicologiche, vanno in questa direzione: omissione degli ultimi episodi, che nell’opera letteraria appaiono romanzeschi, inverosimili, spesso ambigui; sintesi, tipica dell’intersemiosi cinematografica, che riesce a cogliere e a esprimere il senso profondo dell’exemplum emblematizzato dalla morte dell’altro protagonista; diversa rappresentazione di alcune sequenze, che hanno un impatto sullo spettatore emotivamente più coinvolgente; maggiore completezza nella caratterizzazione dei personaggi, che assumono una dimensione più umana con le proprie contraddizioni e debolezze. Su questi aspetti si svolge l’indagine comparatistica della comunicazione.

"La Ciociara" di Moravia/De Sica: luci e ombre del romanzo e del film

GIULIO, Rosa
2018-01-01

Abstract

La parte conclusiva del romanzo di Alberto Moravia, ‘La ciociara’ (1957), in cui è narrata la vicenda più tragica di tutta l’avventura bellica, la violenza subita dalla giovanissima figlia della protagonista, è stata sempre al centro dell’interesse dei lettori, generalmente enfatizzata dalla critica, e anche nel film di Vittorio De Sica (1960), sceneggiato da Cesare Zavattini, segna l’acme drammatico e il momento più intenso della bravura interpretativa di Sophia Loren. Tuttavia, non sono questi gli eventi da sottoporre a una più analitica riflessione, ma altri aspetti che emergono con significativa novità dalle pagine dell’opera moraviana. L’autore, infatti, non racconta particolari eventi bellici, ma i loro riflessi fisici, psichici ed etici, connotati da un’irreversibile profanazione della personalità umana; la guerra è considerata non in sé, ma in rapporto all’istruzione, all’educazione, alla cultura, o meglio in rapporto al loro uso. Visto da questa angolazione, completamente assente nella versione filmica, il romanzo non è altro che una lunga, complessa e sofferta meditazione di Moravia sugli effetti devastanti della guerra, che riesce a mettere in crisi la cultura, ma prima ancora sconvolge la struttura morale degli individui, nel senso che istruzione ed etica non vanno considerate disgiunte, ma profondamente connesse. Proprio per tali ragioni, il suo messaggio autentico consiste nel riaffermare la fiducia nella cultura come prodotto naturale dell’intelligenza, ma affidata al controllo di un kantiano imperativo categorico, al primato di una ragion pratica, che eticamente la sostenga, indicandone e guidandone l’“uso”, ispirato al principio universale e necessario dell’essere umano come “fine in sé”. Nel caso di un grande artista come De Sica, escludendo senza alcun dubbio il rapporto meccanico e la fattura riduttivamente artigianale tra testo letterario e trasposizione cinematografica, sulla base dei parametri ermeneutici indicati dal Panel, il secondo e il terzo sorprendentemente si intrecciano, nel senso che il film, da una parte, presenta un impoverimento semantico rispetto alla ricchezza connotativa dell’ipotesto verbale, così come’è stata evidenziata e descritta, ma, dall’altra, ricrea in maniera densamente e originalmente espressiva episodi e personaggi della fonte letteraria, attraverso un linguaggio filmico che si attesta su un livello alto, sul piano estetico e a livello conoscitivo. Alcune soluzioni, diegetiche e psicologiche, vanno in questa direzione: omissione degli ultimi episodi, che nell’opera letteraria appaiono romanzeschi, inverosimili, spesso ambigui; sintesi, tipica dell’intersemiosi cinematografica, che riesce a cogliere e a esprimere il senso profondo dell’exemplum emblematizzato dalla morte dell’altro protagonista; diversa rappresentazione di alcune sequenze, che hanno un impatto sullo spettatore emotivamente più coinvolgente; maggiore completezza nella caratterizzazione dei personaggi, che assumono una dimensione più umana con le proprie contraddizioni e debolezze. Su questi aspetti si svolge l’indagine comparatistica della comunicazione.
2018
9788890790553
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11386/4715305
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