La previsione dell’art. 40 c. p., primo comma, dispone che nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione. Ed al comma 2 specifica che non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo. La rubrica, intitolata al «Rapporto di causalità» – locuzione assente, peraltro, nel testo –, indica la figura giuridica per il cui tramite l’ordinamento stabilisce i criteri che consentono di imputare ad un agente un evento. Il successivo art. 42 c. p., che può dirsi complementare alla norma precedente, ne stabilisce i criteri di attribuzione: nessuno può essere punito per un’azione od omissione preveduta dalla legge come reato, se non l’ha commessa con coscienza e volontà. Il legislatore del codice penale enuncia, in tal modo, un principio valido per tutti i reati, quasi a ribadire che il reato conseguente ad una azione od omissione sia ineludibilmente connesso sul piano sociale e su quello giuridico ad una grave alterazione dei rapporti intersoggettivi. Per sua parte, il dettato dell’art. 25 Cost. incarna il principio di legalità, e il successivo art. 27 Cost., 1° comma, sancisce il principio di personalità della responsabilità penale: principi che assieme al divieto di analogia, all’irretroattività e alla riserva di legge fungono da garanzia contro l’utilizzo, da parte del giudice, di criteri arbitrari. Il rapporto causale è connesso alla nozione di evento. L’evento indicato dal codice corrisponde alla situazione lesiva finale che l’ordinamento, tramite la sanzione prospettata, intende evitare. Il rapporto tra la corrispondente situazione iniziale e la situazione finale coincide col c.d. rapporto causale. Tuttavia, al momento di individuare i criteri atti a stabilire le condizioni in presenza delle quali possa correttamente affermarsi che sussiste il nesso di causalità, il codice penale italiano tace, ed affida all’interprete la soluzione della questione. Un primo orientamento giurisprudenziale poco duraturo fonda un nesso eziologico giuspenalistico su una nozione generale di causalità attinta dal mondo delle scienze naturali. La teoria del sine qua non, percepita dai giuristi italiani propria, come un anomalo crittotipo, ma di derivazione tedesca, identifica la causa con l’insieme delle condizioni necessarie alla produzione dell’evento: formula che viene a fondersi con quella galileiana dell’eliminazione mentale, che individua come condizione sine qua non l’antecedente la cui eliminazione implica il venir meno dell’evento. Ma la formula sine qua non è unicamente in grado di dichiarare che una condotta umana non è stata una condizione del verificarsi dell’evento, e costituisce uno schema vuoto Suggestionano poi la dottrina italiana le cc.dd. teorie della rilevanza (Relevanztheorien) e le teorie afferenti all’imputazione oggettiva (objektive Zurechnungslehre). Dopo la «svolta copernicana» avvenuta nel caso del disastro di Stava e soprattutto nel caso ‘Franzese’, la Suprema Corte italiana recepisce la teoria della condicio sine qua non pressoché unanimemente, individuandola attraverso la sussunzione sotto le leggi scientifiche intese quali leggi universali e leggi statistiche di grado probabilistico prossimo alla certezza. Rileva l’accertamento del nesso di causalità nella valutazione giurisprudenziale della responsabilità del ginecologo e dell’ostetrico.

Il nesso di causalità tra certezza e probabilità - Cap. VIII

Annamaria Giulia Parisi
2019-01-01

Abstract

La previsione dell’art. 40 c. p., primo comma, dispone che nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione. Ed al comma 2 specifica che non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo. La rubrica, intitolata al «Rapporto di causalità» – locuzione assente, peraltro, nel testo –, indica la figura giuridica per il cui tramite l’ordinamento stabilisce i criteri che consentono di imputare ad un agente un evento. Il successivo art. 42 c. p., che può dirsi complementare alla norma precedente, ne stabilisce i criteri di attribuzione: nessuno può essere punito per un’azione od omissione preveduta dalla legge come reato, se non l’ha commessa con coscienza e volontà. Il legislatore del codice penale enuncia, in tal modo, un principio valido per tutti i reati, quasi a ribadire che il reato conseguente ad una azione od omissione sia ineludibilmente connesso sul piano sociale e su quello giuridico ad una grave alterazione dei rapporti intersoggettivi. Per sua parte, il dettato dell’art. 25 Cost. incarna il principio di legalità, e il successivo art. 27 Cost., 1° comma, sancisce il principio di personalità della responsabilità penale: principi che assieme al divieto di analogia, all’irretroattività e alla riserva di legge fungono da garanzia contro l’utilizzo, da parte del giudice, di criteri arbitrari. Il rapporto causale è connesso alla nozione di evento. L’evento indicato dal codice corrisponde alla situazione lesiva finale che l’ordinamento, tramite la sanzione prospettata, intende evitare. Il rapporto tra la corrispondente situazione iniziale e la situazione finale coincide col c.d. rapporto causale. Tuttavia, al momento di individuare i criteri atti a stabilire le condizioni in presenza delle quali possa correttamente affermarsi che sussiste il nesso di causalità, il codice penale italiano tace, ed affida all’interprete la soluzione della questione. Un primo orientamento giurisprudenziale poco duraturo fonda un nesso eziologico giuspenalistico su una nozione generale di causalità attinta dal mondo delle scienze naturali. La teoria del sine qua non, percepita dai giuristi italiani propria, come un anomalo crittotipo, ma di derivazione tedesca, identifica la causa con l’insieme delle condizioni necessarie alla produzione dell’evento: formula che viene a fondersi con quella galileiana dell’eliminazione mentale, che individua come condizione sine qua non l’antecedente la cui eliminazione implica il venir meno dell’evento. Ma la formula sine qua non è unicamente in grado di dichiarare che una condotta umana non è stata una condizione del verificarsi dell’evento, e costituisce uno schema vuoto Suggestionano poi la dottrina italiana le cc.dd. teorie della rilevanza (Relevanztheorien) e le teorie afferenti all’imputazione oggettiva (objektive Zurechnungslehre). Dopo la «svolta copernicana» avvenuta nel caso del disastro di Stava e soprattutto nel caso ‘Franzese’, la Suprema Corte italiana recepisce la teoria della condicio sine qua non pressoché unanimemente, individuandola attraverso la sussunzione sotto le leggi scientifiche intese quali leggi universali e leggi statistiche di grado probabilistico prossimo alla certezza. Rileva l’accertamento del nesso di causalità nella valutazione giurisprudenziale della responsabilità del ginecologo e dell’ostetrico.
2019
9788849539035
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11386/4742853
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