In un saggio del 1962 James Baldwin afferma: “Societies never know it, but the war of an artist with his society is a lover’s war, and he does, at his best, what lovers do, which is to reveal the beloved to himself and, with that revelation, to make freedom real”. Queste parole sembrano racchiudere il rapporto tra società e Hip Hop. Non a caso, il rapper Chuck D dei Public Enemy in un’intervista del 1989 aveva definito il Rap come la “Black America’s TV station”, evidenziandone il legame con le circostanze sociopolitiche circostanti, quindi la sua valenza comunicativa e politica. Il presente contributo si propone di analizzare l’evoluzione del messaggio politico nel Rap, in particolare di quella che si potrebbe definire comunicazione politica “bottom up”, che parte dalla gente per arrivare alle istituzioni, seguendo una direzione contraria rispetto a quella usuale. Si cercherà, inoltre, di evidenziare come le modalità discorsive dell’Hip Hop, proprie del “counter language” e del “resistance discourse” (Smitherman 2000), abbiano avuto negli ultimi anni un’influenza sulla comunicazione politica istituzionale, con particolare riferimento a Barak Obama, che si è dimostrato abile conoscitore di pratiche culturali proprie del Black English e che si ritrovano nella performatività del linguaggio del Rap, quali il Signyfing, il Call and Response, la Tonal Semantics e lo Storytelling. Sarà, infine, dedicata attenzione al fenomeno della ricontestualizzazione, che vede l’Hip Hop trascendere i confini dei centri urbani statunitensi, diventando strumento di comunicazione politica in ogni angolo del pianeta, ma assumendo le caratteristiche di un fenomeno “glocal” più che “global”, espressione, la prima, che rende bene l’idea dell'incontro tra culture e società diverse, quindi del passaggio “from an adoption to an adaptation” (Androutsopoulos & Scholtz, 2002), dove l’universalità consiste proprio nella località e temporalità.

Hip Hop e comunicazione politica: dal ghetto alla Casa Bianca

Attolino
2019-01-01

Abstract

In un saggio del 1962 James Baldwin afferma: “Societies never know it, but the war of an artist with his society is a lover’s war, and he does, at his best, what lovers do, which is to reveal the beloved to himself and, with that revelation, to make freedom real”. Queste parole sembrano racchiudere il rapporto tra società e Hip Hop. Non a caso, il rapper Chuck D dei Public Enemy in un’intervista del 1989 aveva definito il Rap come la “Black America’s TV station”, evidenziandone il legame con le circostanze sociopolitiche circostanti, quindi la sua valenza comunicativa e politica. Il presente contributo si propone di analizzare l’evoluzione del messaggio politico nel Rap, in particolare di quella che si potrebbe definire comunicazione politica “bottom up”, che parte dalla gente per arrivare alle istituzioni, seguendo una direzione contraria rispetto a quella usuale. Si cercherà, inoltre, di evidenziare come le modalità discorsive dell’Hip Hop, proprie del “counter language” e del “resistance discourse” (Smitherman 2000), abbiano avuto negli ultimi anni un’influenza sulla comunicazione politica istituzionale, con particolare riferimento a Barak Obama, che si è dimostrato abile conoscitore di pratiche culturali proprie del Black English e che si ritrovano nella performatività del linguaggio del Rap, quali il Signyfing, il Call and Response, la Tonal Semantics e lo Storytelling. Sarà, infine, dedicata attenzione al fenomeno della ricontestualizzazione, che vede l’Hip Hop trascendere i confini dei centri urbani statunitensi, diventando strumento di comunicazione politica in ogni angolo del pianeta, ma assumendo le caratteristiche di un fenomeno “glocal” più che “global”, espressione, la prima, che rende bene l’idea dell'incontro tra culture e società diverse, quindi del passaggio “from an adoption to an adaptation” (Androutsopoulos & Scholtz, 2002), dove l’universalità consiste proprio nella località e temporalità.
2019
978 88 5495 086 3
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