La ricerca qui proposta verifica il modo con cui l’eresia valdese (di origini basso medievali) nella prima metà del Cinquecento si colloca al centro di una inevitabile linea di cesura, al di qua della quale i nuovi impulsi dati dal protestantesimo alle più antiche eresie europee avrebbero determinato differenze e continuità nel rapporto dialettico instauratosi tra i valdesi italiani ed i poteri costituiti. Infatti occorre qui precisare come le preoccupazioni sulla diffusione di particolari forme d’eresia nelle varie regioni della penisola italiana dopo la prima metà del ‘500 non riguardassero soltanto la Curia romana, ma anche le autorità civili della penisola Italica. Tra queste autorità figuravano sia la monarchia spagnola, sia le altre forme del potere signorile e principesco sviluppatosi tra tardo Medioevo e prima età moderna. Con riferimento a quest’ultimo punto, allora, questa indagine si è concentrata sulla Monarchia spagnola (senza dimenticare la Chiesa cattolica), per la quale i problemi ereticali apparivano innanzitutto strettamente legati alla nozione di ribellione e ciò anche nel Regno di Napoli. Si trattava di problemi rispetto ai quali al governo spagnolo - impegnato a suo modo lungo la via dell’affermazione dello Stato moderno - se non appariva possibile procedere con i criteri dell’«Inquisizione a mo’ di Spagna», si imponevano i continui ricorsi ai circuiti differenziati delle pratiche istituzionali. Si trattava di azioni, che di per sé risultavano tecnicamente efficaci e che rientravano nell’ottica della «guerra giusta» (di certo non «legittima»), da intendersi nella sostanza come regolatrice delle tensioni che si sviluppavano tra il potere imperiale spagnolo e la composita realtà sociale, politica e religiosa ad esso soggetta. Si tratta di un conflitto che ebbe una sua vasta eco all’interno delle corti italiane (sia laiche, sia ecclesiastiche), di cui pure si tratta in questa relazione.

LA GUERRA DI SPAGNA CONTRO I VALDESI DELLA PRIMA ETÀ MODERNA (1559-1563).

Tortora Alfonso
2019-01-01

Abstract

La ricerca qui proposta verifica il modo con cui l’eresia valdese (di origini basso medievali) nella prima metà del Cinquecento si colloca al centro di una inevitabile linea di cesura, al di qua della quale i nuovi impulsi dati dal protestantesimo alle più antiche eresie europee avrebbero determinato differenze e continuità nel rapporto dialettico instauratosi tra i valdesi italiani ed i poteri costituiti. Infatti occorre qui precisare come le preoccupazioni sulla diffusione di particolari forme d’eresia nelle varie regioni della penisola italiana dopo la prima metà del ‘500 non riguardassero soltanto la Curia romana, ma anche le autorità civili della penisola Italica. Tra queste autorità figuravano sia la monarchia spagnola, sia le altre forme del potere signorile e principesco sviluppatosi tra tardo Medioevo e prima età moderna. Con riferimento a quest’ultimo punto, allora, questa indagine si è concentrata sulla Monarchia spagnola (senza dimenticare la Chiesa cattolica), per la quale i problemi ereticali apparivano innanzitutto strettamente legati alla nozione di ribellione e ciò anche nel Regno di Napoli. Si trattava di problemi rispetto ai quali al governo spagnolo - impegnato a suo modo lungo la via dell’affermazione dello Stato moderno - se non appariva possibile procedere con i criteri dell’«Inquisizione a mo’ di Spagna», si imponevano i continui ricorsi ai circuiti differenziati delle pratiche istituzionali. Si trattava di azioni, che di per sé risultavano tecnicamente efficaci e che rientravano nell’ottica della «guerra giusta» (di certo non «legittima»), da intendersi nella sostanza come regolatrice delle tensioni che si sviluppavano tra il potere imperiale spagnolo e la composita realtà sociale, politica e religiosa ad esso soggetta. Si tratta di un conflitto che ebbe una sua vasta eco all’interno delle corti italiane (sia laiche, sia ecclesiastiche), di cui pure si tratta in questa relazione.
2019
978-987-544-875-9
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