La condizione di isolamento causata dalla diffusione del Covid-19 ha generato un cambiamento delle abitudini della vita quotidiana in termini di tempi, spazi, attività, relazioni sociali e Internet, nelle sue diverse articolazioni, ha inciso in maniera determinante nella riconfigurazione di tali aspetti e processi. La comunicazione in particolare ha assunto un ruolo centrale nel consolidamento e nella creazione di dinamiche e pratiche di socialità realizzate principalmente nell’ambiente virtuale, data l’impossibilità di poterle realizzare nei tipici contesti fisici della vita quotidiana. Il ricorso ai social media durante la pandemia ha avuto varie e talvolta confliggenti motivazioni. Tuttavia, c’è un sottile file rouge che lega i vari usi dei social: la necessità di avere una valvola di sfogo attraverso cui canalizzare timori più o meno fondati legati ai possibili sviluppi della pandemia, esorcizzando paure ataviche che hanno inopinatamente cominciato ad assumere una forma reale nel tempo. La crisi pandemica generata dal Covid-19, infatti, ha fornito delle basi tragicamente concrete all’ansia collettiva che, secondo alcuni autori (cfr. tra i tanti, Russell, 2005; Green, 2013; Addeo, 2015), ha caratterizzato le società occidentali a partire dall’11 settembre: “infectious diseases are indeed the new paranoia that’s striking Western society” (Green, 2013, 5). A questo generale senso di insicurezza e angoscia, si sono unite le restrizioni imposte dal lockdown che, tra le tante conseguenze individuali e sociali, hanno quasi totalmente azzerato le forme di socialità in presenza. Questo insieme di fattori ha, con ogni probabilità, consolidato il ricorso alle pratiche comunicative online per irrorare le reti di relazioni familiari, amicali e professionali. La nostra riflessione si sofferma sul ruolo ambivalente, se non ambiguo, svolto da vari attori sociali ed istituzionali durante l’emergenza Covid-19. Se da un lato i media hanno svolto una fondamentale azione di collante sociale, essendo stati i canali quasi esclusivi con cui poter comunicare con parenti, amici e colleghi e, soprattutto, avere informazioni sulla Pandemia in corso; dall’altro, su questi canali hanno agito dei veri e proprio “untori”, ovvero diffusori di fake news, bufale e in generale di articoli sensazionalistici e/o complottistici, che hanno alimentato focolai di incertezza, angoscia e rabbia tra i cittadini italiani. La pericolosa deriva della infodemia aggravata dai social media è uno dei tratti caratteristici dell’attuale pandemia (Cinelli et al., 2020; Papapicco, 2020; Rovetta e Bhagavathula, 2020) ed è andata a sommarsi all’emergenza sanitaria, acuendola (Mesquita et al., 2020); secondo alcuni autori, infatti, la gestione della crisi nella prima fase della pandemia è stata caratterizzata da una serie di errori causati anche dall’eccedenza informativa e dal proliferare delle fake news (Ruiu, 2020). Ciò ha generato un diffuso senso di diffidenza e sfiducia nella popolazione nei confronti delle informazioni veicolate da istituzioni e i media, sia tradizionali sia digitali; uniche eccezioni, le comunicazioni provenienti dagli organi predisposti alla sicurezza nazionale e da rappresentanti della comunità scientifica.

L’uso delle tecnologie digitali

Felice Addeo
;
Maria Carmela Catone;Fiorenzo Parziale
2020-01-01

Abstract

La condizione di isolamento causata dalla diffusione del Covid-19 ha generato un cambiamento delle abitudini della vita quotidiana in termini di tempi, spazi, attività, relazioni sociali e Internet, nelle sue diverse articolazioni, ha inciso in maniera determinante nella riconfigurazione di tali aspetti e processi. La comunicazione in particolare ha assunto un ruolo centrale nel consolidamento e nella creazione di dinamiche e pratiche di socialità realizzate principalmente nell’ambiente virtuale, data l’impossibilità di poterle realizzare nei tipici contesti fisici della vita quotidiana. Il ricorso ai social media durante la pandemia ha avuto varie e talvolta confliggenti motivazioni. Tuttavia, c’è un sottile file rouge che lega i vari usi dei social: la necessità di avere una valvola di sfogo attraverso cui canalizzare timori più o meno fondati legati ai possibili sviluppi della pandemia, esorcizzando paure ataviche che hanno inopinatamente cominciato ad assumere una forma reale nel tempo. La crisi pandemica generata dal Covid-19, infatti, ha fornito delle basi tragicamente concrete all’ansia collettiva che, secondo alcuni autori (cfr. tra i tanti, Russell, 2005; Green, 2013; Addeo, 2015), ha caratterizzato le società occidentali a partire dall’11 settembre: “infectious diseases are indeed the new paranoia that’s striking Western society” (Green, 2013, 5). A questo generale senso di insicurezza e angoscia, si sono unite le restrizioni imposte dal lockdown che, tra le tante conseguenze individuali e sociali, hanno quasi totalmente azzerato le forme di socialità in presenza. Questo insieme di fattori ha, con ogni probabilità, consolidato il ricorso alle pratiche comunicative online per irrorare le reti di relazioni familiari, amicali e professionali. La nostra riflessione si sofferma sul ruolo ambivalente, se non ambiguo, svolto da vari attori sociali ed istituzionali durante l’emergenza Covid-19. Se da un lato i media hanno svolto una fondamentale azione di collante sociale, essendo stati i canali quasi esclusivi con cui poter comunicare con parenti, amici e colleghi e, soprattutto, avere informazioni sulla Pandemia in corso; dall’altro, su questi canali hanno agito dei veri e proprio “untori”, ovvero diffusori di fake news, bufale e in generale di articoli sensazionalistici e/o complottistici, che hanno alimentato focolai di incertezza, angoscia e rabbia tra i cittadini italiani. La pericolosa deriva della infodemia aggravata dai social media è uno dei tratti caratteristici dell’attuale pandemia (Cinelli et al., 2020; Papapicco, 2020; Rovetta e Bhagavathula, 2020) ed è andata a sommarsi all’emergenza sanitaria, acuendola (Mesquita et al., 2020); secondo alcuni autori, infatti, la gestione della crisi nella prima fase della pandemia è stata caratterizzata da una serie di errori causati anche dall’eccedenza informativa e dal proliferare delle fake news (Ruiu, 2020). Ciò ha generato un diffuso senso di diffidenza e sfiducia nella popolazione nei confronti delle informazioni veicolate da istituzioni e i media, sia tradizionali sia digitali; uniche eccezioni, le comunicazioni provenienti dagli organi predisposti alla sicurezza nazionale e da rappresentanti della comunità scientifica.
2020
9788835111641
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11386/4753255
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