Nel mito greco la violenza sul femminile - declinata nelle forme dell’inganno, del rapimento, dello stupro e dell’uccisione - è elemento così ricorrente da apparire ‘normale’: non è casuale che al vertice del pantheon dei Greci vi sia Zeus, protagonista di numerose unioni sessuali, molte delle quali sono caratterizzate dal mancato consenso della donna e quindi considerabili veri e propri stupri. Se lo stesso padre degli dei appare come una sorta di ‘utilizzatore finale’ delle donne e del loro corpo, volto a soddisfare il proprio impulso sessuale senza darsi alcun conto di eventuali resistenze della 'partner di turno', il mito greco antico potrebbe apparire poco adatto a ospitare una denuncia della violenza di genere.In esso (e nei generi letterari che dal mito traggono materia) si può tuttavia rintracciare la voce addolorata di donne vittime di sopraffazione. Il caso emblematico qui proposto è quello della sacerdotessa Io: il mito narra di come la donna, colpevole di aver respinto le avances di Zeus, venga ‘perseguitata’ sia dal dio sia da Era, moglie di Zeus, che riversa sulla mortale gelosia e rabbia nutrite per il marito. A tale mito il teatro di V secolo a.C. fa riferimento spazio in due tragedie a noi pervenute, le Supplicie il Prometeo Incatenato. Nel contributo si mira a evidenziare - mediante una lettura comparata delle opere citate - come tema e lessico della violenza di genere caratterizzino il racconto delle proprie vicissitudini che Io fa in prima persona nel Prometeo, mentre sia assente nella rievocazione del mito compita dalle Danaidi (discendenti della stessa Io) nelle Supplici. Il teatro antico (al pari della cronaca nera moderna) esemplifica come il racconto di una violenza su una donna possa essere radicalmente stravolto al mutare di chi tale racconto propone.
L'antico racconto di un'antica violenza di genere: la duplice versione del mito di Io e Zeus nel teatro greco.
Amendola, S.
2020
Abstract
Nel mito greco la violenza sul femminile - declinata nelle forme dell’inganno, del rapimento, dello stupro e dell’uccisione - è elemento così ricorrente da apparire ‘normale’: non è casuale che al vertice del pantheon dei Greci vi sia Zeus, protagonista di numerose unioni sessuali, molte delle quali sono caratterizzate dal mancato consenso della donna e quindi considerabili veri e propri stupri. Se lo stesso padre degli dei appare come una sorta di ‘utilizzatore finale’ delle donne e del loro corpo, volto a soddisfare il proprio impulso sessuale senza darsi alcun conto di eventuali resistenze della 'partner di turno', il mito greco antico potrebbe apparire poco adatto a ospitare una denuncia della violenza di genere.In esso (e nei generi letterari che dal mito traggono materia) si può tuttavia rintracciare la voce addolorata di donne vittime di sopraffazione. Il caso emblematico qui proposto è quello della sacerdotessa Io: il mito narra di come la donna, colpevole di aver respinto le avances di Zeus, venga ‘perseguitata’ sia dal dio sia da Era, moglie di Zeus, che riversa sulla mortale gelosia e rabbia nutrite per il marito. A tale mito il teatro di V secolo a.C. fa riferimento spazio in due tragedie a noi pervenute, le Supplicie il Prometeo Incatenato. Nel contributo si mira a evidenziare - mediante una lettura comparata delle opere citate - come tema e lessico della violenza di genere caratterizzino il racconto delle proprie vicissitudini che Io fa in prima persona nel Prometeo, mentre sia assente nella rievocazione del mito compita dalle Danaidi (discendenti della stessa Io) nelle Supplici. Il teatro antico (al pari della cronaca nera moderna) esemplifica come il racconto di una violenza su una donna possa essere radicalmente stravolto al mutare di chi tale racconto propone.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.