Nel 1952 la Civil Defence Agency del governo federale statunitense commissionò la produzione di Duck and Cover, un cortometraggio per educare i cittadini americani al comportamento da tenere in caso di attacco nucleare sovietico. Considerato da molti storici come mera propaganda, questo civil defense film è diventato una icona della Guerra Fredda, ma anche della assurdità della risposta governativa alla minaccia nucleare. All’indomani dell’11 settembre 2001, il governo federale americano ha dovuto di nuovo confrontarsi con la necessità di educare i cittadini a comportamenti di sicurezza, questa volta in caso di attacco terroristico, e lo ha fatto attraverso Ready.gov, il sito web ufficiale del Department of Homeland Security. Anche questa volta non sono mancate critiche e perplessità in merito alla efficacia del messaggio. Partendo da questi due esempi, il presente contributo intende investigare in prospettiva diacronica la realizzazione della sicurezza come fenomeno discorsivo, in quanto soggetto alle categorie generative di tempo e spazio. Mentre da una prospettiva realistica il termine “sicurezza”, soprattutto in contesti istituzionali, viene concepito come un oggetto, da una prospettiva costruttivista la sicurezza è infatti non solo veicolata, ma costituita dal linguaggio (Aradau 2010). In particolare, si cercherà di investigare in che misura il security discourse si è focalizzato negli anni intorno a strategie discorsive inerenti al “banopticon” (Bigo 2008), creando categorie di “sameness”, di identità e appartenenza, ovvero contribuendo alla costruzione di un “us” al quale corrisponde necessariamente un “them”, con conseguente alienazione del “diverso”.

Da Duck and Cover a Ready.gov: breve panoramica sul security discourse negli Usa

Attolino
2021-01-01

Abstract

Nel 1952 la Civil Defence Agency del governo federale statunitense commissionò la produzione di Duck and Cover, un cortometraggio per educare i cittadini americani al comportamento da tenere in caso di attacco nucleare sovietico. Considerato da molti storici come mera propaganda, questo civil defense film è diventato una icona della Guerra Fredda, ma anche della assurdità della risposta governativa alla minaccia nucleare. All’indomani dell’11 settembre 2001, il governo federale americano ha dovuto di nuovo confrontarsi con la necessità di educare i cittadini a comportamenti di sicurezza, questa volta in caso di attacco terroristico, e lo ha fatto attraverso Ready.gov, il sito web ufficiale del Department of Homeland Security. Anche questa volta non sono mancate critiche e perplessità in merito alla efficacia del messaggio. Partendo da questi due esempi, il presente contributo intende investigare in prospettiva diacronica la realizzazione della sicurezza come fenomeno discorsivo, in quanto soggetto alle categorie generative di tempo e spazio. Mentre da una prospettiva realistica il termine “sicurezza”, soprattutto in contesti istituzionali, viene concepito come un oggetto, da una prospettiva costruttivista la sicurezza è infatti non solo veicolata, ma costituita dal linguaggio (Aradau 2010). In particolare, si cercherà di investigare in che misura il security discourse si è focalizzato negli anni intorno a strategie discorsive inerenti al “banopticon” (Bigo 2008), creando categorie di “sameness”, di identità e appartenenza, ovvero contribuendo alla costruzione di un “us” al quale corrisponde necessariamente un “them”, con conseguente alienazione del “diverso”.
2021
9788849866612
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11386/4763645
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