Nel Settecento, i personaggi sordomuti sono spesso presenti in opere comiche rappresentate in Francia sia nei teatri ufficiali sia nei piccoli teatri. Al sordomuto, tuttavia, gli autori preferiscono la figura del sordastro, la cui presenza è principalmente utilizzata per suscitare l’ilarità del pubblico tramite effetti comici legati a malintesi linguistici e a errori di audizione-comprensione. Le didascalie che ne accompagnano le pur rare battute non rivelano particolari specificità e subiscono pochi cambiamenti nel corso del secolo, ripetendo essenzialmente le strategie adottate dai commediografi a fine Seicento (cf. Bernard; De Santis in Fazio-Frantz). Il caso della “comédie historique” L’Abbé de l’épée di Nicholas Bouilly si rivela invece particolarmente originale: pièce seria nonostante l’etichetta generica e composta con finalità celebrative, se non agiografiche, L’Abbé de l’épée mette in scena un giovane sordomuto realmente privo di parola, presentato secondo modalità che esulano dalla tradizionale raffigurazione comica del sordo. Attraverso uno studio del manoscritto di teatro conservato presso la Bibliothèque-musée della Comédie-Française, saranno analizzate le specificità dell’uso delle didascalie nella caratterizzazione di un personaggio in cui il gesto è chiamato a sostituirsi alla parola. Tale esame, che prevede il confronto con altre pièce coeve in cui l’uso della didascalia appare particolarmente significativo (si pensi ai monologhi di Beaumarchais, cf. Frantz; Porcelli in Vicentini), verterà sugli aspetti drammaturgici e semiotici della transcodificazione della lingua dei segni elaborata da l’Épée e ripresa dall’autore e dall’attrice Vanhove, interprete del ruolo del giovane sordo. Il particolare statuto di queste didascalie le situa in una sorta di limbo, in uno spazio neutro tra la drammaturgia del gesto (nelle battute del giovane sordomuto la didascalia costituisce la totalità del testo) e la didascalia letteraria (lo spettatore è chiamato a leggere i segni del sordomuto come fossero grafemi o sintagmi verbali). Le didascalie introdotte dal drammaturgo per supplire alla mancanza di voce del personaggio, che transcodificano dunque il linguaggio verbale, saranno messe in relazione con le didascalie “di regia” presenti nel manoscritto, al fine di farne emergere le specificità e i tratti comuni.

La didascalia al posto della parola: L’Abbé de l’Épée (1799-1800) di Jean-Nicolas Bouilly tra spettacolo, edizione e manoscritto Bouilly .. »

Vincenzo De Santis
2020-01-01

Abstract

Nel Settecento, i personaggi sordomuti sono spesso presenti in opere comiche rappresentate in Francia sia nei teatri ufficiali sia nei piccoli teatri. Al sordomuto, tuttavia, gli autori preferiscono la figura del sordastro, la cui presenza è principalmente utilizzata per suscitare l’ilarità del pubblico tramite effetti comici legati a malintesi linguistici e a errori di audizione-comprensione. Le didascalie che ne accompagnano le pur rare battute non rivelano particolari specificità e subiscono pochi cambiamenti nel corso del secolo, ripetendo essenzialmente le strategie adottate dai commediografi a fine Seicento (cf. Bernard; De Santis in Fazio-Frantz). Il caso della “comédie historique” L’Abbé de l’épée di Nicholas Bouilly si rivela invece particolarmente originale: pièce seria nonostante l’etichetta generica e composta con finalità celebrative, se non agiografiche, L’Abbé de l’épée mette in scena un giovane sordomuto realmente privo di parola, presentato secondo modalità che esulano dalla tradizionale raffigurazione comica del sordo. Attraverso uno studio del manoscritto di teatro conservato presso la Bibliothèque-musée della Comédie-Française, saranno analizzate le specificità dell’uso delle didascalie nella caratterizzazione di un personaggio in cui il gesto è chiamato a sostituirsi alla parola. Tale esame, che prevede il confronto con altre pièce coeve in cui l’uso della didascalia appare particolarmente significativo (si pensi ai monologhi di Beaumarchais, cf. Frantz; Porcelli in Vicentini), verterà sugli aspetti drammaturgici e semiotici della transcodificazione della lingua dei segni elaborata da l’Épée e ripresa dall’autore e dall’attrice Vanhove, interprete del ruolo del giovane sordo. Il particolare statuto di queste didascalie le situa in una sorta di limbo, in uno spazio neutro tra la drammaturgia del gesto (nelle battute del giovane sordomuto la didascalia costituisce la totalità del testo) e la didascalia letteraria (lo spettatore è chiamato a leggere i segni del sordomuto come fossero grafemi o sintagmi verbali). Le didascalie introdotte dal drammaturgo per supplire alla mancanza di voce del personaggio, che transcodificano dunque il linguaggio verbale, saranno messe in relazione con le didascalie “di regia” presenti nel manoscritto, al fine di farne emergere le specificità e i tratti comuni.
2020
9788869958410
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11386/4766004
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