Il Concilio Vaticano II e i successivi sinodi dell’ecumene cattolica latinoamericana, soprattutto quelli di Medellín (1968), di Puebla (1979) e di Santo Domingo (1992), concepirono “incoscientemente” la Teologia della Liberazione latinoamericana, quella corrente teologico-politica che avrebbe caratterizzato il Subcontinente per molti decenni . I due sostantivi di questa espressione diventarono immediatamente il banco di prova di questo movimento per il quale la teologia smetteva di essere l’agglomerato di verità astratte per diventare «riflessione, atteggiamento critico. Viene prima l’impegno di carità, di servizio. La teologia viene dopo, è atto secondo» . Questa riflessione del suo padre fondatore, il peruviano Gustavo Gutiérrez, doveva portare, attraverso una lotta assolutamente non violenta, alla pace e all’uguaglianza religiosa ad entrambe le sponde dell’Oceano; era la risposta cristiana della nonviolenza come forza sociale liberatrice dell’uomo e ispirata nel Vangelo. Nonostante desse adito ad interpretazioni differenti, il termine ‘liberazione’ era stato abilmente inserito dai suoi ispiratori nel necessario e spontaneo processo di riscatto e di emancipazione umani. E mentre la nuova nozione di liberazione acquisiva un rimarchevole luogo ermeneutico, un costante e geniale collegamento tra questi due concetti – liberazione e teologia – trasformava l’uomo in agente di se stesso, del suo destino e della storia nella sua globalità, realizzando un rinnovamento non opzionale o accidentale, ma indispensabile e necessario, e facendolo poi sfociare in un processo liberatore irreversibile e, nonostante ciò, ancora totalmente non violento. Quando alle masse popolari vengono sottratte le necessità basilari e, quindi, i loro diritti fondamentali, ebbene, in quel caso la violenza rivoluzionaria è legittimata dall’ineluttabile e dovuta ricerca della libertà, fine ultimo e raggiungibile grazie alla liberazione dall’ingiustizia strutturale. Per cui, la partecipazione cristiana alle rivoluzioni popolari non nacque spontanea, ma si è poggiata su presupposti storici anteriori che si sono scontrati con una lunga storia cominciata con la Conquista. Tale frattura fu il punto di arrivo di un pigro e spossante cammino che una generazione cristiana non violenta – poi agitata dal Concilio Vaticano II e dalla conseguente esplosione sociale e politica – intraprese per riscoprire la carica rivoluzionaria del cristianesimo originario, per tornare ad impadronirsi della Bibbia, confiscatale dai potenti della terra, e restituirla così alla storia della liberazione dei poveri.

Scenari latinoamericani tra la nonviolenza per l’uguaglianza e la violenza per la liberazione

Colucciello, Mariarosaria
2021-01-01

Abstract

Il Concilio Vaticano II e i successivi sinodi dell’ecumene cattolica latinoamericana, soprattutto quelli di Medellín (1968), di Puebla (1979) e di Santo Domingo (1992), concepirono “incoscientemente” la Teologia della Liberazione latinoamericana, quella corrente teologico-politica che avrebbe caratterizzato il Subcontinente per molti decenni . I due sostantivi di questa espressione diventarono immediatamente il banco di prova di questo movimento per il quale la teologia smetteva di essere l’agglomerato di verità astratte per diventare «riflessione, atteggiamento critico. Viene prima l’impegno di carità, di servizio. La teologia viene dopo, è atto secondo» . Questa riflessione del suo padre fondatore, il peruviano Gustavo Gutiérrez, doveva portare, attraverso una lotta assolutamente non violenta, alla pace e all’uguaglianza religiosa ad entrambe le sponde dell’Oceano; era la risposta cristiana della nonviolenza come forza sociale liberatrice dell’uomo e ispirata nel Vangelo. Nonostante desse adito ad interpretazioni differenti, il termine ‘liberazione’ era stato abilmente inserito dai suoi ispiratori nel necessario e spontaneo processo di riscatto e di emancipazione umani. E mentre la nuova nozione di liberazione acquisiva un rimarchevole luogo ermeneutico, un costante e geniale collegamento tra questi due concetti – liberazione e teologia – trasformava l’uomo in agente di se stesso, del suo destino e della storia nella sua globalità, realizzando un rinnovamento non opzionale o accidentale, ma indispensabile e necessario, e facendolo poi sfociare in un processo liberatore irreversibile e, nonostante ciò, ancora totalmente non violento. Quando alle masse popolari vengono sottratte le necessità basilari e, quindi, i loro diritti fondamentali, ebbene, in quel caso la violenza rivoluzionaria è legittimata dall’ineluttabile e dovuta ricerca della libertà, fine ultimo e raggiungibile grazie alla liberazione dall’ingiustizia strutturale. Per cui, la partecipazione cristiana alle rivoluzioni popolari non nacque spontanea, ma si è poggiata su presupposti storici anteriori che si sono scontrati con una lunga storia cominciata con la Conquista. Tale frattura fu il punto di arrivo di un pigro e spossante cammino che una generazione cristiana non violenta – poi agitata dal Concilio Vaticano II e dalla conseguente esplosione sociale e politica – intraprese per riscoprire la carica rivoluzionaria del cristianesimo originario, per tornare ad impadronirsi della Bibbia, confiscatale dai potenti della terra, e restituirla così alla storia della liberazione dei poveri.
2021
978-88-498-6573-8
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