Sempre più spesso, negli ultimi anni, gli studiosi di numerosi ambiti disciplinari –sociologico, giuridico, storico, economico, linguistico, etc.– si sono interessati dalla propria e precipua sfera intellettuale dell’arcilessema per eccellenza dell’economicamente e culturalmente globalizzato mondo attuale, che finisce sempre per riassumersi nell’abusato –ma sempre cogente, anche se spesso sostituito da “interculturalità” – termine “multiculturalismo” . Non si è mai presentato come un dato di fatto o come una felice acquisizione delle ultime decadi del XX secolo; questo modello culturale e politico-istituzionale –diretto a una giusta gestione della diversità nella multietnica società occidentale, al rispetto dell’identità altrui, a una perfetta laicità dello Stato e a uno spensierato spirito democratico– con il tempo ha ceduto il passo a risultati non sperati, non assicurando quegli effetti di ordinata convivenza e di pacifica tolleranza presenti nelle incipienti motivazioni per le quali era stato programmato. Il teorema iniziale della risoluzione delle individualità nelle identità collettive ed etnico-culturali e l’affermazione dell’assoluta alterità e inconfrontabilità delle culture –per cui ciascuna è unica e diversa, intrinsecamente autoreferenziale e dotata di autarchica sensatezza– sono scivolati presto verso un antropologico relativismo culturale, verso un’assolutizzazione della dissonanza etnica, verso un difficile assorbimento dell’individuo nelle identità collettive e verso una malcelata giustapposizione fra culture. Nei casi più estremi, il multiculturalismo si è immedesimato in una sola apparente eterogenesi dei fini, diventando quasi un moltiplicatore di estraneità, foriero di quanto mai feroci ostilità e conflitti. Soprattutto dopo la lapalissiana smentita della pretesa dell’Occidente di essere una entelechia dell’umanità e della ragione, il multiculturalismo mostra tutta la sua debolezza proprio nell’ambito in cui pensava di essere più forte e inattaccabile, cioè la gestione della diversità e l’assicurazione della tolleranza. Per cui potrà uscire dalla paralisi da cui è stato investito solo diventando interculturalità, rimettendo in discussione il dogma relativistico dell’inconfrontabilità culturale e concependo lo spazio sociale come convivenza e interazione, e non già come coabitazione senza vincoli o comunicazione.
La frontiera dell'umano
Colucciello, Mariarosaria
2021-01-01
Abstract
Sempre più spesso, negli ultimi anni, gli studiosi di numerosi ambiti disciplinari –sociologico, giuridico, storico, economico, linguistico, etc.– si sono interessati dalla propria e precipua sfera intellettuale dell’arcilessema per eccellenza dell’economicamente e culturalmente globalizzato mondo attuale, che finisce sempre per riassumersi nell’abusato –ma sempre cogente, anche se spesso sostituito da “interculturalità” – termine “multiculturalismo” . Non si è mai presentato come un dato di fatto o come una felice acquisizione delle ultime decadi del XX secolo; questo modello culturale e politico-istituzionale –diretto a una giusta gestione della diversità nella multietnica società occidentale, al rispetto dell’identità altrui, a una perfetta laicità dello Stato e a uno spensierato spirito democratico– con il tempo ha ceduto il passo a risultati non sperati, non assicurando quegli effetti di ordinata convivenza e di pacifica tolleranza presenti nelle incipienti motivazioni per le quali era stato programmato. Il teorema iniziale della risoluzione delle individualità nelle identità collettive ed etnico-culturali e l’affermazione dell’assoluta alterità e inconfrontabilità delle culture –per cui ciascuna è unica e diversa, intrinsecamente autoreferenziale e dotata di autarchica sensatezza– sono scivolati presto verso un antropologico relativismo culturale, verso un’assolutizzazione della dissonanza etnica, verso un difficile assorbimento dell’individuo nelle identità collettive e verso una malcelata giustapposizione fra culture. Nei casi più estremi, il multiculturalismo si è immedesimato in una sola apparente eterogenesi dei fini, diventando quasi un moltiplicatore di estraneità, foriero di quanto mai feroci ostilità e conflitti. Soprattutto dopo la lapalissiana smentita della pretesa dell’Occidente di essere una entelechia dell’umanità e della ragione, il multiculturalismo mostra tutta la sua debolezza proprio nell’ambito in cui pensava di essere più forte e inattaccabile, cioè la gestione della diversità e l’assicurazione della tolleranza. Per cui potrà uscire dalla paralisi da cui è stato investito solo diventando interculturalità, rimettendo in discussione il dogma relativistico dell’inconfrontabilità culturale e concependo lo spazio sociale come convivenza e interazione, e non già come coabitazione senza vincoli o comunicazione.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.