L’Encomio di Elena ruota, come è noto, intorno ad una tesi paradossale: la violenza dell’azione esercitata dal logos. Secondo Gorgia, infatti, la persuasione (peithō), piuttosto che differire dalla violenza (bia), ne costituisce una diversa manifestazione. Nonostante i numerosi tentativi compiuti dagli interpreti, questa tesi, con tutta la sua carica paradossale, non ha ancora trovato una spiegazione del tutto adeguata. Ciò perché, pur abitualmente considerato uno dei testi fondatori della tradizione retorica, l’Encomio di Elena non ha finora ricevuto un’interpretazione che ne evidenzi il singolare intreccio di retorica e politica. Sebbene si sia molto insistito sulla natura didattica dell’Encomio, ci si è infatti in genere limitati a considerare il testo gorgiano come uno dei primi manuali (technai) a partire dai quali la retorica si andò costituendo come disciplina. Se questo è da un certo punto di vista innegabile, cercherò, tuttavia, di mostrare che la lezione ricavabile dall’Encomio è certamente più ampia ed è una lezione politica, poiché il testo delinea un modello di ‘cittadinanza retorica’ su cui può essere ancora utile riflettere. Al centro di questo modello c’è il riconoscimento del conflitto come nucleo ineludibile della pratica discorsiva. Si tratta di una dimensione che Gorgia immagina relativa all’esercizio del logos in generale, ma che naturalmente trova in un contesto democratico la sua manifestazione più evidente. Con due importanti conseguenze. Da un lato, il tentativo di coniugare, rielaborando l’eredità dei ‘maestri di verità’, efficacia e verità. Dall’altro il ruolo che, all’interno di questo modello teorico, viene riservato alla violenza (simbolica). Su questo punto la posizione di Gorgia si rivela, nella sua radicalità, sostanzialmente isolata anche rispetto alla successiva tradizione retorica. Per il sofista siciliano la violenza non coincide, infatti, con un uso, per quanto inevitabile, tuttavia deliberatamente ingannevole e strumentale del linguaggio, ma è in qualche misura intrinseca alla stessa pratica discorsiva, una volta che se ne sia colta adeguatamente la dimensione conflittuale. In questo modo, la lezione che Gorgia consegna ai suoi allievi va ben al di là della, in fondo scontata, autopromozione della propria competenza e contiene un invito, quanto mai attuale, a fornirsi degli strumenti adeguati per entrare nell’agone democratico.
The Violence of Logos: A Political Reading of Gorgias's Helen
Mauro Serra
2022-01-01
Abstract
L’Encomio di Elena ruota, come è noto, intorno ad una tesi paradossale: la violenza dell’azione esercitata dal logos. Secondo Gorgia, infatti, la persuasione (peithō), piuttosto che differire dalla violenza (bia), ne costituisce una diversa manifestazione. Nonostante i numerosi tentativi compiuti dagli interpreti, questa tesi, con tutta la sua carica paradossale, non ha ancora trovato una spiegazione del tutto adeguata. Ciò perché, pur abitualmente considerato uno dei testi fondatori della tradizione retorica, l’Encomio di Elena non ha finora ricevuto un’interpretazione che ne evidenzi il singolare intreccio di retorica e politica. Sebbene si sia molto insistito sulla natura didattica dell’Encomio, ci si è infatti in genere limitati a considerare il testo gorgiano come uno dei primi manuali (technai) a partire dai quali la retorica si andò costituendo come disciplina. Se questo è da un certo punto di vista innegabile, cercherò, tuttavia, di mostrare che la lezione ricavabile dall’Encomio è certamente più ampia ed è una lezione politica, poiché il testo delinea un modello di ‘cittadinanza retorica’ su cui può essere ancora utile riflettere. Al centro di questo modello c’è il riconoscimento del conflitto come nucleo ineludibile della pratica discorsiva. Si tratta di una dimensione che Gorgia immagina relativa all’esercizio del logos in generale, ma che naturalmente trova in un contesto democratico la sua manifestazione più evidente. Con due importanti conseguenze. Da un lato, il tentativo di coniugare, rielaborando l’eredità dei ‘maestri di verità’, efficacia e verità. Dall’altro il ruolo che, all’interno di questo modello teorico, viene riservato alla violenza (simbolica). Su questo punto la posizione di Gorgia si rivela, nella sua radicalità, sostanzialmente isolata anche rispetto alla successiva tradizione retorica. Per il sofista siciliano la violenza non coincide, infatti, con un uso, per quanto inevitabile, tuttavia deliberatamente ingannevole e strumentale del linguaggio, ma è in qualche misura intrinseca alla stessa pratica discorsiva, una volta che se ne sia colta adeguatamente la dimensione conflittuale. In questo modo, la lezione che Gorgia consegna ai suoi allievi va ben al di là della, in fondo scontata, autopromozione della propria competenza e contiene un invito, quanto mai attuale, a fornirsi degli strumenti adeguati per entrare nell’agone democratico.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.