Il contributo prende le mosse dalla considerazione dei fondamenti sociali della pratica testamentaria a Roma, che coniuga, da un lato, finalità economiche e, dall’altro, considerazioni familiari, sociali e morali. In questo quadro, una delle difficoltà maggiori del testatore romano era quella di esercitare la sua libertà di testare in conformità ai doveri imposti dal proprio statuto familiare e nel rispetto degli impegni sociali che aveva assunto nel corso della sua vita, senza dimenticare le disposizioni atte ad assicurare il suo trapasso nell’aldilà e perpetuare il suo ricordo tra i vivi. Questi spunti prestano il fianco ad una approfondita trattazione dei doveri naturali legati al testamento e, nello specifico, dell’officium, che esprime il concetto del dovere morale del testatore, e del iudicium, che indica l’espressione autonoma del suo giudizio. Il primo di questi, l’officium (pietatis) erga liberos, è una conseguenza del sentimento naturale di affetto e di responsabilità che ciascun procreatore prova per le sue creature e tutto ciò che è compiuto conformemente a questo dovere è da ritenersi giusto. Con la messa a punto del testamentum per aes et libram, i principi naturali sui quali era basata la successione legittima hanno continuato a costituire i fondamenti essenziali della pratica testamentaria e si sono concretizzati, nella maggior parte dei casi, nella nomina di eredi interni, secondo una ratio naturalis dotata di una forza pressoché simile a quella della legge. Infatti, i casi di diseredazione degli heredes sui et necessarii, dovuti a uno iudicium supremum del pater, debbano ritenersi del tutto eccezionali. In ogni caso, il legislatore romano aveva offerto ai testatori un’ultima occasione di riflessione con l’introduzione del principio fondamentale sui heredes aut instituendi sunt aut exheredandi, che implicava la redazione di una clausola formale in caso di diseredazione.
I doveri familiari del de cuius nell’ambito della pratica testamentaria a Roma
ciliberti, Eugenio
2024-01-01
Abstract
Il contributo prende le mosse dalla considerazione dei fondamenti sociali della pratica testamentaria a Roma, che coniuga, da un lato, finalità economiche e, dall’altro, considerazioni familiari, sociali e morali. In questo quadro, una delle difficoltà maggiori del testatore romano era quella di esercitare la sua libertà di testare in conformità ai doveri imposti dal proprio statuto familiare e nel rispetto degli impegni sociali che aveva assunto nel corso della sua vita, senza dimenticare le disposizioni atte ad assicurare il suo trapasso nell’aldilà e perpetuare il suo ricordo tra i vivi. Questi spunti prestano il fianco ad una approfondita trattazione dei doveri naturali legati al testamento e, nello specifico, dell’officium, che esprime il concetto del dovere morale del testatore, e del iudicium, che indica l’espressione autonoma del suo giudizio. Il primo di questi, l’officium (pietatis) erga liberos, è una conseguenza del sentimento naturale di affetto e di responsabilità che ciascun procreatore prova per le sue creature e tutto ciò che è compiuto conformemente a questo dovere è da ritenersi giusto. Con la messa a punto del testamentum per aes et libram, i principi naturali sui quali era basata la successione legittima hanno continuato a costituire i fondamenti essenziali della pratica testamentaria e si sono concretizzati, nella maggior parte dei casi, nella nomina di eredi interni, secondo una ratio naturalis dotata di una forza pressoché simile a quella della legge. Infatti, i casi di diseredazione degli heredes sui et necessarii, dovuti a uno iudicium supremum del pater, debbano ritenersi del tutto eccezionali. In ogni caso, il legislatore romano aveva offerto ai testatori un’ultima occasione di riflessione con l’introduzione del principio fondamentale sui heredes aut instituendi sunt aut exheredandi, che implicava la redazione di una clausola formale in caso di diseredazione.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.