Perché un (ennesimo) libro su diritto e street art? Perché ritornare a ragionare su temi che sono stati ampiamente indagati dalla dottrina specialistica, sia in Italia sia all’estero? Le ragioni, in realtà, sono molteplici. La prima è che questo volume ha l’ambizione, e forse la presunzione, di parlare di street art (o, più propriamente, di arte negli spazi urbani) da una prospettiva differente, che non vuole limitarsi a fotografare l’esistente, a mettere in fila le regole giuridiche vigenti che possono applicarsi a questa manifestazione artistica. Al contrario, l’obiettivo è quello di interrogarsi, in maniera critica, sull’impianto delle regole e sul se tali regole offrano una risposta alle esigenze che la street art pone. La scelta di una norma giuridica, anziché un’altra, risponde alla necessità di selezionare gli interessi che si vogliono proteggere: in un fenomeno composito, caratterizzato dalla compresenza di interessi pubblici, individuali e “comuni”, il corpus di regole esistenti è sufficiente e adeguato? In secondo luogo, il presente volume vuole trattare argomenti che, spesso, sono stati ingiustamente tralasciati dal dibattito giuridico, quali le regole di diritto urbanistico che, invece, potrebbero offrire soluzioni interessanti, l’equilibrio tra mercato e collettività, il ruolo dei soggetti che concorrono a comporre questo mercato, e così via discorrendo. Inoltre, non può non osservarsi che, nella percezione del pubblico, l’arte realizzata negli spazi pubblici ha perso in gran parte la propria originaria complessità, il carattere antagonista rispetto sia alla società che “subiva” tali opere sia al potere politico ed economico dominante che contestava. Al contrario, la street art è stata progressivamente cannibalizzata da tale potere, divenendone sovente un’incolpevole e, forse, inconsapevole vittima. I quartieri sono stati “abbelliti” grazie alle opere (o, quanto meno, ad alcune di esse); si è persa l’ossessione verso il concetto indefinitamente reazionario (o reazionariamente indefinito) di decoro urbano; lo stesso gusto del pubblico, in un mercato fondato sulla logica della domanda e dell’offerta, è stato plasmato in modo da adeguarsi, prima, e di gradire, poi, tali esperienze artistiche. L’arte, che contestava il sistema (sia esso capitalistico, sia, successivamente, neoliberistico) è stata inglobata da tale sistema, divenendone il pezzo di un mosaico più esteso. I palazzi su cui insistono le opere di Banksy, realizzate illecitamente, decuplicano il loro valore; i quartieri nei quali si sono concentrate le opere (a partire da Hackney a Londra) hanno perso, col tempo, il loro carattere popolare, per divenire luoghi destinati a una borghesia colta e terreno di speculazioni edilizie, che hanno allontanato gli originari abitanti, per far luogo a classi benestanti, dal gusto hipster e dalla distratta consapevolezza ideologica.
Saggi critici di diritto della street art
Giovanni Maria Riccio
2025
Abstract
Perché un (ennesimo) libro su diritto e street art? Perché ritornare a ragionare su temi che sono stati ampiamente indagati dalla dottrina specialistica, sia in Italia sia all’estero? Le ragioni, in realtà, sono molteplici. La prima è che questo volume ha l’ambizione, e forse la presunzione, di parlare di street art (o, più propriamente, di arte negli spazi urbani) da una prospettiva differente, che non vuole limitarsi a fotografare l’esistente, a mettere in fila le regole giuridiche vigenti che possono applicarsi a questa manifestazione artistica. Al contrario, l’obiettivo è quello di interrogarsi, in maniera critica, sull’impianto delle regole e sul se tali regole offrano una risposta alle esigenze che la street art pone. La scelta di una norma giuridica, anziché un’altra, risponde alla necessità di selezionare gli interessi che si vogliono proteggere: in un fenomeno composito, caratterizzato dalla compresenza di interessi pubblici, individuali e “comuni”, il corpus di regole esistenti è sufficiente e adeguato? In secondo luogo, il presente volume vuole trattare argomenti che, spesso, sono stati ingiustamente tralasciati dal dibattito giuridico, quali le regole di diritto urbanistico che, invece, potrebbero offrire soluzioni interessanti, l’equilibrio tra mercato e collettività, il ruolo dei soggetti che concorrono a comporre questo mercato, e così via discorrendo. Inoltre, non può non osservarsi che, nella percezione del pubblico, l’arte realizzata negli spazi pubblici ha perso in gran parte la propria originaria complessità, il carattere antagonista rispetto sia alla società che “subiva” tali opere sia al potere politico ed economico dominante che contestava. Al contrario, la street art è stata progressivamente cannibalizzata da tale potere, divenendone sovente un’incolpevole e, forse, inconsapevole vittima. I quartieri sono stati “abbelliti” grazie alle opere (o, quanto meno, ad alcune di esse); si è persa l’ossessione verso il concetto indefinitamente reazionario (o reazionariamente indefinito) di decoro urbano; lo stesso gusto del pubblico, in un mercato fondato sulla logica della domanda e dell’offerta, è stato plasmato in modo da adeguarsi, prima, e di gradire, poi, tali esperienze artistiche. L’arte, che contestava il sistema (sia esso capitalistico, sia, successivamente, neoliberistico) è stata inglobata da tale sistema, divenendone il pezzo di un mosaico più esteso. I palazzi su cui insistono le opere di Banksy, realizzate illecitamente, decuplicano il loro valore; i quartieri nei quali si sono concentrate le opere (a partire da Hackney a Londra) hanno perso, col tempo, il loro carattere popolare, per divenire luoghi destinati a una borghesia colta e terreno di speculazioni edilizie, che hanno allontanato gli originari abitanti, per far luogo a classi benestanti, dal gusto hipster e dalla distratta consapevolezza ideologica.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.